Zimoun, “Emerging Microstructures”: quando il suono mette in moto lo spazio
Paul Valéry nel dialogo “Eupalino o l'Architetto” afferma che esistono due arti che permettono “d'essere in un'opera come pesci nell'onda, d'esserne interamente intrisi, di vivervi e di appartenerle”; due arti grazie alle quali noi “siamo, ci muoviamo, viviamo nell’opera”: sono la musica e l’architettura, l’arte del suono e l’arte dello spazio.
A questi due elementi, il suono e lo spazio, è rivolto il nuovo progetto espositivo della Fondazione Musica per Roma: si chiama “One Space/One Sound” e si svolge nelle sale dell’AuditoriumArte, dove, ormai con una certa continuità, vengono presentati eventi legati alle arti visive. L’interesse della Fondazione Musica per Roma verso l’arte contemporanea, dimostrato e affermato già da tempo, rispecchia da un lato la vocazione artistica multiforme e pluridirezionale dell’Auditorium, dall’altro l’aspetto di interdisciplinarietà che attualmente c’è tra i diversi ambiti artistici.
“One Space/One Sound” è una rassegna dedicata all’arte del suono, quell’arte di difficilissima categorizzazione, che, dando per assodata la cancellazione dei confini tra le discipline, lavora su aspetti sonori, visivi e spaziali insieme, avvalendosi del supporto della tecnologia, dell’informatica, della meccanica, e formalizzando le varie ricerche nelle più svariate modalità (abbiamo affrontato il tema della Sound Art più specificamente in un altro articolo). Il ciclo espositivo dell’AuditoriumArte, curato da Anna Cestelli Guidi, prevede tre appuntamenti l’anno con la presentazione di installazioni che hanno il suono come elemento basilare, pur articolandosi poi nelle forme più differenti. Gli artisti selezionati, diversi per età, provenienza, formazione, sono accomunati proprio dall’interesse per lo studio del suono, declinato nelle sue varie manifestazioni, dal rumore, alla musica, al canto; in particolare, come suggerisce il titolo della rassegna, essi sono focalizzati sul suono inteso nella sua relazione con lo spazio e con l’immagine, alla ricerca di nuove esperienze percettive.
A inaugurare il ciclo espositivo è stato Massimo Bartolini, che nel novembre scorso ha riempito gli spazi vuoti dell’AuditoriumArte con una presenza acustica immateriale, per esempio, dando voce a una parete verso la quale era puntato un microfono che amplificava un canto proveniente dall’elemento architettonico. A chiudere il ciclo espositivo sarà il giovane Francesco Fonassi il prossimo autunno. È invece in corso il secondo appuntamento di “One Space/One Sound”, affidato questa volta all’artista svizzero Zimoun, in mostra fino al 28 febbraio.
Zimoun (Berna, 1977) è un ‘collezionista di suoni’: rumori artificiali o naturali, suoni registrati da brani di realtà o prodotti in studio. Invita alla concentrazione su un aspetto acustico, anche su un singolo rumore, aprendo nuove strade per l’immaginazione e l’interpretazione del presente. Zimoun è un “architetto del suono”, che costruisce strutture e ambienti sonori da praticare, abitare ed esplorare come edifici: mai quanto nelle sue opere, infatti, il lavoro sullo spazio e quello sul suono sono integrati e inscindibili. Autodidatta interessato a vari campi disciplinari – dalla musica, alla pittura, alla fotografia, alla tecnologia – concepisce il suo lavoro come il risultato dell’interazione di diversi aspetti, acustico, spaziale e visivo, tutti supportati da sistemi tecnologici. Sono ormai note in tutto il mondo le strutture sonore e cinetiche dell’artista svizzero: elegantissime installazioni site-specific costruite con materiali e oggetti semplici – come scatole di cartone, buste di plastica, fili d’acciaio, ventilatori – e corredate di sistemi meccanici che attivano dei motori la cui azione genera suoni e rumori.
Con “Emerging Microstructures” all’Auditorium di Roma Zimoun ha creato un ambiente sonoro in movimento: disposte ordinatamente a riempire la sala espositiva, 60 scatole di cartone, ognuna delle quali fornita di un piccolo motore che, girando, muove un filo metallico alla cui estremità è applicata una pallina di cotone; con il movimento del motorino, la pallina batte rumorosamente contro la superficie del cartone. La sala è invasa dal rumore, dal ritmo diverso che ogni pallina dà con i suoi colpi, e il risultato è un coinvolgente paesaggio sonoro. Le microstrutture emergono dalla loro presunta staticità e si attivano fino a creare una grande struttura animata, autonoma nei suoi movimenti e ironicamente cinetica, come fosse un organismo vivente. Il suono, così fisico e tangibile, diventa elemento architettonico che riempie e anima caoticamente l'ambiente, e l’obiettivo di Zimoun, di “attivare lo spazio” ottenendo “un alto livello di vitalità”, è pienamente raggiunto.
I princìpi di riduzione, di immediatezza, di chiarezza, guidano molta parte del lavoro di Zimoun, sia riguardo l’aspetto tecnologico, essendo i suoi sistemi meccanici abbastanza semplici, sia riguardo l’impatto estetico: ogni dettaglio superfluo è eliminato per favorire una visione minimale, elegante, lucida e immediata. “Quello che senti è quello che vedi. Così la relazione tra i materiali, i movimenti e il suono è molto ovvia”, spiega l’artista: sta in questo la potenza ipnotica dei suoi organismi sonori animati.
Il suono è protagonista anche delle video-installazioni in mostra nella seconda sala dell’AuditoriumArte, tre lavori, dove con inquadratura fissa si presenta una lucida immagine in alta definizione che registra un evento sonoro e cinetico: un sottile tubicino animato da getti d’aria compressa; dei trucioli metallici mossi dall’azione di campi magnetici; un microfono puntato verso un ciocco di legno abitato da tarli in attività. Sono microeventi animati, produttori di rumori, sistemi insieme semplici e complessi, naturali e artificiali, che restituiscono allo spettatore-ascoltatore affascinanti brani di realtà.