Yara Gambirasio: dopo il Dna del padre, è caccia alla madre dell’assassino
La pista del Dna è da sempre quella privilegiata nelle indagini sul delitto di Yara Gambirasio, la ginnasta di Brembate Sopra uccisa due anni fa. Dalle tracce dell’assassino ritrovate sul suo corpo e sui suoi vestiti gli esperti sono arrivati a individuare un uomo riconosciuto come il padre di colui che ha ucciso la tredicenne. Si tratta di un uomo di Gorno (Bergamo) che però non può fornire informazioni utili sul delitto perché morto già nel 1999. Ma i genetisti sono praticamente certi della sua identità: il margine di errore è di 1 su 14 milioni, la probabilità di paternità è dunque del 99.999993%. Lo fa sapere Emiliano Giardina dell’Università Tor Vergata di Roma, il genetista che indaga sul caso. Si sa anche che i profili genetici dei figli dell’uomo di Gorno non coincidono con quelli repertati per cui l’assassino di Yara dovrebbe essere un suo figlio illegittimo: non a caso le indagini proseguono anche sugli adottati della zona del padre del killer.
“Inutile riesumare la salma del padre del killer” – Ma a questo punto la pista del Dna si sdoppia nel tentativo di trovare, oltre al nome del padre dell’assassino, anche quello della madre: secondo quanto scrive il Corriere della Sera il genetista Giardina ha fatto sapere, infatti, di aver deciso di proseguire con le indagini isolando la componente femminile dal Dna, per trovare dunque anche la madre. A quel punto, con i nomi di entrambi i genitori, il cerchio dovrebbe stringersi di molto. Lo stesso Giardina, alla richiesta del consulente dei Gambirasio di riesumare la salma dell’uomo di Gorno per avere così la certezza che sia lui il padre, ha risposto che quell’operazione non aggiungerebbe nulla di nuovo alle informazioni già in loro possesso perché “i risultati ottenuti sono straordinariamente solidi”. E la pista del Dna e dell’uomo di Gorno dovrebbero scagionare definitivamente Mohammed Fikri, il marocchino arrestato e poi scarcerato ma che a oggi è ancora indagato per il delitto di Yara. La frase che lo aveva portato in galera è stata nuovamente tradotta e sembra dar ragione all’operaio: Fikri non ha usato, nella telefonata intercettata, la parola “uccidere”.