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Wiseman, il maestro del documentario d’autore (VIDEORITRATTO)

Frederick Wiseman, uno dei più importanti cineasti al mondo, Leone d’oro alla carriera alla 71esima Mostra del cinema di Venezia, ci racconta il suo metodo di lavoro in occasione della rassegna a lui dedicata organizzata a Napoli da Arci Movie, Università Federico II e Parallelo 41.
A cura di Andrea Esposito
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Dal 25 al 27 febbraio uno dei più grandi documentaristi viventi, Fredrick Wiseman che l’anno scorso ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera alla 71esima Mostra del cinema di Venezia, ha presentato a Napoli il suo ultimo film “National Gallery” ed ha partecipato alla tre giorni a lui dedicata organizzata da Arci Movie, Università degli Studi di Napoli Federico II e Parallelo 41, dal titolo “Frederick Wiseman a Napoli”, una rassegna di sette film, a cura di Antonella Di Nocera, che ripercorre per tappe l’immensa opera del Maestro che conta ben 41 titoli. Noi lo abbiamo intervistato per farci spiegare il suo metodo di lavoro, pressoché unico, che come egli stesso ama ricordare “è molto più simile al lavoro di uno scrittore che a quello di un regista”.

Chi è Frederick Wiseman?

Wiseman nasce a Boston nel 1930, dove studia legge alla Yale Law School. Intorno ai trent’anni decide di dedicarsi al cinema. Il suo esordio dietro la macchina da presa avviene nel 1967 con il documentario “Titicut Follies” che racconta le condizioni della Prigione di Stato per criminali malati di mente a Bridgewater, Massachusetts. Da subito il film gli procura non pochi problemi legali che si risolveranno solo dopo vent’anni. L’anno seguente, nel 1968, esce “High school”, ambientato in una grande scuola superiore di Philadelphia. Prigioni, scuole, università, centri di ricerca, musei, teatri: sono le istituzioni, nell’accezione più ampia del termine, i luoghi scelti da Wiseman per ambientare i suoi lavori. “L’istituzione – racconta il regista – è per me come il perimetro di un campo da tennis, quelle linee delimitano lo spazio in cui posso muovermi liberamente”. Secondo Manohla Dargis, critica cinematografica del New York Times, “Preso nel suo complesso, questo è un lavoro che restituisce un ampio, continuativo, ritratto dell’America contemporanea, delle sue istituzioni, delle relazioni sociali, dei sistemi di controllo amministrativi e burocratici e ovviamente, proprio al centro del quadro del regista, delle sue persone.”

Il metodo

“Ho imparato più cose su come si fanno i film dai libri che ho letto che dai film che ho visto”. Wiseman è stato spesso accostato a scrittori come Dickens, Kafka, Balzac più che ad altri registi. Il suo metodo di lavoro, come testimonia anche la nostra intervista, è unico. Egli, infatti, sceglie un’istituzione che può essere un manicomio criminale del Massachusetts (“Titicut Follies”) o un’agenzia di moda di New York; un tribunale minorile del Tennessee (“Juvenile Court”), o un centro per le vittima di violenza domestica della Florida (“Domestic Violence 2”); una palestra texana di pugilato (“Boxing gym”) o il corpo di ballo dell’Opera di Parigi (“La Danse”). Dopodiché, passa anche tre mesi all’interno di questi luoghi dove raccoglie molte decine di ore di girato, spesso nell’ordine di un paio di centinaia: “quando filmo non ho mai un tema preciso in mente– racconta Wiseman -, altrimenti mi sentirei come un cavallo con i paraocchi”. Una volta raccolto tanto materiale, che non prevede mai interviste dirette, passa da 6 mesi ad un anno al montaggio: “È lì che scelgo il tema del mio film e la sua struttura”. Wiseman non utilizza musiche, né voci fuori campo, i suoi film sono un flusso di immagini e dialoghi “rubati”. In altre parole, Wiseman raccoglie una grossa quantità di documenti, ambienti, dialoghi, volti, atmosfere e in montaggio li riscrive senza suggerire nulla però allo spettatore, “proprio come uno scrittore, che mette in scena dei personaggi e dei caratteri ma non rivela cosa faranno e cosa dobbiamo pensare di loro”. Pertanto sta allo spettatore seguire l’intera vicenda e farsi un’idea di ciò che ha visto: “Il mio punto di vista – prosegue il regista – è indiretto ed è leggibile attraverso la struttura complessiva del film. Io cerco di non piegare mai ciò che filmo alle mie necessità ideologiche”.

“ "Faccio film parziali, pregiudiziali, manipolatori, ma giusti, fedeli alla mia percezione di quello che sta accadendo" ”
Frederick Wiseman

Il Leone d’oro alla carriera

Il 29 agosto scorso, nella Sala Grande del Palazzo del Cinema, Michel Piccoli ha consegnato a Frederick Wiseman il Leone d’oro alla carriera, nell’ambito della 71esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. “È stato un onore per me dato che sono il primo documentarista a cui viene assegnato il premio. Io credo che in generale questo sia un riconoscimento al documentario in sé. Una prova che il documentario può essere considerato allo stesso livello dei film di finzione”. E in effetti è proprio ciò che sta accadendo a Venezia da quando Barbera ne è diventato direttore: il documentario ha sempre più spazio come testimonia anche il Leone d’oro per il miglior film dato a “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi nel 2013.

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