Un’app può davvero spiegare ai genitori il motivo per cui piangono i neonati? Il parere dello psicologo
Dal Canada è arrivata un'applicazione in grado di tradurre, per i genitori, il pianto dei loro bambini in specifiche richieste. In questo modo mamme, papà, baby-sitter o nonni potranno essere supportati, sapendo come intervenire a seconda che l'intelligenza artificiale rilevi che il piccolo è assonnato, ha fame o è infastidito da qualcosa. Il suo ideatore, in un'intervista per Fanpage.it ha sottolineato quanto sia importante però non smettere di affidarsi al proprio istinto, e utilizzare l'applicazione, come un aiuto e mai come un sostituto al proprio ruolo genitoriale.
Abbiamo chiesto a Daniele Capiato, psicoterapeuta specializzato in Psicologia Dinamico-Clinica dell'infanzia, adolescenza e famiglia, di commentare il valore del pianto nei bambini e l'utilizzo di quest'app.
Perché i bimbi piangono?
I bambini piangono per innumerevoli motivazioni, innanzitutto perché in assenza di linguaggio è il pianto il loro canale comunicativo primario. I bisogni per i quali scoppiano in pianto nei primi giorni di vita sono quelli definiti "primari", gli stessi che individua l'app: l’alimentazione e il disagio provocato dalla temperatura o dal sentire il pannolino sporco. Il cerchio è davvero ristretto, ma se il bimbo dopo il primo intervento genitoriale continua a piangere, si può tranquillamente proseguire a tentativi, finché non si scopre il motivo e il bimbo non si calma.
E se il genitore non riesce a comprenderlo?
La speranza è sempre che il genitore entri in empatia con il bambino, riuscendo a comprenderlo, e in questo caso l’app sarebbe un accessorio, se invece viene usata proprio in sostituzione dei genitori è molto grave, a questo punto meglio non sapere come rispondere alle richieste dei bambini che farsi sostituire dall'app.
Quindi se il genitore non sa come interrompere il pianto del bambino non è per forza un male?
No, non sempre. Noi stiamo facendo un discorso unidirezionale, pensando solo al bimbo che piange e al genitore che deve comprenderlo, senza pensare che il bambino, invece, impara a modulare le sue richieste in base alle reazioni del genitore stesso, il piccolo si adegua e capisce che il genitore non lo sta capendo.
Quando la tecnologia entra nelle nostre vite, sembra che noi esseri umani perdiamo delle competenze. Non c’è il rischio che quest'app faccia perdere ai genitori la capacità di comprendere il proprio figlio?
In realtà, una volta che abbiamo imparato, prima di utilizzare la tecnologia, come svolgere certe attività, se ce la togliessero, con fatica e dopo un po’ di tempo, torneremmo a ricordare. Tuttavia nel caso specifico di questa app, non stiamo parlando di calcoli matematici che può fare la calcolatrice o di percorsi che può suggerire il gps, che rispondono all’intelligenza cognitiva, ma di intelligenza emotiva ed empatia. Quindi non penso che l’utilizzo dell’app possa inficiare una competenza empatica, forse è più preoccupante se l’app diventa un elemento intermediario, che si situa tra genitore e bambino, ossia se il genitore accetta solo l’input che viene dall’app e non dal proprio vissuto emotivo o dalla lettura anche sbagliata del comportamento del suo bambino.
E se il genitore dovesse provare delle sensazioni negative per non riuscire a comprendere il pianto del proprio bambino?
A volte è importante anche stare male, e lo dico da psicoterapeuta, non c’è niente di più sano per lo sviluppo delle relazioni dei propri vissuti emotivi che la frustrazione. È importante provare questo sentimento, cercando di non lasciarsi prendere dal panico, e capendo poi con l’esperienza come intervenire. Ovviamente si può richiedere l’intervento di un esperto quando il rapporto con il bambino inizia a scivolare verso un aspetto più patologico, ma è ben diverso dal non riuscire a comprenderne il pianto. Penso che a volte da genitori dimentichiamo che è sufficiente essere genitori passabili, non importa essere perfetti.