“Un mio compagno di classe è cattivo con me”, come gestire i litigi dei bambini senza sminuirli o intervenire
Quando i bimbi frequentano la scuola dell'infanzia vivono spesso dei momenti di conflittualità con i compagni di classe che, come ci spiega la dottoressa Angelica Arace, psicologa e psicoterapeuta, servono loro per cimentarsi per la prima volta nelle dinamiche sociali.
La dottoressa ha spiegato a Fanpage.it, come i genitori dovrebbero agire per gestire queste prime liti tra bambini.
"Mai intervenire personalmente scaricando la propria rabbia sul bambino che si è comportato male con nostro figlio, molto meglio cercare di far ragionare il bimbo su come mai a volte ci si comporti in maniera scortese con gli altri, così che quando sarà lui il "cattivo" della situazione non se la prenda troppo con se stesso".
Come dovrebbe agire un genitore se suo figlio torna da scuola apostrofando un compagno come cattivo?
Innanzitutto bisogna ricordare che la conflittualità tra bambini è un fenomeno diffuso e normale, serve ai piccoli per imparare a sviluppare le abilità sociali necessarie a gestire al meglio il conflitto con i coetanei, senza che questo degeneri nel trattarli male.
Quando il bimbo torna da scuola e riferisce di avere delle conflittualità con un compagno di classe, anche se potrebbe venire spontaneo, la prima cosa da evitare di fare è identificarsi immediatamente con il bambino, pensando di poter agire, quando in realtà non si conoscere bene la situazione. È meglio prendersi del tempo per comprendere la gravità della situazione e indagare la frequenza con cui si ripetono i maltrattamenti, chiedendo al bimbo come si sente.
Non serve preoccuparsi eccessivamente, perché con l’allarmismo si può spaventare il piccolo che magari ha vissuto un conflitto banale, ma al contempo nemmeno va minimizzato o banalizzato quello che il bimbo ha vissuto, perché sta riportando una situazione di malessere emotivo, che va riconosciuto.
Si può raccontare l'accaduto agli insegnanti?
Trattandosi di bimbi piccoli la cosa migliore è interfacciarsi proprio con le insegnanti, comprendendo anche il loro punto di vista sulla situazione. Le docenti hanno un occhio allenato, che può permettere al genitore di capire se è dinnanzi ad un problema o a una normale fase evolutiva in cui i bambini hanno bisogno di scontrarsi per comprendere fino a dove arriva la loro libertà e cosa sia il rispetto reciproco.
Fino a che punto il genitore deve indagare con il bambino?
Penso che nulla di ciò che vivono i bambini debba passare inosservato, e che quindi il genitore dovrebbe cercare di aiutare in ogni occasione il proprio bimbo a capire cosa sta capitando.
Le indagini devono essere più approfondite se si capisce che l'evento non è episodico ma si ripete spesso o se il bimbo viene magari escluso da un gruppo, perché ci sono bimbi più prevaricanti di lui.
Come si spiega ad un bimbo che chi si arrabbia con lui non è per forza "cattivo"?
Per prima cosa eliminando il vocabolario della cattiveria. I bimbi dovrebbero essere aiutati a capire le motivazioni che portano gli altri a comportarsi in un certo modo, la categoria "cattiveria" riduce ad un tratto di personalità ineliminabile, un comportamento che ha delle motivazioni che il piccolo dovrebbe cercare di comprendere.
Quindi va detto al bimbo che il suo compagno di classe non è cattivo, semplicemente non riesce a esternare in altro modo la sua volontà di stare in un gruppo o giocare insieme.
Già a questa età si può aiutare i bambini a porsi delle domande perché imparino a mettersi nei panni degli altri, diventando prosociali e comprensivi, quindi facendoli ragionare sul perché il compagno di classe si sia comportato così.
Minimizzare la situazione dicendo al bimbo “hai ragione il tuo compagno è cattivo, si comporta male” è peggio, perché quando un giorno il piccolo, che in questo momento è la vittima, agirà in malo modo perché non riuscirà a controllare le sue emozioni, allora si sentirà cattivo, invece di sentirsi un essere umano che in quel momento semplicemente non riesce a controllare le sue reazioni emotive o comportamentali.
L'autoregolazione delle emozioni e del comportamento è un traguardo che si raggiunge tra l’adolescenza e la prima età adulta, ma è importante che i bimbi comprendano le motivazioni che stanno alla base dei comportamenti degli altri, imparando delle strategie anche minime con l’aiuto degli adulti di riferimento, siano gli insegnanti o i genitori.
Il genitore può intervenire personalmente, riprendendo il bambino che si è comportato male?
No, non c’è nulla di più sbagliato, il genitore non ha vissuto il contesto che il bambino gli ha raccontato quindi perché dovrebbe agire? Con ciò non intendo dire che non bisogna credere ai racconti dei bambini, ma va ricordato che stanno raccontando l’accaduto dal loro punto di vista che è ancora molto egocentrico.
Come adulti è eticamente e moralmente non condivisibile mettersi nella posizione di chi interviene contro un altro bambino che ha gli stessi strumenti del proprio figlio. Possiamo chiedere ragguaglio agli insegnanti e magari saranno loro a condividere se necessario con l’altra famiglia dei passaggi o momenti di conforto.
Se il genitore si interfaccia con un bimbo che non è il proprio per rimproverarlo, è solo e soltanto per scaricare la sua rabbia momentanea, non ha nulla di educativo, anzi è controproducente perché sì che l’adulto riproponga la stessa dinamica disfunzionale messa in atto dal figlio.
Come si fa a spiegare al bimbo che deve difendersi, senza che diventi violento o maleducato?
È un percorso molto lungo che inizia con il buon esempio in famiglia e nei contesti educativi, in cui bisogna passare il messaggio al bambino che lui giustamente può difendere i suoi diritti dicendo cosa gli piace e cosa no, ma che deve rispettare anche quelli degli altri, imparando a cooperare e a mettersi nei loro panni.
Guardando come si comportano gli adulti di riferimento i bimbi imparano che la propria libertà finisce quando inizia quella degli altri.