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Un esame del sangue può rivelare il rischio di parto prematuro all’inizio della gravidanza: lo studio

Un nuovo studio condotto in Cina ha dimostrato che l’analisi del DNA libero circolante nel sangue materno, già prevista nei test prenatali, può prevedere con precisione il rischio di parto prematuro. Il metodo è semplice, non invasivo e applicabile senza costi aggiuntivi.
A cura di Niccolò De Rosa
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Un semplice esame del sangue economico e non invasivo, già previsto tra i controlli prenatali di routine, potrebbe rivelarsi un prezioso strumento per prevedere con largo anticipo il rischio di parto prematuro. Lo suggerisce un nuovo studio condotto da un team di ricercatori inglesi e cinesi, secondo cui l’analisi del DNA libero circolante (cfDNA) sarebbe in grado di fornire indicazioni accurate sul rischio di nascita anticipata, senza la necessità di test aggiuntivi o costosi.

Un problema diffuso e spesso imprevedibile

Il parto prematuro, un evento che ad oggi interessa circa l'11% delle nascite, resta una delle principali cause di complicanze per mamma e neonato, eppure spesso arriva senza preavviso. Per questo, la possibilità di prevederlo già nel secondo trimestre potrebbe rappresentare una svolta significativa nella medicina prenatale. Stando a quanto riportato nello studio pubblicato su PLOS Medicine, gli studiosi del King's College di Londra e dell'Università di Medicina di Guangzhou sono riusciti infatti individuare nel cfDNA un indicatore affidabile: si tratta di piccoli frammenti di DNA rilasciati nel sangue materno da cellule della placenta e di altri tessuti, già analizzati nei test non invasivi utilizzati per la diagnosi di anomalie cromosomiche.

Le differenze genetiche tra parto pramaturo e a termine

Lo studio ha coinvolto tre ospedali cinesi, dove sono stati raccolti campioni di cfDNA da donne tra la 12esima e la 28esima settimana di gravidanza. Le partecipanti sono state poi suddivise tra chi ha partorito prima del termine e chi ha completato la gestazione. Attraverso il sequenziamento dell’intero genoma, gli scienziati si sono così concentrati sui promotori, ossia le regioni di DNA che regolano l’attività dei geni. L’ipotesi era che queste zone potessero mostrare differenze significative tra gravidanze a rischio e non.

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Il confronto tra i profili genetici ha così evidenziato una minore copertura nelle regioni di inizio trascrizione dei geni più attivi nei casi di parto prematuro. Detto in altre parole, gli scienziati si sono accorti che nei casi di parto prematuro, alcune zone del DNA risultavano meno "visibili" o meno presenti. Lo stesso schema è emerso anche nei geni associati alle piastrine e nei cosiddetti geni "di housekeeping", quelli sempre attivi in tutte le cellule. In totale, sono stati identificati 277 geni con comportamenti diversi tra i due gruppi. Tra questi ci sono alcuni già noti per il loro ruolo nei processi cellulari che riguardano la gravidanza, come ERBB2, ESR1 e RAF1.

Perché si tratta di una scoperta importante

Il punto di forza di questa scoperta risiede nella possibilità di applicarla senza modificare gli attuali protocolli di screening prenatale. L’algoritmo sviluppato, chiamato PTerm, ha infatti dimostrato un’alta precisione nel distinguere le gravidanze a rischio di parto prematuro. Qualora le conclusioni della ricerca venissero confermate anche dai prossimi approfondimenti, basterebbe dunque aggiungere questi parametri agli esami del sangue cui una donna incinta è già tenuta a sottoporsi per aumentare significativamente le chance di prevedere un rischio di parto prematuro. "Sfruttare queste informazioni potrebbe permettere di prevedere con maggiore accuratezza anche l’epoca del parto", scrivono gli autori dello studio, sottolineando come l’aggiunta di dati su altre fasi della gravidanza potrebbe rendere il modello ancora più preciso.

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