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Torna il voto in condotta, il parere del pedagogista: “Trasforma la scuola in una pena da espiare”

Il pedagogista Daniele Novara racconta a Fanpage.it perché questo ritorno al passato sia sintomo di un approccio ideologico al mondo della scuola: “Il voto in condotta è inutile e dannoso. Gli errori devono far crescere, non essere motivo di una condanna”.
Intervista a Daniele Novara
Pedagogista, saggista, direttore e fondatore del Centro PsicoPedagogico per l'educazione la gestione dei conflitti.
A cura di Niccolò De Rosa
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Voto in condotta

Dopo il sì definitivo della Camera incassato dal Governo mercoledì 25 settembre, nelle pagelle degli studenti italiani torna a pesare il voto in condotta, la valutazione del comportamento che, in caso d'insufficienza, sia alle medie che alle superiori comporterà automaticamente la bocciatura dell'allievo.

Tale ritorno al passato – che insieme alla condotta reintroduce i giudizi sintetici per la scuola primaria (ottimo, distinto, sufficiente etc…) – è stato accolto con parecchie perplessità da parte di molti insegnanti ed esperti di educazione, dubbiosi sull'efficacia educativa di un approccio autoritario e repressivo nei confronti della crescita dei ragazzi.

Una delle voci più critiche è stata quella di Daniele Novara, pedagogista, saggista e fondatore del Centro PsicoPedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti, che a Fanpage.it ha spiegato la propria posizione in merito a una novità che sembra riportare indietro di un decennio le lancette dell'orologio.

Professore, perché si è detto contrario al ritorno del voto in condotta?

Il voto di condotta è inutile e anche dannoso. Tra le ragioni dietro a questo provvedimento Valditara ha più volte sbandierato quei casi in cui gli alunni hanno deriso o aggredito gli insegnanti, ma i dati italiani, che infatti nessuna nota ministeriale ha mai citato, sono tra i migliori in Europa. Non c’è alcuna emergenza. I ragazzi italiani semmai sono depressi, non aggressivi. Ma mettiamo che, come successo l’anno scorso a Rovigo, qualche testa calda tiri i pallini di carta all’insegnante. Gli autori di quel gesto sono da aiutare ed educare, non condannare. La scuola non è un tribunale.

Daniele Novara
Daniele Novara, saggista e pedagogista.

Ma allora come si fa a far capire lo sbaglio senza una punizione?

La convinzione, seppure diffusissima, che la punizione raddrizzi chi sbaglia è una delle posizioni più antiscientifiche del mondo. Punire alimenta il rancore e semmai aumenta le probabilità che il cattivo comportamento si ripeta. Le strategia più efficaci sono i trattamenti volti al recupero e alla comprensione dell’errore. Al ragazzo che manda a quel paese l’insegnante bisogna imporre un ciclo d’incontri per modulare la sua aggressività, non condannarlo e bocciarlo.

Per quale ragione?

Ma perché far ripetere un intero anno a uno studente che assume comportamenti scorretti significa trasformare la scuola, un luogo di apprendimento, in una pena da espiare. È davvero questo che vogliamo? L’opinione pubblica è dai tempi di Quintiliano che ha un atteggiamento negativo nei confronti delle nuove generazioni, ma è possibile che la politica si allinei a simili idee? Sembra che nessun adulto si ricordi di essere stato un adolescente, quindi un soggetto immaturo per natura, visto che il suo cervello deve ancora stabilizzarsi.

Lei si è espresso anche contro il ritorno dei giudizi sintetici. Gli stessi genitori però sembravano trovare le attuali valutazioni descrittive piuttosto incomprensibili…

Beh, questo è tutto da vedere, anche perché il Ministero non ha mai esaminato in alcun modo i risultati e i riscontro del nuovo – quello sì! – sistema di valutazione. Lo ha sempre e solo osteggiato in modo ideologico, oserei dire pre-elettorale, assecondando la necessità superficiale di ricorrere a termini immediati, tagliati con l’accetta, che però non hanno nessun valore pedagogico. È come se la scuola fosse guidata da un maestro d’ascia. Gli esseri umani sono complessi e vanno valutati nella loro complessità.

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Perché secondo lei quei giudizi descritti garantivano una maggiore valenza educativa?

Il passaggio a quelle formule (“avanzato”, “intermedio”, “base”, “in via di prima acquisizione”, ndr)  comportava per l’insegnante la necessità di spiegare la sua valutazione, fornendo ai genitori e agli stessi studenti un quadro più ampio della situazione. Ora invece con una parola, “insufficiente”, si chiude l’intera questione. È come se un allenatore di calcio, dopo una sconfitta, si presentasse nello spogliatoio e dicesse “È andata male”, senza analizzare i motivi per cui si è perso. Non penso che alla lunga i genitori saranno felici.

Secondo lei il voto in sé ha effettivamente un valore didattico ed educativo?

Il voto numerico, quello da 1 a 10, è  superato, è una cristallizzazione del giudizio che non dà ragione alla complessità dell’apprendimento, non spiega nulla. Io sono per la valutazione evolutiva: l’alunno ha diritto ad una valutazione, che però non deve essere un giudizio alla performance – che trasforma la scuola in una gara – ma una valutazione che consideri i progressi sulla base dei punti di partenza. Sono per una scuola che valuti i miglioramenti e consideri gli errori un elemento utile all’apprendimento, non una tragedia da sottolineare con un 2 o un 3. Non si può imparare che con gli errori, e questa è la nostra natura, non può essere abolita con la burocrazia. Bisogna saper capire i propri sbagli, non essere condannati per essi.

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