“Spenti i riflettori sul femminicidio di mia madre, sono rimasta sola”: la storia di Valentina Belvisi
"Dopo che tutti i riflettori puntati sulla nostra casa, sul femminicidio di mia madre, sul processo che ha visto Luigi Messina condannato a 18 anni di carcere, si sono spenti, nessuno si é occupata di me, la figlia rimasta in pochi attimi senza una mamma e senza un papà".
Valentina Belvisi racconta a Fanpage.it nella giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, la sua storia tutta d'un fiato, con la sicurezza di chi da 8 anni ha fatto della morte della sua mamma, per mano dell'uomo che lei non chiama mai padre ma definisce solo "lui", una battaglia.
Belvisi oggi racconta la storia di violenza durata anni tra le mura di casa sua e culminata con il femminicidio da parte di suo padre, Luigi Messina, con 23 coltellate, alla moglie Rosanna Belvisi e lo fa per ricordare la sua mamma, per sensibilizzare donne e uomini sul tema della violenza di genere e per fare luce su chi rimane, anche se tutti se ne dimenticano: gli orfani di femminicidio.
Schiacciata da un senso di colpa che la perseguiterà per sempre, Belvisi sente che avrebbe potuto fare di più per salvare la sua mamma, di cui non si è mai davvero sentita figlia, forse una sorella maggiore che avrebbe dovuto proteggerla. La violenza a cui ha assistito e che ha subito negli anni l'ha profondamente mutata, e incide anche sul rapporto che oggi ha con il suo bimbo: "Mio figlio chiama il suo papà per nome e non lo definisce mai padre, perché collega a quella parola tutto il male che l'uomo che io non ho mai chiamato così, ha fatto a me".
Valentina, che bambina sei stata?
Ripensando alla mia infanzia, ho ricordi che mi suscitano emozioni diverse, in quelli belli c’è sempre mia madre, in quelli brutti sempre lui.
Chi era la tua mamma?
La mia mamma era una bravissima donna amata da tutti, era una lavoratrice tenace apprezzata molto anche dai colleghi. Era anche molto introspettiva, teneva dentro tutto infatti gli altri non sapevano davvero chi era Luigi. Io mi sono sempre sentita davvero molto legata a lei, ci univa un rapporto paritario, quasi fossimo sorelle più che mamma e figlia.
A quali tipi di violenza si sono abituati i tuoi occhi in casa?
Quella psicologica, quella verbale e quella fisica, un po’ di tutto. Inoltre mia madre era l’unica a lavorare in casa, ma era lui ad amministrare i suoi soldi e il suo bancomat, dunque si perpetuava anche una sorta di violenza economica.
Assistevi soltanto a questa violenza o tuo padre è stato violento anche con te?
Lui è stato violento anche con me, io, però, a differenza di mia madre, reagivo e rispondevo con le mani, se lui mi attaccava con le mani.
Tua mamma invece era intimidita da lui?
Sì, ha avuto paura, poi ha iniziato a reagire ma in modo sbagliato secondo me, lasciando che rimanesse in casa mentre lei giustamente lo riempiva di insulti. Penso che avrebbe dovuto trovare la forza per mandarlo via.
Perché tua mamma non lo ha mai denunciato?
Le prime coltellate che lui ha rivolto a mia madre, risalgono a quando avevo 3 anni, sono certa che mia mamma abbia deciso di non denunciarlo allora perché aveva paura di perdermi. Non lo ha fatto neanche dopo perché lei era una donna molto tenace, voleva salvare l’insalvabile, credo fosse vittima di questa relazione malata.
Tu lo hai mai denunciato?
Sì, una volta, quando ancora ero minorenne, a quel punto mi hanno fatta stare in una comunità per 8 mesi, ma poi mi mancava mia madre e ho ritirato la denuncia perché preferivo combattere vicino a lei.
Quando sei tornata lui com’era?
All’inizio sembrava cambiato, poi ha cercato di colpirmi alla testa con un ombrello, diciamo che quella tregua apparente è durata davvero poco.
Ci racconti il giorno dell’omicidio?
Sì, premetto che io e mia madre non ci vedevamo da tempo, lei era partita un mese prima della sua morte per Pantelleria, io ero in Svizzera, stavamo entrambe metabolizzando la novità appena scoperta, ossia che Luigi aveva in quegli anni vissuto una vita parallela, aveva infatti un’amante e un figlio. Quella domenica avevo uno strano sentore, perché io e mia madre ci sentivamo sempre, dal momento che temevo costantemente che potesse accaderle qualcosa. La sentivo strana al telefono, fino a che non sono più riuscita a contattarla e ho avuto il sentore che fosse successo qualcosa. Poi l’ho scoperto guardando il telegiornale. Io volevo andare subito a casa da mia madre ma mi ha chiamato la squadra mobile, per dirmi di andare da loro in centrale a Milano, non volevano che andassi subito sul posto per vedere quello scempio. Quando poi sono arrivata a casa ho visto le coperte intrise di sangue, tutto il pavimento macchiato, mi sono piegata a pulirlo e sono scoppiata a piangere. Penso sia stata una delle prime volte in cui ho pianto, perché ho realizzato proprio come era morta la mia mamma.
Tuo padre aveva costruito una seconda relazione con un’altra donna, perché secondo te non ha lasciato tua madre?
Sì lui aveva un altro appartamento in cui viveva con un’altra donna che non lavorava. Penso che non abbia mai lasciato mia madre per una questione economica, gli servivano soldi e non aveva intenzione di mettersi a lavorare per guadagnarli.
Tu in un attimo ti sei trovata senza una mamma e senza un papà che è diventato un assassino, come ci si sente ad essere orfana di femminicidio?
Il vero dolore è stato accorgermi di essere senza mia madre, perché io quell’uomo non l’ho mai considerato un padre, non andavamo d’accordo, era violento, essere padri è un’altra cosa. Mia mamma era tutta la mia famiglia, senza di lei mi sono sentita sola, ho visto crollare tutto quello che avevo.
Come è stato ricominciare a vivere e diventare mamma dopo quello che hai vissuto?
Nulla è stato programmato, anche perché io non avevo più fiducia nel genere maschile, è complesso continuare ad averne quando hai un uomo come lui in casa. Poi ho incontrato mio marito che invece mi è stato vicino e mi ha insegnato cosa fosse l’amore, da qui un bambino è arrivato da sé e ora sono incinta del secondo.
Sei mamma di un figlio maschio, come gli insegnerai che si amano e rispettano le donne?
Cerco di spiegarglielo tutti i giorni, con le parole e con i gesti, tuttavia la società di oggi mi spaventa molto, è difficile essere mamma, io cerco di fare le scelte, anche educative, migliori per lui, non so se ci riesco.
Ti sei mai sentita additata come la figlia dell’assassino?
Sì, da qualche parente sì, non capivano che io ero la figlia di mia madre che non c’era più.
Tuo papà l’hai più rivisto?
Sì nel 2018, prima dell’appello quando ha fatto ricorso per i 18 anni di reclusione a cui è stato condannato, che credeva fossero troppi. In quell’occasione gli ho detto che avevo avviato le pratiche per cambiare cognome, lui mi ha detto che non si ricordava nulla del giorno dell’omicidio, cosa a cui non ho mai creduto. Mi ha poi contattata per dirmi di smettere di andare in tv a raccontare la storia di mia madre e io gli ho detto che finché sarò in vita non smetterò neanche un attimo di dire chi era mia mamma e cosa le è stato fatto.
Qual è l’insegnamento più grande che ti ha lasciato la tua mamma?
Innanzitutto di lavorare sempre, così da poter essere libera dalla dipendenza da un uomo, mi ha anche insegnato ad amare, dicendomi che l’amore era ben diverso da quello che avevo sempre visto in casa mia.
La prima pagina del tuo libro si apre con una frase fortissima: “Se io sono qui lo devo a te, che hai salvato la mia vita in cambio della tua”, me la spieghi?
Mia mamma mi diceva sempre che almeno io mi sarei dovuta salvare, e penso davvero che si sia sacrificata anche per liberare me.
"Perdonami se non sono riuscita a salvarti", continui nel libro, che colpa ne hai tu Valentina? Che colpe si sente addosso un’orfana di femminicidio?
Da quando è morta mia mamma io provo un immenso senso di colpa, sento di non essere riuscita a salvarla. Ho cercato per come potevo, ma tutti i giorni mi dico che forse avrei dovuto insistere di più, convincerla a mandarlo via, ad andarsene. Mia madre era una testa dura, non voleva mollare, mi diceva che doveva essere lui ad andarsene, ma dove poteva andare quell’uomo senza una casa, senza un soldo e senza un lavoro.
Pensi che sia importante parlare della violenza a cui assistono i figli e di chi resta dopo un femminicidio?
Sì, anche perché dopo che si risolve il crimine, cala il sipario e l’interesse mediatico, ma noi orfani esistiamo, continuiamo con immensa difficoltà a vivere anche se a nessuno interessa.
A tuo figlio racconti o racconterai chi era la sua nonna e cosa le è successo?
Questa domanda arriva in un momento un po’ particolare, ho detto a mio figlio, che oggi a 5 anni, che la nonna è morta per una malattia e che Luigi vive lontano. Una volta però mi ha chiesto com’era Luigi e io gli ho risposto che per me non era stato un buon padre, questo ha innescato uno strano meccanismo in mio figlio che dunque ha iniziato ad associare la parola “papà” a qualcosa di negativo, decidendo dunque di chiamare il suo papà per nome e mai “padre”.