video suggerito
video suggerito

Sindrome di Ondine, la rara malattia che toglie il respiro durante il sonno: “Ogni notte potrebbe essere l’ultima”

La sindrome di Ondine è una rara malattia genetica che danneggia il sistema nervoso centrale autonomo e impedisce a chi ne soffre il corretto adempimento di molte funzioni che normalmente l’organismo svolge in modo involontario, come la stessa respirazione. Fanpage.it ha raccolto alcune testimonianze di chi da anni vive a stretto contatto con questa condizione che impone ai bambini e le loro famiglie una vita sempre in allerta.
A cura di Niccolò De Rosa
299 CONDIVISIONI
Immagine

La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano la maternità e l’essere genitori. Se avete una storia da raccontarci, o leggendo queste parole pensate di avere vissuto una situazione simile, potete scriverci cliccando qui.

La sindrome di Ondine è una malattia rara e poco conosciuta, il cui nome proviene da una leggendaria ninfa germanica che punì il cavaliere che l'aveva ingannata con un terribile maleficio, privandolo del respiro ogni qual volta si fosse addormentato.

Chi soffre di questa condizione è infatti vittima della stessa sorte: durante il sonno, il suo corpo "si dimentica" di respirare, privando l'organismo di ossigeno ed esponendolo ad un rischio potenzialmente fatale.

Che cos'è la sindrome e come si gestisce

"La sindrome di Ondine è una malattia congenita molto rara, la cui insorgenza è imputabile alla mutazione del gene PHOX2B" spiega a Fanpage.it Arianna, che da circa 35 anni convive con la malattia scientificamente nota come ipoventilazione centrale congenita.

Questo gene ha  il compito di regolare molte funzioni del sistema nervoso autonomo, ossia tutte quelle attività che l'organismo svolge in modo involontario, come la respirazione o la gestione della temperatura corporea.

"La caratteristica principale è l'insufficienza respiratoria durante il sonno, ma spesso si accompagna anche a problemi legati al tratto intestinale, malattie cardiache e talvolta persino tumori della cresta neurale".

Chi è affetto dalla malattia può essere sottoposto ad un'intervento di tracheotomia per favorire la respirazione, tuttavia non sempre l'età e le condizioni di salute dei pazienti consentono questa soluzione. Le alternative sono quindi l'installazione di un pacemaker diaframmatico per stimolare la respirazione attraverso elettrodi impiantati chirurgicamente nell'addome (è il caso di Arianna) o l'utilizzo di maschere Bipap che aiutano chi le indossa a ventilare.

Sindrome di Ondine

Proprio come la maledizione della ninfa, la malattia al momento non ha cura e deve essere gestita per tutta la vita sia dai pazienti che dai loro familiari, poiché la particolarità dei sintomi richiede un supporto costante anche nei soggetti più autonomi.

La storia di Bea e Paolo

Un esempio lampante di come la sindrome di Ondine possa condizionare l'esistenza di una famiglia intera è stata raccontata a Fanpage.it da Bea, mamma amorevole che, come Arianna, fa parte dell'Associazione Italiana Sindrome di Ondine (o AISICC – Associazione Italiana per la Sindrome da Ipoventilazione Centrale Congenita), una realtà aggregativa che punta a sensibilizzare i cittadini su questa realtà semi-sconosciuta e organizza eventi per promuovere la ricerca scientifica, come la celebrazione della Giornata Mondiale della Sindrome di Ondine che si terrà il prossimo 28 settembre.

Da dodici anni Bea accudisce il figlio, Paolo (entrambi i nomi sono di fantasia), e per la loro famiglia ogni giorno rappresenta un'autentica sfida.

"Il caso di mio figlio è un po’ particolare perché soffre anche della malattia di Hirschsprung (o megacolon congenito), una patologia che colpisce l’intestino rendendo molto difficoltosa la defecazione e che spesso si sviluppa insieme alla sindrome di Ondine" spiega Bea.

"A causa di questa condizione, siamo dovuti rimanere per mesi in ospedale, poiché bisogna aspettare che il piccolo crescesse un po’ per poi togliergli l’ultimo tratto del colon. Negli anni il bambino ha anche sviluppato un leggero ritardo".

Quando vi siete accorti del problema?

Nei primi due anni di vita le cose sembravano andare abbastanza bene, anche se ogni notte notavamo che il bambino era sempre sudato. Dal momento che avevo iniziato a seguire le conferenze sulla malattia di Hirschsprung, ricordo che in un incontro qualcuno citò la sindrome di Ondine, una malattia che non conoscevo e sui cui mi sono dovuta informare.Così un giorno abbiamo portato il bambino da uno specialista.

Cosa scoprirono i medici?

Dopo averlo sottoposto ad un controllo della saturazione notturna, si sono quasi spaventati da quanto poco ossigeno avesse nel sangue durante la notte. A quel punto io stessa suggerii che forse poteva essere la sindrome di Ondine. E in effetti, nonostante l’iniziale scetticismo dei dottori, gli esami successivi mi hanno purtroppo dato ragione.

É stato un duro colpo?

Al momento della diagnosi eravamo già stremati dall’impegno necessario per gestire l’altra malattia, visto che l’intervento per trattare la Hirschsprung aveva reso Paolo incapace di trattenere le feci, obbligandoci a continui lavaggi dopo ogni pasto. Una notte lo abbiamo dovuto cambiare 17 volte. La situazione insomma non era delle più felici e la conferma della sindrome di Ondine fu una catastrofe.

A quali trattamenti fu sottoposto Paolo?

Nostro figlio era ancora troppo piccolo per sottoporsi a una tracheotomia per facilitare la respirazione. Dal momento della diagnosi il bambino ha quindi dovuto iniziare a indossare una maschera bipap che gli permettesse di respirare durante la notte.

Immagine

Come impatta questa malattia nella sua quotidianità?

Ormai è abituato alla maschera, ma da piccolo non la accettava e per noi è stata dura imporgliela. Poi il bambino necessita di essere controllato 24 ore su 24. La sindrome di Ondine non riguarda solo il riposo notturno, ma altera tutte le funzioni regolate dal sistema nervoso centrale autonomo.

Può fare un esempio?

La regolazione della temperatura corporea: chi soffre della sindrome a volta inizia a sudare copiosamente anche senza aver fatto il minimo sforzo fisico. Mio figlio dopo due calci al pallone deve cambiarsi la maglia perché è fradicia. Anche l’appetito risente di questa ‘disregolazione': mio figlio mangerebbe in continuazione, gli devo levare il piatto da sotto il naso.

Vostro figlio riesce a fare una vita normale?

Mio figlio va di tutto, ma non riesce mai a superare certi step. Da sei anni fa calcetto, ma ora oltre un certo punto proprio non ce la fa, si stanca troppo. Tanti altri bambini purtroppo non ottengono il via libera dei medici per fare sport. Anche qui insomma la situazione è molto variegata.

Riuscite a ricevere tutto l'aiuto di cui necessitate?

Ci sono molte difficoltà. Faccio un esempio: mio figlio ha ovviamente l’invalidità, ma questa deve essere rinnovata ogni cinque anni. Qual è il senso di sottoporre continuamente un bambino con una malattia incurabile, gravissima, a periodiche visite, con tutto lo stress che ne consegue? Per non parlare degli assurdi tagli agli ammortizzatori sociali: a noi hanno tolto il contrassegno l’auto. Certo, nostro figlio cammina autonomamente, ma quando ci spostiamo dobbiamo portarci dietro tutti i macchinari ogni volta che usciamo, non è proprio una passeggiata di salute.

Un ragazzo con la sindrome di Ondine, quanto può essere indipendente durante la sua crescita?

Purtroppo molto poco. Mio figlio ha 12 anni e io sono sempre con lui. Quest’anno ha provato a partecipare a un campus di una settimana a Lignano Sabbiadoro con il Comitato Paralimpico. Io l’ho accompagnato. Prima ancora aveva fatto una settimana nelle Marche per studiare l’inglese: anche in quella occasione ero con lui. Di giorno sta con gli altri, di notte sta con me. Con tutte le difficoltà nella conciliazione lavoro-famiglia che si possono immaginare.

Quali sono, da genitore, le prospettive future?

Cerco di non pensare troppo al futuro per tutelare la mia salute mentale. Mio figlio ogni notte potrebbe non sentire l’allarme del ventilatore e rimanere in apnea, per questo hanno sempre bisogno di qualcuno accanto. Non so se un domani avrà una ragazza, un’infermiera o qualcuno che si occuperà di lui. Paolo ha anche una sorella di un anno più grande, ma non è giusto che debba farsi carico di questo fardello. Per ora non ci pensiamo e viviamo alla giornata.

La speranza potrebbe essere nella ricerca?

Sì, ma essendo la malattia rarissima, i fondi sono veramente pochi. Noi come associazione proviamo a contribuire con donazioni ed eventi di beneficenza ma servirebbe molto di più.

299 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views