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Silvia, la mamma di due bimbi nati a 24 settimane. “Mi sono sentita anche io in un’incubatrice, lontana da tutti”

Silvia De Girolamo ha scritto a Fanpage.it per raccontare i giorni trascorsi in terapia intensiva neonatale con i suoi due bambini nati prematuri ad appena 24 settimane, che per 3 mesi hanno lottato per continuare a vivere. Ci ha rivelato i dubbi, il dolore e la paura di una situazione che ha portato lei e suo marito a rimanere isolati dal mondo e lo ha fatto perché non accada ad altre famiglie, di sentirsi le sole al mondo.
A cura di Sophia Crotti
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Silvia De Girolamo e i suoi figli

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"Quando eravamo davanti all'incubatrice, impotenti dinnanzi a quei due piccoli guerrieri, cercavamo conforto nelle storie degli altri. Sapere che qualcuno prima di noi ce l'aveva fatta ci ha dato la forza che serviva e che io voglio trasmettere a chi leggerà la mia storia".

Inizia così il racconto di Silvia De Girolamo a Fanpage.it, che quasi 5 anni dopo la nascita di quei 2 gemellini che lei e suo marito non si aspettavano di dover accogliere nelle loro vite, ha trovato il coraggio di condividere con gli altri.

I due bimbi di cui parla sono nati pretermine, a 24 settimane + 4, troppo piccoli per convincere i medici di poter sopravvivere e per trovare la forza di fare il primo pianto. Due piccoli guerrieri, così li definisce lei, che dopo 45 giorni in terapia intensiva neonatale e 3 mesi in ospedale, sono usciti di lì con la loro mamma e il loro papà.

"Io lo sapevo fin dal primo istante che ce l'avrebbero fatta, ma ho dovuto isolarmi dal dolore degli altri per continuare ad essere forte". Così Silvia si è rinchiusa in quella che lei definisce la sua incubatrice, isolandosi dai pianti dei bambini che le altre mamme ricoverate con lei potevano abbracciare e allattare, dalle parole fredde e distaccate dei medici e dalle domande di chi fuori dall'ospedale non capiva il suo dolore.

Fino al primo abbraccio che ha lasciato lei, suo marito e il loro primo figlio increduli davanti alla potenza e alla fragilità di quei due corpicini, che finalmente non dovevano più combattere per trovare il loro posto nel mondo.

Come hai scoperto di essere incinta e cosa hai provato?

È stato tutto un turbinio di emozioni, perché non è stata una gravidanza cercata. Io avevo già 39 anni e un figlio di 13 anni, e con mio marito non avevamo intenzione di allargare la famiglia.

Abbiamo comunque accolto la notizia con gioia, fino a che dopo un mese, durante una visita, mi hanno rivelato che sarei diventata la mamma di due gemelli e hanno iniziato a paventarmi tutti i possibili rischi collegati a questo tipo di gravidanza.

Io e mio marito non ci siamo parlati per due giorni, dovevamo metabolizzare, non sapevamo proprio come avremmo fatto con altri due bambini. A questo si sommava l'iter per una gravidanza gemellare, complesso, fatto di esami e preoccupazioni.

Poi come è andata la gravidanza?

Per i primi 5 mesi la gravidanza è stata normale, anche se i medici mi preparavano al fatto che ci sarebbe potuto essere scambio di sangue nella placenta tra i gemelli a causa dell’unica sacca amniotica, ma poi si sono accorti che i due bimbi erano in due sacchi diversi e condividevano solo la placenta.

Poi ho iniziato a stare male, avevo perdite di sangue causate dalla placenta previa, quindi mi hanno ricoverata e sono rimasta allettata e immobile per 17 giorni. Proprio quando sembrava che mi fossi ripresa, a circa 5 mesi e mezzo di gestazione, mi è venuta l'epatosi, in breve le mie transaminasi erano altissime e il mio fegato aveva smesso di funzionare.

bimbi nati prematuri

I medici a questo punto, senza mostrare alcuna empatia, mi hanno detto che dovevo partorire per forza altrimenti o io o i bambini non saremmo sopravvissuti. Io ero spaventata, sapevo che i miei bambini erano troppo piccoli per venire al mondo, inoltre i medici continuavano a dirmi che di prassi dovevano occuparsi prima di me che dei bambini e io mi sentivo morire. Non si può dire a una mamma che lei è più importante dei suoi figli.

A questo punto a 24 settimane mi hanno fatto partorire con un taglio cesareo e sono nati i miei bambini, uno di 700 g per 33 cm e l'altro di 870 g per 34 cm. Erano minuscoli.

Come ti sei sentita dopo il parto?

Malissimo, non c’è stata cosa più triste per me che non riuscire a sentire i miei bambini piangere appena nati. Guardavo mio marito e continuavo a chiedergli perché non piangessero, gli ho chiesto se fossero morti.

Nessuno mi aveva detto che i bimbi che nascono così piccoli non riescono proprio a piangere. Uno dei due era nato in arresto cardiaco ma i medici lo hanno prontamente rianimato e così entrambi sono stati messi in terapia intensiva, intubati per respirare.

Nel frattempo io vivevo il dolore più grande mai provato: i miei figli erano nati ma non avevo potuto vederli, toccarli o sentirli.

Dopo quanto avete capito come stavano?

Non nell'immediato. Io sono stata riportata in stanza affinché mi riprendessi dopo l’operazione, mentre mio marito è sceso in terapia intensiva neonatale, ma è stato lasciato in attesa, senza che nessuno gli dicesse nulla.

Dopo ore di attesa mio marito, mosso dall’ansia e dal dolore, ha minacciato che avrebbe buttato giù la porta se non lo avessero fatto parlare con qualcuno in grado di dirgli come stavano i nostri figli.

Il primario a quel punto gli ha parlato e gli ha detto che i bimbi erano in pericolo di vita. A lui è toccato il compito di riferire anche a me questa cosa.

E tu come hai reagito?

Io ero preoccupata, però dentro di me, quando sono nati, ho provato una sensazione che non saprei nemmeno spiegare: ho sentito che ce l’avrebbero fatta entrambi.

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Quando mio marito mi ha fatto vedere le prime foto di quei due bambini tanto piccoli da assomigliare più a dei topolini che a dei neonati, si aspettava che io scoppiassi in pianto, perché lui era distrutto, e invece io ero felice, perché erano vivi.

Come sono stati i giorni in tin?

Sono stati dei giorni difficilissimi, per tre mesi quei due corpicini hanno combattuto costantemente per vivere, e i medici non avevano mai notizie positive da darci, perché non volevano ci aggrappassimo a delle false speranze.

Noi guardavamo i nostri bambini immersi tra i tubi senza poter fare nulla di concreto per loro, è stato terribile. I piccoli sono stati ricoverati prima in terapia intensiva, poi in subintensiva, dopo 45 giorni sono stati estubati e sono passati alle naso-cannule.

Ci sono state delle complicanze?

Sì, i miei bimbi, essendo nati così prematuri, hanno avuto problemi alla vista, rischiavano la cecità e quindi sono stati trasportati all'ospedale Bambino Gesù per effettuare il laser agli occhi. Dopo l'operazione li hanno rispostati in terapia subintensiva e io e mio marito li abbiamo sempre seguiti.

Emotivamente come sono stati i giorni di attesa in tin?

Non nego che eravamo disperati, è stato davvero duro non arrendersi, perché siamo stati abbandonati a noi stessi, nel nostro dolore.

Abbiamo passato intere giornate davanti alle incubatrici, dove l’unica cosa che potevamo fare era pregare e cercare di parlare con i nostri bimbi.

Vicino a noi c’erano bambini che morivano, altri parti gemellari in cui alla fine riusciva a sopravvivere solo un solo fratello, e ogni volta che vedevo un genitore piangere per la morte del suo bimbo, mi sentivo morire anche io.

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Per me è stato come se anch'io fossi in una sorta di incubatrice, isolata dal mondo esterno, mentre tentavo di isolarmi dal dolore degli altri, che era un po’ anche il mio.

Chiusa nella mia incubatrice nessuno riusciva a capirmi, se non chi era lì al mio fianco poiché si trovava nella mia stessa situazione.

Parenti e amici non si rendevano conto davvero di come stessimo e mi ricordo che facevo tante foto ai miei bimbi ma che poi avevo paura di mandarle a chi mi chiedeva di loro, perché temevo si impressionassero, nonostante per me quei due bambini così piccoli fossero meravigliosi dal primo giorno.

Tu sei stata ricoverata e avevi accesso quando volevi alla tin?

No, abbiamo sempre aspettato ore prima di poter entrare e una volta dentro potevamo stare giusto 5 minuti lì. Poi quando mi hanno dimessa non essendo noi economicamente particolarmente agiati, non potevo prendere una stanza vicino all’ospedale e io sul momento ho chiesto a mio marito di comprarmi una tenda e di metterci lì fuori.

E come avete fatto a spiegare ciò che stava accadendo al fratello maggiore?

Per lui la situazione è stata davvero pesante, noi non c’eravamo mai e neanche i suoi fratellini che aveva tanto atteso.  Abbiamo cercato di spiegargli cosa stava accadendo, coinvolgendolo e preparandolo. Lui è stato triste per i suoi fratelli e per noi, ma ci è stato sempre molto vicino, mi ricordo che mi diceva sempre “mamma andrà tutto bene vedrai”.

Quando hai capito che i tuoi figli ce l’avevano fatta?

Quando siamo usciti dalla sub intensiva, dopo la terapia intensiva, mi sono detta che forse era tutto vero, i miei figli erano vivi e stavano bene.

Cosa hai provato la prima volta che hai preso in braccio i tuoi figli?

Ci sono stati due primi abbracci. La prima volta li ho messi sul mio petto, grazie alla gentilezza di un’infermiera, perché in terapia intensiva erano tutti presissimi, ma lei mi ha vista distrutta dopo 45 giorni di attesa e mi ha proposto questa terapia per la quale i bimbi dovevano stare a contatto con la mia pelle. Quando li ho sentiti su di me ho iniziato a piangere. Lì finalmente ho capito che quei bambini erano i miei figli.

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Mi sono sentita come se quel legame interrotto fin dalla loro nascita, in quel momento fosse stato ripristinato. Tutto tornava ad avere un senso. Io temevo di far loro male e loro rispondevano a tutte le mie insicurezze, dimostrandomi che solo quando erano sul mio petto respiravano meglio. Era come se quei due bimbi minuscoli mi dimostrassero che sentivano la loro mamma vicino, sapevano di essere al sicuro.

E il secondo primo abbraccio…

Il secondo primo abbraccio è avvenuto senza tutti quei fili, io e mio marito ci guardavamo increduli, ci scambiavamo i due bambini e piangevamo perché non riuscivamo a credere che finalmente il peggio fosse passato.

In quel momento insieme alle nostre lacrime abbiamo lasciato andare la stanchezza di quei mesi infiniti, quell'armatura che ci obbligava ad essere sempre forti e tutte le nostre paure.

Poi siete tornati a casa..

Sì, il primo bimbo lo abbiamo potuto portare a casa quando è arrivato a 2 kg e 2, l’altro è uscito prima di arrivare a quel peso, quando ancora era ad 1kg e 7,  perché intanto si stava avvicinando il Covid.

A casa siete stati accolti da amici e parenti al vostro arrivo?

Assolutamente no, l’iter con due bambini nati così prematuri ci ha portati a rimanere ancora a lungo soli. Non potevamo uscire, nessuno poteva venire a trovarci e il fratello maggiore ha dovuto fare il suo ultimo anno di scuole medie da privatista, studiando a casa con me, per proteggere i suoi fratelli dal rischio di prendere qualche infezione.

pramaturi

Eravamo nuovamente nella nostra incubatrice, abbiamo festeggiato tra noi, isolati dal mondo.

Poi è andato tutto bene?

No, il bimbo più piccolo è stato ancora una volta ricoverato d’urgenza, a causa di una bronchiolite, per altri 14 giorni nella sub intensiva all’Ospedale San Giovanni. Qui io e mio marito abbiamo dovuto fare una scelta molto coraggiosa, ma quando hai dei bambini che vivono una situazione del genere diventi un po’ medico anche tu.

I medici non se la sentivano di dimettere nostro figlio, ma ci sembrava che la loro indecisione dipendesse dal fatto che in quella struttura non avessero molto a che fare con i nati prematuri, quindi abbiamo sentito il primario dell’ospedale dove i piccoli erano nati, gli abbiamo spiegato come stava nostro figlio e lui ci ha detto di firmare le dimissioni e portarlo a casa, perché in ospedale avrebbe solo rischiato di stare peggio. Così il 24 dicembre 2019 lo abbiamo riportato a casa.

Come avete fatto a gestire tutto questo dolore e a continuare a vivere la vostra vita?

Noi siamo stati molto soli, non avevamo una famiglia alle spalle che ci potesse aiutare, ci aiutavano i vicini di casa, alcune persone incontrate in ospedale, ma ad oggi non sappiamo neanche noi come abbiamo fatto ad affrontare con così poche risorse un dolore così grande.

Essere soli in situazioni di questo genere è una cosa troppo pesante, io e mio marito ci organizzavamo per fare in macchina tutti i giorni tutti i km che ci separavano dall’ospedale dove erano ricoverati i bambini. Io ho dovuto lasciare il lavoro, facevo la consulente informatica ma per le mie continue assenze e troppi problemi mi hanno fatto capire che non c’era posto per me. Mio marito che invece lavora nelle forze dell’ordine è stato trattato molto bene, gli sono venuti incontro dicendogli di non preoccuparsi per nulla e di pensare ai bambini.

Come è stato vivere quei giorni in cui il momento più bello della tua vita poteva diventare una tragedia?

Io non ho vissuto, sono sopravvissuta, e per farlo mi sono dovuta proteggere da tante cose.

Per esempio avrei dovuto parlare ogni giorno con il primario ma mi sono rifiutata, non volevo che le sue sentenze mi trascinassero giù. Mi sono detta che ci sarei dovuta essere solo per i miei figli.

preamaturi

Questo perché il giorno dopo il parto, quando mi mancava l’aria per respirare e non stavo in piedi dal dolore, il primario mi ha detto “Signora la situazione è tragica, i suoi figli non ce la faranno”. Io gli ho risposto, con quella poca aria che avevo nei polmoni: “Si fermi, non voglio ascoltare altro, i miei figli vivranno”.

Altre cose dalle quali cercavo di isolarmi e che se ci ripenso sono state di un livello di violenza psicologica immenso, erano i pianti dei bambini delle mamme che avevano appena partorito e si trovavano in stanza con me. Io piangevo e mi chiedevo perché non potessi vedere mio figlio, mentre le altre mamme allattavano i loro bimbi in camera a fianco a me.

Oggi i bimbi come stanno?

Ad agosto faranno 5 anni, fisicamente sono due torelli, i loro polmoni sono broncodisplasici e questo significa che le infezioni respiratorie sono sempre un po’ problematiche per loro. Anche la loro vista è compromessa ma almeno vedono. Poi hanno un ritardo globale dello sviluppo, devono fare terapia, logopedia.

gemellini

Ma io li guardo crescere e li vedo sempre lottare come guerrieri, ogni giorno mi stupisco di loro e della loro forza, penso che io tutta quella forza, quel coraggio, non lo avrei. E lo penso guardando quelle cicatrici che hanno sulle braccia causate dagli aghi e dalle operazioni che hanno subito nei loro primi giorni di vita. Li guardo e imparo a vivere, o forse imparo cosa significa voler vivere a tutti i costi.

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