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“Se fai il cattivo arriva il lupo nero”: cosa succede quando si educano i bambini mettendo loro paura

A volte i genitori, stanchi dopo l’ennesimo rifiuto del loro bambino, utilizzano frasi volte a spaventarlo, abbiamo chiesto alla professoressa Luisa Zecca di spiegarci perché questo accade e cosa comporta nei bimbi.
Intervista a Professoressa Luisa Zecca
Docente di Didattica e Pedagogia Speciale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca
A cura di Sophia Crotti
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genitore arrabbiato

"Ti lascio qui da solo", "Se continui così arriva il lupo nero" sono solo alcune frasi che a volte, esasperati dai capricci o i continui no dei propri bambini, i genitori sovrappensiero usano, senza neanche spiegarsi il perché. Abbiamo chiesto alla professoressa universitaria Luisa Zecca che insegna Didattica e Pedagogia Speciale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca di spiegarci se queste frasi sono tanto dannose per i bambini o se, al contrario, è per loro dannoso avere davanti due genitori "perfetti" che non si fanno mai travolgere dalla collera.

Professoressa Luisa Zecca (docente di didattica e pedagogia speciale presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca)
Professoressa Luisa Zecca (docente di Didattica e Pedagogia Speciale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca)

Professoressa, perché a volte ai genitori scappano frasi come "ti lascio qui da solo" rivolte ai bambini?

I genitori credono di compiere scelte libere nell’educazione dei loro figli, ma invece molto dipende da come loro stessi sono stati cresciuti o da com’è la società in cui si trovano a crescere i propri figli. Oggi mamme e papà accedono a tantissimi contenuti online, e in base al proprio background culturale scelgono cosa è giusto e cosa no per i propri figli, ma ricordiamo che fino a pochi anni fa in TV erano trasmessi dei programmi sulle tate, ad esempio, che hanno cercato di dire alle famiglie quanto fosse importante che i genitori, in quanto educatori, fossero autorevoli, anche autoritari. Da un lato perché i bambini hanno bisogno di contenimento e di conoscere delle regole, per la loro stessa sopravvivenza, dall’altro perché devono imparare alcune regole del vivere comune e introiettare alcuni valori.

Quando si diventa genitori, infatti, si tende automaticamente ad attuare il processo di inculturazione, ossia a trasmettere ai propri figli il modo in cui si è stati cresciuti. In questo bagaglio culturale si trova anche la cosiddetta “pedagogia nera”, che si trasmette di generazione in generazione anche attraverso le fiabe; dunque, se i propri genitori erano soliti dire frasi come “Se fai il cattivo arriva il lupo cattivo”, si tenderà a fare lo stesso. Inoltre capita che i genitori, non essendo educatori professionisti, mettano in atto una serie di azioni che non sono frutto di riflessione, e talvolta questo può essere un bene, perché i bimbi hanno bisogno anche di spontaneità.

Una frase come “se non vieni ti lascio qui” o “se fai il cattivo arriva il lupo e ti porta via” che effetto ha sul bambino?

Sui bambini ha più efficacia la comunicazione non verbale rispetto a quella verbale, e quindi tutto dipende anche da come queste frasi vengono dette dai genitori. I bimbi riescono a interpretare lo stato in cui si trova il genitore, dunque a capire se dice “O vieni o ti lascio qui” perché è solo stressato e in preda a una crisi di nervi oppure se usa questa frase per regolare un suo comportamento sbagliato.

Questa "pedagogia nera" arriva da un retaggio culturale che ci portiamo avanti da tanto? 

Esatto. Pensiamo che è solo dagli anni ’90, con la convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e l’adolescenza, che il bambino è concepito come soggetto portatore di diritti. Queste trasformazioni, però, impiegano moltissimo tempo a entrare nelle pratiche, che da millenni si ripetono identiche. Per questo ancora oggi i genitori, per regolare il comportamento dei bambini, usano talvolta delle frasi che incutano loro un po’ di paura.

Se viene perpetrato l’atteggiamento di paura nell’educazione del bambino ci sono risvolti negativi?

Secondo la psicanalisi sì; dunque, se si prende coscienza di aver causato un danno al proprio bambino (una questione molto complessa), si può iniziare a chiedergli scusa, così che lui possa arrivare a interpretare le scuse comprendendole. Il problema è che chi davvero maltratta un bimbo non arriva ad averne consapevolezza, perché non ritiene di aver messo in atto un maltrattamento.

Per questo sarebbe utile che le famiglie si confrontassero tra loro e che a crescere il bambino non fossero i singoli, ma la comunità, cioè servizi per l’infanzia di qualità, che dovrebbero essere un diritto, sono infatti servizi essenziali per bambini e famiglie nella loro funzione educativa e di sostegno alla relazione. Se da un lato è vero che tutte le forme che generano paura, a lungo andare, creano un danno al bambino, dall’altro è anche vero che l’ipocrisia della nostra società  mette al centro la famiglia, ma poi la lascia sola; i bambini, in realtà, vengono educati anche dagli altri, che possono “compensare”, se educatori di professione, l’agito dei genitori, in modo complementare.

Ci tengo però a dire che è ben diversa la situazione in cui un genitore si sveglia una mattina, nervoso, e dice “Piantala, se no ti lascio qua”: è normale, succede, e il bimbo non viene certo traumatizzato a vita per questo. C’è un rischio anche nell’iper-intellettualizzazione della relazione affettiva, altro è avere e concedersi spazi per pensare alle relazioni e riflettere sulle proprie modalità di comunicazione.

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