Risolvere i conflitti con i figli, le 5 strategie della psicologa: “La tecnica del timeout non basta”

Un tempo, di fronte ai capricci dei bambini, i genitori ricorrevano senza troppe esitazioni a sgridate, punizioni e castighi severi. L'idea era semplice: reprimere subito il comportamento sbagliato per ristabilire l'ordine. Oggi, per fortuna, l’approccio è cambiato e mamme e papà scelgono spesso metodi più rispettosi e costruttivi, capaci di educare senza umiliare e reprimere. Tra questi, uno dei più gettonati è l'ormai celebre tecnica del "timeout", che consiste nell'allontanare il bambino dal contesto della crisi per dargli il tempo di calmarsi e riprendere il controllo delle proprie emozioni. Eppure, secondo alcuni esperti, anche questa tecnica — tanto promossa da educatori e pedagogisti — rischia di rivelarsi inefficace se non viene accompagnata da strumenti adeguati che aiutino davvero il bambino a elaborare ciò che è accaduto.
A ricordarlo è stata di recente la psicologa clinica Caroline Fleck, docente alla Stanford University, che in un intervento sulla CNBC ha spiegato come il solo isolamento non basti a insegnare ai più piccoli a gestire davvero le proprie emozioni. Per aiutare i bambini a diventare adulti capaci di affrontare i conflitti in modo sano, serve una vera e propria educazione emotiva.
Perché il solo timeout non è sufficiente
Secondo Fleck, mandare un bambino in timeout dopo un momento di rabbia non è di per sé dannoso, ma lascia un vuoto educativo importante. "Invece di essere lodati per aver saputo regolare se stessi, i bambini vedono ignorato il loro successo", osserva la psicologa. Inoltre, le emozioni che hanno vissuto vengono spesso invalidate o liquidate in fretta, senza alcun riconoscimento. Questo approccio, spiega Fleck, ostacola lo sviluppo delle competenze fondamentali nella gestione dei conflitti e nella regolazione emotiva.
L'importanza di un "debrief" dopo il conflitto
Per aiutare i bambini a crescere consapevoli delle proprie emozioni, Fleck propone di affiancare al timeout un momento di confronto calmo e confortante, una sorta di "debrief" dove adulto e bambino possono confrontarsi su quanto appena accaduto. Il contesto deve però essere rilassato e rassicurante, non trasformarsi in un tribunale dove mortificare ulteriormente il piccolo che si è confrontato male. Per l'esperta, ad esempio, una buona idea per alleggerire la tensione può essere quella di allestire una specie di "fortino" con lenzuola e coperte in modo da ricreare un ambiente giocoso e accogliente dove rifugiarsi e parlare liberamente.

Durante questo "debrief", poi, genitori e figli dovrebbero alternarsi nel raccontare cosa hanno pensato e provato durante il conflitto, cercando di validare le emozioni reciproche. L'obiettivo è aiutare il bambino a capire che provare emozioni forti non è sbagliato, anche se i comportamenti messi in atto possono risultare fuori luogo.
Dare la parola ai bambini
Un altro principio chiave è lasciare che siano i bambini a prendere la parola per primi, se lo desiderano. Dopo aver perso il controllo durante il capriccio, questo gesto restituisce loro un po' di autonomia. Fleck avverte però che, nel racconto, i bambini potrebbero fraintendere o distorcere i fatti. In questi casi, l'invito è a mantenere la calma e correggere con delicatezza, usando formule come "Capisco come possa esserti sembrato così", prima di invitarli alla ragione.
Ascoltare senza giudicare
Durante il dialogo successivo al comportamento dirompente, è molto importante ascoltare con empatia, tendando di immedesimarsi nel punto di vista del piccolo, senza scivolare nel bisogno di avere ragione per forza. Anche se la narrazione del bambino appare esagerata o imprecisa, bisogna infatti sforzarsi di riconoscere e validare le sue emozioni. Come sottolinea Fleck, anche di fronte a comportamenti che appaiono del tutto ingiustificabili, si può comunque trovare un terreno comune.

Questo non significa ovviamente cedere ai capricci o dare ragione al bambino a ogni costo, ma mostrargli che, pur disapprovando il suo comportamento, si è in grado di comprenderne il vissuto emotivo. Un modo efficace per farlo è usare frasi come: "Anche io sarei frustato, ma non è questo il modo di reagire".
Ammettere i propri errori
Essere genitori non significa essere infallibili e la psicologa ha sottolineato con decisione l’importanza di assumersi le proprie responsabilità e di saper chiedere scusa, ma senza scuse superficiali. Flick consiglia pertanto di essere sempre molto chiari: spiegare cosa si è sbagliato, chiedere scusa apertamente e indicare come si intende migliorare. Un esempio? "Ho alzato la voce più di quanto avrei dovuto. Mi dispiace. È normale sentirsi arrabbiati, ma non va bene urlare. La prossima volta farò una pausa per calmarmi".

Condividere anche le emozioni da adulti
Infine, dopo aver ascoltato il bambino, è utile condividere anche il proprio vissuto emotivo. Non basta dire di essere stati arrabbiati: bisogna mostrare la complessità delle proprie emozioni. "Ero spaventata che qualcuno si potesse far male", oppure "Ero delusa di non sapere come aiutarti", sono esempi che permettono ai bambini di vedere l'adulto come una persona capace di provare e gestire sentimenti diversi.
L’obiettivo non è ottenere subito una risposta o una validazione da parte del bambino, ma fornire un modello positivo. Come conclude Fleck, aiutare i bambini a riconoscere, validare e comunicare le proprie emozioni è un investimento prezioso per il loro benessere futuro.