“Quando tuo figlio riceve una diagnosi di autismo impari a navigare a vista”: la storia di Leone e della sua famiglia

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Vanessa Bozzacchi è la mamma di Leone, un bimbo a cui è stata diagnosticata una forma di autismo grave all'età di 18 mesi. Insieme al suo attuale marito, Manuele D’Oppido, ha dato vita alla fondazione Mente, perché dare un vero sostegno alle famiglie di bambini autistici, che oggi non esiste, fornendo spazi e interventi davvero in grado di mettere al centro la specificità delle esigenze di ciascuno di loro. "A pochi mesi dalla diagnosi di Leone ho avuto un malore, ho dovuto lavorare molto su me stessa per poter aiutarlo davvero e ho capito che le famiglie sono estremamente sole".
Vanessa, mi racconti che bimbo è stato Leone nei suoi primi anni di vita?
Leone è sempre stato un bimbo serenissimo e molto sveglio fino ai 15 mesi di età, quando ha iniziato a muovere i suoi primi passi in maniera un po' particolare, inoltre non riusciva mai a guardarmi in faccia. La fortuna è stata essere circondata da amiche che avevano già avuto figli e che mi hanno permesso dunque di fare attenzione a questi aspetti, che sono diventati i campanelli d'allarme che hanno preceduto la diagnosi. Ho chiesto un parere al pediatra, il quale ha prescritto al mio bimbo una serie di controlli, è iniziato così un iter diagnostico molto lungo e poco prima dei due anni a Leone è stata diagnosticata una forma abbastanza grave di autismo.
Oggi Leone che bimbo è?
Leone è un bimbo che grazie alla terapia sta lavorando sulla sua condizione, che grazie alla terapia cognitivo comportamentale ed alla psicomotricità fa progressi su varie livelli. Lui è nato con un disturbo del linguaggio e della comprensione dello stesso, non sapeva cosa volessero dire le parole "mamma" o "papa", oggi grazie a un duro lavoro comprende circa il 70% dei vocaboli di chi parla in modo semplice e chiaro.
Come è stato ricevere la diagnosi?
Come un treno in faccia. Ho vissuto la diagnosi in modo complicato, a 4 mesi dalla sua prima pre-diagnosi ho avuto una specie di infarto, condizione che la dice lunga su quanto sia impattante una consapevolezza del genere. Ho portato dentro di me Leone per 9 mesi e come per ogni donna insieme a lui sono cresciute le mie aspettative, la diagnosi le ha spazzate via in un attimo, ricordandomi che noi esseri umani non nasciamo né pronti per essere genitori, né per ricevere notizie come questa. Ho dovuto fare un lungo lavoro su me stessa, facendo i conti con la rabbia, con un senso di ingiustizia e con la frustrazione e imparando a gestire la mia emotività e le necessità di mio figlio.
Leggevo che descrivi il crescere tuo figlio come trovarsi in un aeroporto senza torre di controllo, cosa intendi?
Intendo che non esistono regole scritte, che ogni giorno comporta nuove sfide e che quando si parla di autismo ci si riferisce a tantissimi casi diversi, dunque per me non esiste nemmeno un metro di paragone tra Leone e altri bambini. Io e Manuele abbiamo dovuto insegnare ogni cosa a Leone, cosa significasse l'affetto, il contatto fisico, la condivisione, concetti che ci ha dato la possibilità di trasmettergli, nonostante il suo autismo grave e non verbale. Mi ha dato il suo primo abbraccio a 6 anni, spiegandomi così che con lui si naviga a vista, perché ogni giorno è diverso e comporta una differente conquista, nonostante abbia una condizione che invece richiederebbe moltissima prevedibilità.
Manuele, tu sei arrivato dopo nella vita di Leone e Vanessa, come è stato questo approccio all'autismo, ne sapevi qualcosa prima?
Manuele: Di autismo prima di conoscere Vanessa e Leone non ne sapevo niente, ma oggi dico a chi me lo chiede che ho sposato prima lui che Vanessa, anche mettendomi in prima linea con la fondazione. Ho iniziato fin da subito a preoccuparmi per il futuro di Leone, capendo che l'unica "medicina" che potevamo dargli era il nostro amore e cercando di trovare una risposta alla domanda: chi gli darà questo amore quando non ci saremo più?
Vanessa: Loro due si sono innamorati a prima vista e questa per me è stata una gioia immensa.
Vanessa, la tua situazione lavorativa è cambiata dopo la diagnosi di Leone?
Faccio i salti mortali da quel giorno ma voglio esserci sempre per mio figlio, sicuramente, però, l'opzione di smettere di lavorare per me non è mai esistita. Ho bisogno di lavorare per permettere a me e mio figlio una vita dignitosa, oggi io e Manuele siamo una squadra, ma facciamo fatica perché le esigenze di Leone sono come una macchia d'olio, si prendono tutto quello che possono. Ci piacerebbe avere più tempo per noi, ma il desiderio di essere noi in prima linea per aiutarlo sempre ci porta ad accompagnarlo sempre a tutti gli eventi.

Vi sentite supportati come famiglia con un bimbo autistico?
Vanessa: No, nella nostra società manca tutto alle famiglie con figli autistici, situazione che si è resa evidente durante il lockdown, e che ha portato mio marito a pensare alla fondazione Mente. Questo progetto ambizioso è stato pensato per creare spazi che possano supportare le famiglie e offrire più attività, sport ed terapie per creare un programma cucito su ogni bambino ai fini di aumentare in modo consistente i loro progressi ed i loro interessi. Ci siamo accorti anche che Leone cresceva in una sorta di zona di comfort senza che chi si prendeva cura di lui lo spronasse a dare o fare di più, nonostante ne avesse bisogno.
Manuele: Un altro problema è che quando un bambino riceve una diagnosi di autismo il Servizio Sanitario non lo prende in carico immediatamente, sei tu genitore che, fogli alla mano, ti devi muovere tra Asl, scuola, Inps, in totale autonomia. Il Ministero dell'Istruzione e quello della Sanità, poi, non dialogano, non si instaura una rete, lasciando che tutto rimanga nelle mani delle famiglie, che non sempre hanno le risorse economiche e di tempo necessarie a non soccombere. Non si può pensare che la patologia cronica di un bambino sia affidata allo stato sociale dei genitori, sperando che riescano a gestirla. Il fatto che manchi una rete porta poi ogni istituzione a voler agire in autonomia, così la scuola non sempre ascolta i genitori, pensando di poter trattare tutti i bambini autistici allo stesso modo, senza valorizzarne le specificità. In questo modo la parola "spettro autistico" non significa nulla, perché le esigenze di Leone che è un bambino non verbale, sono molto diverse da quelle di un altro bambino che invece riesce a parlare.
Cosa desiderate per Leone?
Manuele: Che la sua plasticità cerebrale possa essere stimolata ogni giorno così che riesca a dire "mamma" e "papà", che sia oggi, domani o tra vent'anni. Di un'inclusione, tutta Italiana, che non gli permetta questo, ce ne facciamo invece molto poco. Che noi e tutti i genitori di figli autistici trovino pace dinnanzi alla domanda "che ne sarà dei nostri figli dopo di noi?". Perché io oggi non vivo di speranza, ma di consapevolezze concrete e mi chiedo chi ci sarà ad amarlo, ad abbottonargli la camicia, a dargli gli strumenti per comprenderlo, nella vita dopo di noi.
Vanessa: Vorrei per Leone e per tutti i bambini autistici molte più ore di terapia, senza che queste mandino in bancarotta le famiglie. Grazie agli aiuti dello Stato si riescono a coprire al massimo due ore di terapia alla settimana, quando questi bimbi avrebbero bisogno di un minimo di 5-6 ore al giorno, che arriverebbero a costare oggi 3000 euro al mese a ogni famiglia, una cifra irraggiungibile quasi per tutti. Vorrei che le istituzioni investissero meglio i soldi e che, come società, non si non si parlasse solo di all’autismo di persone autonome o ad alto e medio funzionamento. Sono felicissima di vedere i progetti che nascono e che si parli finalmente di neurodivergenza, ma è giusto parlare anche di autismo grave. La società deve essere pronta ad accettare e vedere anche ciò che fa male e può apparire “scomodo”. Perché la vera inclusione sarebbe pensare a tutte le persone con autismo e alle loro esigenze. Vorrei infine che non dovessero essere le famiglie a dare vita a fondazioni per far fronte a questi problemi.