Quando l’ego dei genitori pesa sui figli: tutti i rischi e come accorgersi del problema

L’ego parenting, o, più semplicemente, la genitorialità guidata dall’ego, non è una teoria codificata ma un insieme di comportamenti che emergono quando il genitore sente il bisogno di avere sempre ragione, mantenere il controllo o proteggere la propria immagine, anche a scapito dei bisogni del figlio.
Questo atteggiamento, spesso inconsapevole, non riguarda però solo gli adulti narcisisti dai comportamenti estremi, ma si ritrova anche in molte madri e padri che, spinti da insicurezze personali, ansie da prestazione o dal desiderio di offrire sempre il meglio ai propri figli, finiscono per mettere il proprio "io" al centro, rischiando però di compromettere il loro sviluppo emotivo.
Cos’è l’ego genitoriale
A fare chiarezza su questo stile educativo, dai risvolti spesso problematici, sono state di recente due esperte intervenute sul sito Pop Sugar, che ne hanno illustrato caratteristiche e possibili rimedi. La terapeuta Cheryl Groskopf, ad esempio, lo ha definito "un modo di educare che parte dal bisogno del genitore di sentirsi giusto, valido o in controllo", più che dalla volontà autentica di accompagnare il bambino nella sua crescita.

Per l'esperta di salute mentale adolescenziale Caroline Fenkel, invece, l’ego genitoriale si manifesta quando un genitore mette l’immagine che vuole proiettare — agli altri o a se stesso — davanti ai reali bisogni del figlio. Può succedere, per esempio, che si insista affinché il bambino pratichi uno sport che non ama, solo perché il genitore non è riuscito a eccellere in quella disciplina o per timore che la rinuncia possa riflettersi negativamente sulla famiglia. Avete mai obbligato vostro figlio a iscriversi a calcio o al corso di nuoto perché tutti gli altri genitori del quartiere lo avevano fatto? Ecco, in quella circostanza il vostro ego ha prevalso sulle velleità del bambino.
I segnali da riconoscere
Le dinamiche dell’ego genitoriale possono assumere forme diverse. Un padre o una madre potrebbero reagire male a un brutto voto del figlio non tanto per capirne le cause, ma per il timore di essere giudicati come genitori poco capaci. Oppure, di fronte a una crisi emotiva del bambino, minimizzarla o etichettarla come “drammatica” solo perché quel tipo di emozione genera disagio. In alcuni casi, anche evitare di chiedere scusa dopo un’esagerazione può essere un modo per non perdere autorità.
Secondo Fenkel, questi comportamenti — per quanto non intenzionali — trasmettono al bambino un messaggio preciso: "sei amato solo se ti comporti bene, se non sbagli, se non dai fastidio". Un insegnamento decisamente "scivoloso", che può facilmente contribuire a crescere adulti ansiosi, perfezionisti o con una bassa autostima.

Le conseguenze sui figli
Uno degli effetti più pericolosi dell’ego parenting è che l’amore viene percepito come condizionato. Se il figlio interiorizza l’idea che vale solo quando si comporta in un certo modo, tenderà a nascondere le proprie fragilità per paura di perdere affetto o approvazione. A tal proposito Groskopf ha spiegato che molti suoi pazienti adulti cresciuti in queste dinamiche continuano a credere di dover essere perfetti e perennemente performanti per meritare l'amore delle persone che stanno loro intorno. Il problema, sottolinea Fenkel, è che spesso si tratta di schemi familiari che si ripetono: "Molti genitori educano come sono stati educati, senza rendersene conto".
Come rompere il ciclo
Uscire da queste dinamiche richiede consapevolezza. Il primo passo, secondo Fenkel, è fermarsi e chiedersi: sto reagendo per il bene di mio figlio o per il mio disagio personale? Questa semplice domanda può aprire uno spazio di riflessione fondamentale. Il passo successivo è cambiare prospettiva: invece di interpretare ogni comportamento come una sfida alla propria autorità, cercare di comprenderne le cause con curiosità e apertura.

Un gesto potente è anche quello di chiedere scusa. "Quando un genitore ammette di aver sbagliato, trasmette al figlio l’idea che anche gli adulti possono essere imperfetti", afferma Fenkel. Chiedere perdono, dire “non avrei dovuto parlarti così, mi dispiace”, non indebolisce l’autorità, ma costruisce fiducia e sicurezza emotiva.
Essere genitori imperfetti, ma autentici
In fondo, l’obiettivo non è essere genitori perfetti, ma presenti. Come ricorda Fenkel, "educare non significa fare sempre la cosa giusta, ma restare in relazione anche quando tutto è un po’ caotico". Accettare le proprie vulnerabilità, riconoscere i propri errori e aprirsi al dialogo permette di creare uno spazio emotivamente sicuro, dove anche i figli possano sentirsi liberi di essere se stessi, senza paura di deludere. Perché un buon genitore non è chi non sbaglia mai, ma chi sa come rimediare, e insegna così ai figli che i legami possono rompersi — e poi ricomporsi — in modo ancora più forte.