Quando i genitori non sanno lasciar andare i figli: la pedagogista spiega le radici di un legame complesso

Quando i figli crescono e sembrano pronti ad abbandonare il nido, non tutti i genitori sono altrettanto preparati a tagliare il cordone ombelicale con coloro che, per molti anni, sono stati l'oggetto di tutte le loro cure e attenzioni. Il distacco genitoriale è infatti un passaggio delicato, spesso segnato da paure e resistenze che affondano le radici in esperienze personali irrisolte. Affrontare questo momento è però fondamentale per permettere ai figli di prendere in mano le redini della propria vita e consentire agli stessi genitori di elaborare un cambiamento necessario.
Intervistata da Fanpage.it, l'autrice e pedagogista Emily Mignanelli ha spiegato come dietro questa difficoltà si nasconda spesso un mancato confronto con il proprio passato, con aspettative, bisogni e ruoli inespressi che vengono inconsapevolmente proiettati sui figli, creando dinamiche che ostacolano la loro autonomia.
"Avendo fatto la maestra per molti anni mi sono resa conto che i problemi dei bambini sono quasi sempre problemi che in realtà riguardano i genitori" spiega la pedagogista, sottolineando come i problemi degli adulti, molto spesso celano una causa ignorata per tanto tempo, spesso relativa alla stessa infanzia dalla madre o del padre. "Se ad esempio un genitore non vuole che il figlio di 14 anni esca di casa, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, il problema non è tanto la relazione dell’adulto con il ragazzino, quanto la percezione che i genitori hanno avuto di quel figlio sin dal momento in cui lo hanno percepito da lì a cascata in moltissimi comportamenti che hanno messo in atto andando a influenzare profondamente la percezione e l'immagine di quel figlio".

Esiste un momento giusto in cui è bene che il genitore lasci andare il proprio figlio?
Il momento giusto per lasciare andare il bambino è, paradossalmente, il concepimento, ossia il momento in cui un pezzo della madre si fonde col pezzo del padre diventa un terzo individuo. In un mondo ideale, un genitore dovrebbe riuscire già in quel momento a renderti il figlio libero di essere se stesso. Lasciare andare un figlio è infatti un esercizio costante, un allenamento quotidiano che parte dal momento in cui il bambino viene concepito e prosegue per tutta la vita. Purtroppo però questa è una delle cose più complesse che si possano fare.
La causa è il troppo amore verso i figli?
Il problema è che con la parola "amore" si tende evocare un concetto molto ampio, che spesso crea confusione. Quando parliamo di amore genitoriale pensiamo a un sentimento puro, un amore che che salva, che protegge, ma in realtà la funzione prevalente prevalente dell'amore, almeno dal punto di vista evoluzionistico, è la sopravvivenza. Questo concetto viene incorporato da ognuno di noi durante la prima infanzia, mentre venivamo accuditi e si intreccia profondamente con tutte le modalità che sono state messe in campo durante quella fase. Pertanto, quando un genitore dice di amare un figlio non sempre si tratta di amore puro che libera, ma a volte di amore legato ad altre dinamiche inconsce tipo: "Ti amo se rimani qui accanto a me", "ti amo se sei prestante", "ti amo se non disturbi". Alcune di queste rischiano pertanto di entrare in collisione con la capacità di lasciare il figlio libero di vivere la propria vita.
Come si esce da questo stallo?
Un professionista può suggerire una cronologia una buona prassi pedagogica – a 7 anni lo mandi a fare spesa sotto casa e gli dai soldi, che a 10 anni gli permetti di uscire andare al parco da solo ecc… – ma non funzionerà mai se prima noi non aiutiamo quel genitore a comprendere qual è il messaggio implicito che lui ha all'interno del concetto d'amore, qual è l'informazione inconscia che lui ha dato al bambino mettendola al mondo. In altre parole, per aiutare una madre o un padre a lasciare andare, occorre prima fare un percorso di autoanalisi molto profonda.
Ma come fa un genitore ad accorgersi che sta avendo difficoltà a recidere il cordone ombelicale?
Ad esempio, un genitore che a 20 anni si trova ancora a controllare il figlio che sta andando all'università, pretendendo di conoscere ogni suo spostamento e di ricevere più telefonate durante il giorno (magari reagendo male se simili aspettative vengono disattese), è probabilmente un genitore che ha delle ferite infantili e ora ha sta proiettando sul figlio un ruolo che in realtà non gli appartiene.

Esistono dei segnali da cogliere?
Uno degli indizi più lampanti si palesa quando la mamma – prendiamo l'esempio della madre, ma può essere anche il padre – si porta sempre il bambino nel lettone. Se il papà dorme sempre sul divano e il figlio dorme nel letto con la mamma, quest’ultima sta mettendo il bambino al posto del suo partner. Quel figlio, probabilmente farà fatica ad andarsene, perché se si allontanasse sarebbe come un fidanzato inizia a ignorare la sua ragazza. Simili dinamiche sono ad esempio molto frequenti nelle infanzie dei maschi narcisisti. Spesso infatti queste persone hanno avuto una madre molto controllante che gli ha dato un ruolo sentimentale. Questo elemento, crescendo, impedisce all’uomo di avvicinarsi alle donne in modo stabile perché nessuna donna farà mai come la madre. E la madre, probabilmente, gongolerà.
Cosa può fare un genitore per favorire il distacco?
Nonostante la complessità della situazione, la dottoressa Mignanelli offre comunque alcuni consigli che un genitore può iniziare a seguire per coltivare un rapporto più consapevole e consentire un distacco più armonioso quando per i figli di arriverà il giorno di spiccare il volo.
- "Ogni cosa che esce da un bambino è perfetta perché il bambino è pura volontà di vivere. Quindi smetterla di pensare che i bambini abbiano sempre dei problemi".
- "Riconoscere che le inquietudini che sembrano provenire dal bambino, in realtà provengono della tua storia infantile. Il bambino non è il problema, anzi è il miglior terapeuta che mai incontrerai nella vita".
- "Quando c'è qualcosa che non capisci di tuo figlio, prima di portare il bambino da un professionista, vai tu in terapia".
- "Non bisogna bisogna sempre capire tutto. I bambini, che sono tutto sensi e istinto, ci insegnano che prima si sente, e poi si prova a comprendere. Ostinarsi a voler capire sempre tutto, talvolta diventa accanimento cognitivo e ci distoglie dalle cose veramente importanti per il nostro benessere e per quello delle persone intorno a noi".