Perché sempre più Paesi vogliono vietare i social agli Under 16: il parere del pedagogista
Dopo la svolta annunciata dal governo australiano per vietare i social network ai minori di 16 anni (ipotesi al vaglio da tempo anche nel Regno Unito) e la causa intentata contro TikTok da un gruppo di famiglie in Francia, il dibattito sulla necessità di imporre per legge un limite d'età agli utenti delle piattaforme social è tornato ad essere un tema di estrema attualità. Se infatti l'uso di smartphone, tablet e device online risulta ormai sdoganato anche fin dalla più tenera età, esperti e studi scientifici lanciano continui appelli sulle controindicazioni e gli effetti negativi che l'uso scorretto della tecnologia può comportare nei più giovani.
Quali sono dunque le motivazioni che stanno spingendo esponenti del mondo della politica e della società civile a invocare norme più rigide per togliere i social agli Under 16? Perché simili restrizioni potrebbero tutelare maggiormente sia i figli che i genitori delle nuove generazioni? Fanpage.it lo ha chiesto al pedagogista Daniele Novara, educatore, saggista e fondatore del Centro PsicoPedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti, che lo scorso settembre ha firmato insieme al collega Alberto Pellai e a numerosi esponenti del mondo della cultura una proposta per vietare i cellulari ai minori di 14 anni e i social a chi non ha compiuto 16 anni.
Professore, come mai sempre più Paesi stanno pensando d'imporre divieti d'età per i social?
L’arrivo degli smartphone e la diffusione capillare tra i giovani fu una situazione imprevista per i genitori, totalmente impreparati a questo nuovo uso di consumo suggerito da pubblicità martellanti e strategie di marketing che puntavano direttamente i più piccoli. Oggi, dopo un decennio dall'avvento di questi device, le generazioni nate con un cellulare in mano stanno iniziando a mostrare i primi effetti nocivi dell'esposizione precoce ai social e anche i politici e i ceti sociali più influenti si stanno rendendo conto di come la situazione stia andando fuori controllo,
Quali sono questi danni?
Innanzitutto l'isolamento. I social sono nati per offrire maggiore libertà di parlare e scambiarsi pensieri tra gli utenti, tuttavia un utilizzo inadeguato e non consapevole – come quello di bambini e ragazzi – può solo aumentare la solitudine, anziché ridurla. Guardiamo all'aumento esponenziale dei casi di hikikomori nel mondo, ragazzi e ragazze che cessano di avere contatti con il mondo esterno e si rinchiudono nelle loro camerette per perdersi nel mondo virtuale. L'uso notturno, poi, può avere un forte impatto sulla salute fisica e sulla frequenza in classe, incidendo dunque anche sul futuro e la carriera scolastica di un giovane.
Gli effetti sono maggiori per i bambini più piccoli?
Assolutamente sì. Un uso prolungato di schermi touch nei primi anni di vita riduce le componenti psicomotorie dei bimbi, compromette i processi d'apprendimento della letto-scrittura e inibisce gli stimoli utili per fare nuove attività e stringere nuove amicizie. Smartphone e tablet agiscono infatti sulle aree dopaminergiche del cervello, quelle dedicate al piacere, dunque i bambini, anziché cercare i propri simili per giocare e divertirsi, restano con lo sguardo fisso sullo schermo privandosi di molte esperienze utili per la propria crescita.
Diversi Stati si stanno muovendo anche per arginare il fenomeno dei baby influencer, bambini che non solo passano la vita sui social, ma ne diventano addirittura protagonisti. Cosa ne pensa?
E ne hanno ben donde. Oltre agli evidenti problemi di privacy, questi poveri bambini vengono privati della proprietà del proprio corpo e dati in pasto dai genitori a milioni di sconosciuti. Così come in Europa e nel mondo ci sono leggi che vietano il maltrattamento dei minori, dovrebbero esistere norme rigide contro l'utilizzo improprio e manipolatorio del corpo infantile. Anche perché spesso i contenuti che hanno protagonisti i giovanissimi alimentano una cultura di oggettificazione del corpo che, oltre a generare adulti "compromessi", diventa materiale che attrae l'attenzione di pedofili e predatori sessuali. Come comunità educativa non possiamo assolutamente permettere tutto questo.
Non basterebbe educare i genitori a limitare l'uso dei social e insegnare ai bimbi un uso consapevole?
Non si possono abbandonare i genitori e delegare loro simili decisioni. Così come i genitori non hanno facoltà di dare alcol o le chiavi dell'auto ai figli prima dei 18 anni, così lo Stato deve imporre chiare regole per l'accesso a un mondo, come quello dei social, dove un bambino può trovare tranquillamente contenuti violenti, scene sessuali e messaggi disturbanti per la sua crescita. Senza una cornice legislativa adeguata, che tra l'altro appare compatibile con la Convenzione dei Diritti dei Bambini e delle Bambine del 1989, non possiamo pensare che i genitore possano assumersi questa enorme responsabilità. In questo caso è lo Stato che deve fare il poliziotto, non mamma o papà.
In attesa di una legge che continua a mancare, cosa può fare un genitore per gestire la questione?
Si potrebbe, prima di tutto, uscire dall'ottica che l'uso dei social sia un'esperienza che, se negata, renderebbe il proprio figlio diverso o isolato. Fino ad una certa età, l'uso dei social media è un pericolo, una minaccia. Punto. Certo, non è facile, anche perché il settore del marketing, spesso sadico e minaccioso, e i colossi del digital usano claim molto efficaci che colpevolizzano i genitori che tengono i figli lontani dai social. Chi ha fatto i soldi sulle disgrazie di una generazione ora non vuole mollare l'osso.
Pensa che alla fine queste leggi arriveranno, magari anche in Italia?
Non mi aspetto risultati concreti nell'immediato, ma il terreno è molto fertile e le evidenze scientifiche sono sempre più sotto l'occhio di tutti. Dopotutto, anche i politici più tecno-ottimistici hanno figli e vedono cosa significa avere un pre-adolescente che passa tutta la sua vita incollato a uno smartphone.