video suggerito
video suggerito

“Non so perché lo faccio”: la storia di Giulia che si è suicidata a 16 anni, raccontata dalla sua mamma

Il 10 settembre è la giornata mondiale per la prevenzione al suicidio e Rocchina Stoppelli, mamma di Giulia, che 7 anni fa si è suicidata ad appena 16 anni, ci ha raccontato il dolore di chi resta e l’importanza di parlare di suicidio. Come canta il gruppo “La Sad”, con il quale è salita sul palco dell’Ariston “non parlarne è un suicidio”.
A cura di Sophia Crotti
2.400 CONDIVISIONI
Rocchina Stoppelli
Credits: pagina Instagram @La tazza blu

Forse vi ricorderete di Rocchina Stoppelli. È salita sul Palco del teatro Ariston di Sanremo con in mano un cartello con una scritta blu, breve ma fortissima: "Giulia, 16 anni. Non so perché lo faccio" , che ha sventolato durante l'esibizione del gruppo "La Sad". I cantanti, attraverso il linguaggio universale della musica, hanno raccontato un tema di cui si parla ancora poco il suicidio tra i giovanissimi.

Oggi nella giornata internazionale per la prevenzione al suicidio, ha deciso di raccontare a Fanpage.it il senso di quella frase scritta sul cartello e il significato profondo del dolore più forte mai provato nella sua vita.

Quando sua figlia Giulia si è suicidata, come ha scritto lei stessa in una lunga lettera, non ha capito perché lo stava facendo. Non lo hanno compreso le amiche, i genitori, suo fratello: "Mia figlia non era depressa, il giorno prima di morire aveva voluto comprare un nuovo completo per l'arrampicata, certi segnali sono difficili da comprendere, per questo oggi io mi batto perché adulti e ragazzi imparino a parlare di suicidio. Lei ha lasciato belle parole per tutti, ma parlando di se stessa ha solo detto che non sapeva perché lo stesse facendo".

Sono trascorsi 7 anni da quel trauma che le ha cambiato la vita per sempre, 7 anni intrisi di un dolore costante ma che a poco a poco ha trovato una sua collocazione, portandola a fondare un'associazione: "La tazza blu", per sensibilizzare sul tema del suicidio tra i giovani, in modo che nessun'altra ragazza o ragazzo si trovi, come sua figlia, a non comprendere il dolore che prova, finendo per pensare al suicidio come unica via d'uscita. 

Chi era Giulia? 

Mia figlia Giulia era una ragazza come tante, sportiva, interessata, piena di amici, con un bel rapporto anche con noi genitori. Conduceva una vita che all’apparenza era del tutto normale, fino a che una sera dopo aver riso e scherzato a cena con noi, prima di andare a dormire, si è tolta la vita e dall’indomani non c’era più.

Prima che se ne andasse, avete notato in lei dei cambiamenti improvvisi?

Noi in Giulia, con il senno di poi, abbiamo riconosciuto dei segnali, ai quali però allora non eravamo riusciti a dare alcun significato. Se ne avessimo conosciuto l'importanza forse ci saremmo allarmati a sufficienza, o forse no, questo non lo sapremo mai. Giulia era molto stanca in quel periodo, dormiva poco e male, e le abbiamo chiesto più volte a cosa fosse dovuta quella stanchezza, ricordo di averle anche domandato se fosse incinta. Ma lei mi rispondeva sempre che andava tutto bene, anche se in realtà nulla andava bene.

Un altro segnale che abbiamo notato, ma non compreso fino in fondo, era legato alle abitudini alimentari di Giulia. Lei era vegetariana, l’unica della famiglia ad esserlo, in quegli ultimi giorni, causa la frenesia degli impegni di lavoro, non ero riuscita a prepararle un pasto vegetariano che dovesse semplicemente riscaldare. Quando gliel’ho detto mi ha risposto di non preoccuparmi e ha mangiato la carne.

La verità è che non eravamo pronti a un evento di tale portata e che quindi tutti questi segnali noi non siamo riusciti a coglierli per tempo.

associazione la tazza blu
Credits: Rocchina Stoppelli

Quando un adolescente, un figlio, si toglie la vita, cosa accade a chi resta, sia la famiglia o gli amici?

Alla famiglia rimane un grande vuoto e un grande dolore. Giulia è morta 7 anni fa e il dolore in questo tempo ha trovato una sua collocazione, mutando nella forma e nell’intensità. Di certo oltre che a noi, anche a tutte le persone che conoscevano Giulia, le sue amiche, le compagne di squadra, le compagne di classe, la vita è cambiata per sempre. Eppure non esiste un supporto psicologico gratuito, sia io che mio figlio, siamo andati in terapia, ma a spese nostre.

E avete mai provato una sorta di senso di colpa, pensando di non essere riusciti a salvarla?

Certo, il senso di colpa lo provo tutti i giorni e penso che lo proverò sempre. Penso spesso “se le avessi detto le parole giuste”, “se quel giorno avessi agito diversamente”, “se l’avessi davvero capita”. Poi però mi sono resa conto che non potevo sapere tutto di mia figlia, per esempio mi aveva chiesto di comprarle un libro, ma io proprio non volevo che lei lo leggesse e glielo avevo negato, quando è mancata quel libro io l’ho trovato impilato con altri testi in camera sua. La verità è che questo senso di colpa serve davvero a poco, Giulia non c’è più e questo non lo cambia nessuno.

Come vi è venuta l’idea di fondare un’associazione?

Lo scopo dell'associazione “La tazza blu”, benché nasca in ricordo di Giulia, non è quello di parlare di lei, ma di porre l’attenzione sull’importanza della prevenzione al suicidio tra i giovani. Ho capito che dovevamo fare qualcosa leggendo le lettere che Giulia ci ha lasciato, in cui ci dipingeva tutti come persone buone, belle e gentili, ma dove ad un certo punto ha scritto “non so perché lo faccio”. Noi pensiamo quindi che lei non abbia riconosciuto come tali dei pensieri di morte che l’attraversavano e  l’associazione nasce per mettere i giovani nella condizione di riconoscere quei pensieri e gli adulti di avere il coraggio di affrontarli. Se gli adulti si mostrano aperti e comprensivi, perché bene informati, i ragazzi si aprono con maggiore facilità.

Rocchina Stoppelli
Credits: pagina ig @latazzablu

Come mai l’associazione si chiama tazza blu?

Giulia seguiva una serie televisiva che si chiama “Il dottor Who”, in cui il protagonista viaggiava nello spazio e nel tempo, entrando in una cabina telefonica londinese. Le sue amiche, di ritorno da Londra, le hanno portato una tazza blu e così abbiamo deciso, in accordo anche con loro, di chiamare così questa associazione in ricordo di Giulia.

Cosa fate nel pratico?

Tanti eventi di sensibilizzazione, perché c’è un immenso tabù da sconfiggere quando si parla di suicidi. Cerchiamo anche di sollecitare tutte le istituzioni, sanitarie, scolastiche e politiche, perché il suicidio dei ragazzi è una piaga sociale a tutti gli effetti. I dati ISTAT ci dicono che la fascia di età in cui questi avvengono si sta anche abbassando: nel 2023 si è suicidato un bambino o una bambina di 9 anni, 4 di questa età dal 2010 ad oggi in Italia. In generale, si tratta di una delle prime cause di morte tra i giovanissimi.

Riuscite ad entrare nelle scuole per parlare del tema?

Cerchiamo anche di entrare nelle scuole, ma non nego che spesso troviamo un muro davanti a noi. Sembra che le scuole abbiano paura di parlarne e noi non riusciamo neanche a intervenire quando nella classe si verifica un suicidio, per aiutare i compagni di classe sopravvissuti a gestire le emozioni legate a quel banco vuoto.

Ma i giovani studenti ci chiamano e così noi riusciamo ad entrare nelle scuole nelle giornate di autogestione, quando chiediamo ai partecipanti al laboratorio perché si trovino lì la risposta è sempre “perché nessuno ne parla e noi abbiamo bisogno di parlarne”. Questo perché nel 70% dei casi sono anche venuti a contatto con il tema.

credits: Rocchina Stoppelli
credits: Rocchina Stoppelli

Se un figlio chiede aiuto, perché ha dei pensieri di morte, cosa bisogna fare?

Innanzitutto chiedere aiuto agli esperti. Io in questi ultimi anni poi io mi sono fatta una domanda riguardo ciò: se Giulia mi avesse detto che si voleva uccidere, io avrei capito? O avrei banalizzato dicendole che la vita era bella, che tutto andava bene attorno a lei? Non lo so, ma so che bisogna sensibilizzare anche gli adulti perché ne parlino, perché comprendano i figli, anche se parlare di morte fa paura.

Quali consigli daresti ai genitori, nonostante sia difficile comprendere il problema?

Io mi sento di dire ai genitori che il suicidio di un figlio accade, anche troppo spesso, che non esiste una persona tipo a cui capita o una situazione standard, quindi è un fenomeno complesso da intercettare. Per questo per qualsiasi malessere è importante spingere i ragazzi a farsi aiutare da un esperto, io non ci ho pensato, Giulia non mi ha neanche lasciato il tempo di farlo, ma anche se me lo avesse dato non l’avrei capita forse, perché io cosa fosse il suicidio non lo sapevo davvero.

Parlavi di situazioni standard: si pensa che solo i ragazzi con evidenti segnali di depressione si uccidano?

Sì, ed è sbagliato, ma anche io l’ho imparato col tempo. Chi arriva a suicidarsi ha un malessere interiore così forte che lo porta a vedere il suicidio come l’unica soluzione possibile per uscirne. Non è una depressione, perché Giulia stava arrampicando con noi fino alla settimana prima, aveva comprato un nuovo completo per arrampicare, dei nuovi pantaloncini da ciclismo. Giulia non si è chiusa in camera, non piangeva di continuo, non stava a letto senza alzarsi. Pensare che solo un figlio visibilmente triste o non più in grado di uscire di casa possa suicidarsi è sbagliato, porta ad allontanare lo sguardo dal problema.

credits: Rocchina Stoppelli
credits: Rocchina Stoppelli

Si descrivono gli adolescenti di oggi come estremamente fragili, ma per togliersi la vita bisogna lottare contro lo spirito di sopravvivenza, come si spiega questa cosa?

Anche qui c'è un errore, bisogna innanzitutto riconoscere che i ragazzi stanno male e che provano un dolore indicibile e insopportabile. Chi si suicida non sceglie, è vittima di questo dolore. Se si inizia a capire che non si sceglie di suicidarsi, allora si accetta il suicidio come piaga sociale. A dimostrazione di questo un ragazzo in una scuola ci ha raccontato che il pensiero di morte aveva preso piede nella sua testa, anche se lui non capiva come, la sera che ha deciso di compiere l’atto è salito al piano superiore per gettarsi dal tetto, tentando di aprire la porta questa è rimasta chiusa e a lui è bastato quello per rendersi conto di quello che stava facendo, che non aveva mai razionalizzato prima.

Come è stato portare la storia di Giulia sul palco dell’Ariston?

Per me molto importante, siamo entrati nelle case di molte persone, un enorme atto di coraggio per noi e per chi ha organizzato quel momento.

In mano avevi un cartello con scritto “Giulia, 16, non so perché l’ho fatto”, ce lo spieghi?

È il messaggio che Giulia ha lasciato per se stessa: “Non so perché lo faccio, io non sono depressa”. Per tutti noi ha usato parole bellissime, per se stessa ha parlato di incapacità di comprendersi. Sapeva che qualcosa la turbava ma non riusciva a riconoscere questi pensieri, per questo non ne ha parlato con nessuno, perché non si può rendere a parole qualcosa che non si conosce.

credits: Rocchina Stoppelli
credits: Rocchina Stoppelli

Il problema è che in Italia non si parla di morte?
Esatto, non si parla di morte e a maggior ragione di suicidio dei giovani. Quando poi se ne parla lo si fa perché si vuole dare la colpa a qualcuno, ai genitori o ad un insegnante ma non è così.

Come si sopravvive ad un dolore così grande?

Io ho fondato l’associazione per sopravvivere, ci siamo mossi per chiedere alle istituzioni di farsi carico del dolore delle famiglie che vivono una perdita simile. Qualcuno si separa, altri cambiano vita, altri ancora cambiano lavoro e casa, i fratelli e le sorelle spesso si chiudono. Ma hai detto bene, non si vive, si sopravvive, perché per chi resta nulla è più come prima.

2.400 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views