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“Mia figlia è qui con me, in tutti i progetti che avevo per lei”: Ivana racconta il dolore di un aborto spontaneo

Ivana Ester Marra ha raccontato a Fanpage.it l’aborto spontaneo della sua piccola Nora e il dolore che questo ha portato a lei, al compagno e al fratellino Levi che l’aspettava con ansia.
A cura di Sophia Crotti
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credits_ profilo Instagram @ivanaestermarra
credits: profilo Instagram @ivanaestermarra

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Ivana Ester Marra stringe tra le mani un orsetto di pezza dal colore verde. È delle stesse dimensioni della piccola Nora, la bambina che portava in grembo e il cui cuore improvvisamente, alla 16esima settimana di gravidanza, ha smesso di battere.

Marra ha raccontato a Fanpage.it quel giorno di gennaio in cui le è sembrato di essere la spettatrice del dolore di un'altra donna, mentre la ginecologa l'abbracciava spiegandole che aveva vissuto un aborto spontaneo e il marito crollava, perché se lo sentiva.

"Dobbiamo imparare a chiamarlo lutto perinatale, perché di questo si tratta, è un lutto sapere che la bimba per la quale hai dei progetti non esisterà, è un lutto sapere che è dentro di te ma il suo cuore non batte, è un lutto doverlo spiegare al suo fratellino di due anni, che l'aspettava".

Il supporto del compagno, di un team di esperti, di una psicoterapeuta stanno aiutando Ivana a superare questo dolore, che ha deciso di raccontare sui suoi social per dare voce anche a chi si sente obbligato a tenerlo nel silenzio e per smettere di sentirsi in colpa. "So che non avrei potuto fare niente ma noi madri ci sentiamo sempre in colpa, Nora stava crescendo dentro di me e io mi sono sentita incapace di proteggerla".

Come è stato scoprire di essere incinta della tua bambina?

È stato molto bello, soprattutto perché si è trattato di una gravidanza molto ricercata e desiderata che, reduci dall’esperienza con il fratello maggiore, mai ci saremmo aspettati che sarebbe arrivata così in fretta. Prima di poter stringere tra le braccia il nostro piccolo Levi, infatti, abbiamo dovuto aspettare 3 anni e mezzo, scoprire di aspettare Nora è stata una sorpresa meravigliosa, che ci ha resi felici e timorosi, come davanti a tutte le cose che nella vita si attendono con ansia.

Hai quindi iniziato le visite di routine?

Sì, io ero da sempre sotto controllo, in contatto con vari medici che mi hanno sottoposta a visite e analisi, dalle quali risultava che la bimba stava bene.

Alla 16esima settimana poi hai scoperto l’aborto spontaneo, ci racconti quel momento?

Era il 6 gennaio, quindi un giorno di festa, al culmine delle vacanze di Natale, quando andando in bagno mi sono accorta che avevo delle piccole perdite di sangue. Ho cercato di non preoccuparmi troppo e ho contattato la mia mamma che mi ha tranquillizzata e la mia ostetrica che mi ha consigliato di fare un controllo l’indomani ma di non spaventarmi troppo, dal momento che si trattava di poco sangue, che poteva dunque essere la manifestazione di qualsiasi cosa. L’indomani, senza appuntamento, mi sono recata nello studio ginecologico dal quale ero seguita e dopo due ore di attesa, sono stata visitata. Ho raccontato di piccole striature di sangue che macchiavano la carta dopo ogni minzione e visitandomi mi hanno tranquillizzata, dicendomi che sembrava trattarsi di un problema a livello vaginale. A questo punto mi hanno fatto un’ecografia e ho visto delle strane espressioni di dispiacere sul volto della dottoressa, le ho quindi chiesto cosa stesse accadendo e guardando nel monitor ho visto la bambina immobile. La dottoressa a questo punto mi ha detto: “Il cuore non sta battendo”. Per sicurezza mi ha fatto un’altra ecografia che ha purtroppo confermato l’aborto, spiegandomi che le dimensioni della bimba non corrispondevano a quelle che avrebbe dovuto avere nella settimana di gestazione in cui mi trovavo. Mi sembrava impossibile, durante i controlli precedenti la mia bimba ballava e ora non c’era più.

Cosa hai provato?

Quella mattina ero sola durante il controllo, perché il mio bimbo non era riuscito ad andare al nido e dunque mio marito passeggiava con lui nel passeggino attorno alla clinica, chiedendomi poi di avvisarlo quando mi avrebbero fatto entrare. Ma non ho fatto in tempo a chiamarlo e quando l’ho incontrato, uscendo dalla stanza dove mi avevano visitata, gli ho solo fatto “no” con la testa. Sono scoppiata a piangere, mi sembrava di non capire nulla, la dottoressa mi parlava e io non sapevo reagire, mi sentivo al di fuori del mio corpo, ad assistere ad una storia che non poteva davvero essere capitata a me. La ginecologa mi ha abbracciata, ha cercato di sorridermi, ma io non sapevo cosa dire o cosa fare, quindi sono uscita. Ho provato un forte senso di vuoto anche se la mia bambina era ancora dentro di me, ero terrorizzata all’idea di pensarla lì quando in realtà non c’era più.

Come è nata la tua bambina?

A questo punto è seguita la parte burocratica, in ospedale mi hanno fatto un’altra visita per accertarsi che la bambina non ci fosse più, è stata per me l’ennesima realizzazione di qualcosa che non volevo accettare. Mi hanno poi prenotato per venerdì l’operazione con la quale l’avrebbero rimossa dal mio corpo, era mercoledì e a me sembrava un tempo infinito. A quella operazione in realtà non sono mai arrivata, perché il giovedì pomeriggio ho iniziato a sentirmi male, provando dei dolori che inizialmente erano simili a quelli del ciclo, poi si sono intensificati sempre di più, risultando uguali alle contrazioni che avevo provato con il mio primo figlio. Mi sono messa a letto dopo cena e ho iniziato ad avere delle vere e proprie emorragie. Mio marito ha chiamato l’ambulanza e io sono arrivata in ospedale, dove ho partorito la mia bambina. Nel dolore immenso credo che aver partorito la mia bimba abbia aiutato sia me che il mio compagno, perché abbiamo potuto vederla e stare con lei, non sarebbe andata allo stesso modo con l’operazione.

Perché pensi che aver potuto partorire la tua bambina sia stato un elemento positivo nell’elaborazione del lutto?

Perché ci è rimasto un ricordo bello della bimba, abbiamo visto i suoi occhi, le 5 dita delle sue mani, i suoi piedini, l’abbiamo conosciuta e toccata. Abbiamo anche potuto farle delle foto, mio marito all’inizio non voleva ma poi è stato utile per affrontare il dolore, mi chiedeva di guardarle per poter ricordare. L’idea di aver visto la mia bimba intera, di averla messa al mondo, di aver tagliato il cordone ombelicale è stato molto diverso da un’operazione che non mi avrebbe permesso di tenerla tra le braccia poi.

Quali sfide da quel momento in avanti senti di dover affrontare quotidianamente?

Da un lato credo che la presenza di mio figlio Levi mi dia una forza incredibile, dall’altro sento spesso il bisogno di stare da sola, anche se non posso. Vivo tantissime emozioni contemporaneamente e non riesco a trattenere le lacrime spesso anche davanti al mio bimbo che mi dice sempre con estrema dolcezza: “mamma ti passerà la bua”. Le sfide però sono continue perché anche se la mia bimba non c’è, ci sono tutte le cose che avremmo dovuto fare insieme, i ricordi di lei ed è difficile convivere con queste immagini.

Come hai raccontato il lutto perinatale al fratellino e ai parenti che già sapevano della gravidanza?

Ho pensato a lungo a come dire a Levi che la sorellina non c’era più, una sera mentre lo mettevo a letto gli ho detto: “Sai la sorellina Nora?” e lui mi ha risposto: “Sì è nella pancia” e io gli ho risposto che ora era in cielo. Lui mi ha sorpresa perché con un’estrema serenità mi ha risposto: “Adesso è insieme agli angioletti”, con il passare dei giorni lo ha capito. A mia madre l’ho detto senza mezzi termini, ma lei sembrava non capire, non ci credeva, ho dovuto ripeterglielo almeno 10 volte. Non riusciva proprio a immaginare che mia figlia non ci fosse più, credo che per la sua generazione sia proprio complesso concepire che la gravidanza possa non andare bene. Sia lei che mio padre non hanno fatto altro che piangere, a raccontarlo agli altri parenti ci hanno pensato loro, io non ero proprio nella condizione per farlo.

In ospedale ti hanno dato degli oggetti per ricordare la tua bimba e cercare così di affrontare il dolore del lutto perinatale?

Sì, tramite un’associazione che lavora con l’ospedale mi hanno fatto avere un orsetto che nelle dimensioni era esattamente identico a quelle delle settimane di gestazione della mia bambina. Mi hanno poi chiesto se volessi una cerimonia funebre per la mia bimba e a questo punto mi hanno dato due ciondoli a forma di ciuccio, uno da indossare, uno da lasciare nella bara alla mia bimba. Mi hanno anche dato tanto materiale per il supporto psicologico. Io da quel giorno affronto un percorso con la psicoterapeuta e credo che sia stato essenziale parlare con lei di questo dolore, per elaborarlo, affrontarlo e tornare a vivere.

Ti sei mai sentita in colpa per quanto era accaduto?

Sì, più perché una mamma si sente sempre in colpa, che perché fosse davvero colpa mia. Mi sono chiesta mille volte perché io non sia stata in grado di proteggere mia figlia e di darla al mondo. Sapevo di non aver fatto nulla che avesse potuto in qualche modo determinare una cosa del genere, ma mi sono comunque fatta molte domande.

Perché hai deciso di raccontare il tuo vissuto sui social?

Per me i social devono essere un ambiente positivo, ho sempre raccontato molto poco della mia vita privata o dei miei problemi, ma ho sentito l’esigenza di farlo in questo caso. Ero assente da un po' sulla mia pagina e la mia community se n’è accorta, io non volevo mentire o nascondere quel dolore che avevo provato, perché ci tenevo a condividerlo per sia attenuarlo che per farlo arrivare a tante persone che hanno vissuto lo stesso ma si sono costrette a stare nel silenzio, perché non trovavano il conforto necessario. Il riscontro è stato molto positivo, mi hanno sostenuta e supportata tutti, aiutandomi ad affrontare queste prime settimane.

Ti è capitato che le persone con cui ti interfacciavi sminuissero il tuo dolore?

Sì, soprattutto è capitato che lo facessero persone che erano già un po’ borderline nella mia vita e che quindi ho allontanato perché l’arrivo di questa bimba mi ha fatto capire quali persone dovevano rimanere e quali uscire dalla mia vita. Io credo che ci siano ancora molti tabù riguardo il lutto perinatale, per questo le persone non sanno come rispondere quando una donna dice di aver vissuto una situazione simile. Però alcuni al posto che stare in silenzio o offrire una spalla su cui piangere o una mano alla quale aggrapparsi, usano frasi come  “ma sì, poi farai un altro figlio”, come non si trattasse di bambini ma di biscotti. Spero che, aver raccontato la mia esperienza e questo dolore possa in qualche modo porre freno a questa superficialità e far sentire le donne comprese e capite.

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