Meno fatica, più risultati: secondo uno studio, rafforzare la memoria di lavoro aiuta i bambini in matematica

Cosa c'entra la memoria con i problemi di matematica? Più di quanto si pensi. Un recente studio dell'Università del Kansas ha messo in luce il ruolo cruciale della memoria di lavoro nella risoluzione dei problemi di testo in matematica, soprattutto nei bambini con difficoltà in questa materia. La ricerca, pubblicata su Child Neuropsychology e condotta su alunni di terza elementare, suggerisce che strategie mirate per potenziare la memoria di lavoro possono migliorare significativamente le capacità di risolvere problemi, alleggerendo il carico cognitivo e facilitando l’apprendimento.
La memoria di lavoro è come una lavagna mentale
La memoria di lavoro è quella funzione cognitiva che consente di mantenere e concentrare temporaneamente tutte le informazioni utili a compiere una determinata operazione mentali. In matematica, questa abilità risulta essenziale, in particolare quando i bambini devono affrontare problemi testuali – i classici esercizi come che ogni studente ha affrontato sui banchi di scuola – che richiedono comprensione, analisi e calcolo. Come spiega Michael Orosco, professore associato di psicologia dell’educazione e primo autore dello studio, "la memoria di lavoro è come una lavagna mentale su cui si annotano e manipolano i dati necessari a trovare la soluzione". Ed è su questa base che il team di ricerca ha deciso di indagare se potenziare questa capacità potesse aiutare gli studenti che manifestavano difficoltà nelle discipline matematiche.

Quattro strategie per risolvere i problemi
Lo studio ha coinvolto 207 alunni, divisi casualmente in quattro gruppi, ciascuno sottoposto a una diversa modalità di intervento per otto settimane. Le strategie proposte includevano un approccio verbale (con tecniche come sottolineare la domanda o cerchiare i numeri), uno visivo (con l’uso di diagrammi per rappresentare le relazioni tra quantità), una combinazione di entrambi e infine una strategia basata solo sui dati del problemi, senza possibilità di sottolineare o tracciare schemi.
I risultati hanno così mostrato che gli approcci attivi – in particolare quelli con segnali visivi o verbali – aiutavano gli studenti a ridurre il carico sulla memoria di lavoro, permettendo di dedicare più risorse cognitive alla comprensione e risoluzione del problema.
Meno carico, più apprendimento
Alla fine del percorso, i test condotti hanno confermato una forte correlazione tra memoria di lavoro e capacità di risolvere problemi. I bambini con una memoria di lavoro più sviluppata ottenevano risultati migliori, indipendentemente dalle difficoltà iniziali in matematica. Inoltre, le strategie basate su indizi visivi o verbali aiutavano in particolare gli studenti con maggiori difficoltà, migliorando progressivamente la loro memoria di lavoro.

"Queste strategie liberano spazio nella mente degli studenti", ha dichiarato Orosco. "È come se alleggerissero uno zaino cognitivo, permettendo loro di raccogliere nuove informazioni mentre lavorano alla soluzione"
Il futuro dell'insegnamento passa dalla neuroscienza?
Lo studio apre anche nuove prospettive per la didattica. Orosco ha sottolineato l’importanza di formare meglio gli insegnanti sugli aspetti cognitivi dell’apprendimento: "La neuroscienza educativa è ancora poco conosciuta tra i docenti, ma quando se ne parlano i benefici diventano chiari". Capire meglio come funziona la memoria di lavoro permette di progettare interventi più efficaci, capaci di fare la differenza anche per chi non risponde alle metodologie tradizionali.
Il lavoro dell’Università del Kansas si inserisce così in un filone crescente di ricerche che intendono potenziare l’insegnamento della matematica partendo dalla comprensione del funzionamento del cervello. Una strada che, secondo gli autori, potrebbe essere ulteriormente esplorata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, sia per comprendere meglio le funzioni cognitive sia per sviluppare nuove modalità di intervento personalizzate.