“Mamma, sono arrivati i risultati dei suoi esami”: perché dopo il parto le donne perdono anche il loro nome
"Ma perché da quando è nato il mio bebé, le persone in molti contesti mi chiamano "mamma"?" è questa la domanda che l'influencer Giulia Valentina, da poco diventata mamma, ha fatto ai suoi followers, mostrando loro lo screen di una mail, arrivata da una struttura ospedaliera, che l'avvisava del fatto che le sue analisi fossero pronte. Nell'intestazione della mail non c'erano il suo nome e il suo cognome, ma un informale: "mamma buongiorno", due parole in grado di definirla non più come persona ma semplicemente con il suo nuovo ruolo: quello di madre.
Valentina ha riso della cosa, spiegando che si sarebbe aspettata piuttosto che un giorno sarebbero stati i compagni di classe del suo bebè a definirla "la mamma di…", ma mai che perfetti sconosciuti l'apostrofassero come mamma.
Abbiamo chiesto ad Anna Granata, Professoressa associata di pedagogia presso l’Università di Milano Bicocca e autrice di un testo sull'emancipazione femminile fin dalla giovane età: "Ragazze con il portafogli. Una pedagogia dell'emancipazione femminile" di spiegarci perché una donna in Italia, quando diventa madre perde anche il proprio nome di battesimo per la società e quali siano gli effetti di questo fenomeno.
Perché è un problema che una donna dopo il parto venga definita "mamma", perdendo il suo nome e cognome?
Dobbiamo dire innanzitutto che le parole esprimono sempre rapporti di potere, e che, soprattutto quelle che hanno a che fare con le identità intime delle persone, andrebbero pronunciate con molta attenzione. Nel caso specifico della parola "mamma" ci riferiamo ad una bellissima espressione, carica di una dimensione affettiva nel contesto familiare, ma che quando viene utilizzata nel contesto mediatico, quando c’è un titolo di cronaca o una dimensione politico-istituzionale o professionale, squalifica tutte le altre dimensioni della persona. Così la donna non è più donna e diventa mamma o non è più professionista perché diventa mamma. Una parola meravigliosa, se in un attimo squalifica tutte le altre dimensioni di una donna, diventa un serio problema.
Perché accade che le donne vengano chiamate mamme dopo il parto e non succede lo stesso agli uomini?
C'è una ragione storico-normativa dietro a questa tendenza, fino agli anni Sessanta una donna non poteva essere contemporaneamente anche solo moglie e lavoratrice, poiché il matrimonio la relegava alla condizione esclusivamente privata e votata alla maternità. Era sancito dalle clausole di nubilato, che sono state in vigore in Italia fino al 1963.
Oggi non esiste più questo vincolo, ma nei contesti lavorativi avvengono due fenomeni dopo la nascita di un bebè, da un lato il maternal wall, ossia il rischio delle professioniste di perdere il lavoro a causa di una gravidanza, o di vedere in termini di mansioni e riconoscimento un calo rispetto ai propri titoli di studio. Un altro fenomeno è il mum session, ossia il fatto che una donna su 5 lascia il lavoro dopo la maternità, talvolta per scelta, più spesso perché è costretta.
Capiamo che in questo contesto definire mamma una donna diventa molto squalificante. Personalmente mi è capitato di andare a fare una formazione in una scuola, dove ero stata chiamata come professionista, e il dirigente scolastico saputo che ero madre di bimbi in età scolare, non mi ha presentato come docente dell'Università Bicocca, ma mamma. Mi è parso terribilmente squalificante e fuori luogo, ma sono certa che purtroppo tutte le donne possano raccontare un episodio simile. Mi sento di dire, che come ci ha insegnato Michela Murgia, che quando veniva apostrofata con un articolo determinativo davanti al suo nome rispondeva che "la Murgia era una catena montuosa", dobbiamo rispondere ogni volta facendo valere il nostro nome e la nostra identità.
Nel caso in questione, Giulia Valentina ha ricevuto una mail da una struttura ospedaliera che l'ha definita "mamma" quanto questo rientra nell'infantilizzazione della donna?
A me sorprende molto che una cosa del genere avvenga in ambito medico, ci vedo di più un utilizzo inappropriato delle parole, una forma di assistenzialismo verso la donna che non viene più riconosciuta come persona adulta con un nome e un cognome e una qualifica, ci vedo l'utilizzo improprio di una parola bellissima, che assume il ruolo di svalutazione della persona adulta.
Questo non rischia anche di avere ripercussioni negative sulla psiche della donna durante un periodo difficile come il post partum?
Trattare la donna non solo come persona da tutelare e curare, ma anche da infantilizzare rientra nella violenza ostetrica e sicuramente non facilita il processo che porta la persona a essere padrona del proprio corpo e della propria volontà, e rende per lei più faticoso uscire dalla delicata fase successiva al parto.