“Mamma mi salvò da un tentativo di suicidio, oggi mi batto perché nessun ragazzo pensi che sia meglio morire”
“Io ero sul cornicione della finestra di camera mia e se non fosse stato per quella persona seduta lì nel pubblico, la mia mamma, oggi non sarei qui. Il silenzio uccide e non accetto lezioni da nessuno su questo tema perché nessuno sa cosa significa guardare il vuoto a penzoloni da un cornicione e pensare che non abbia senso vivere". Sono parole dure, durissime, quelle che Marco Mancuso, 22enne consigliere comunale di Vercelli, ha gridato per rompere il silenzio che serpeggiava tra gli altri consiglieri, al momento di parlare delle misure per tutelare la salute mentale degli studenti.
La stessa voce sicura e amichevole è quella con la quale ci racconta di quel giorno, quello in cui pensava non ci fossero più motivi per vivere. "Essere l'ultima scelta nell'ora di educazione fisica, diventare invisibile agli occhi dei miei compagni, temere i loro giudizi, ha provocato nel me adolescente di allora, un dolore che non meritavo e che ad un certo punto non sono più stato in grado di sopportare". Marco, oggi è grato alla vita, e ci racconta anche del tempismo del destino che ha voluto sua mamma tornasse prima dal turno in cassa per salvarlo, tendendogli quella mano che da allora lui tiene ben stretta a sé.
Scegliere di rendere pubblico questo dolore gli ha permesso di creare una catena di solidarietà, la stessa che gli ha consentito di tornare a vivere dedicandosi alla politica e ai più fragili, ma non è ciò che avrebbe desiderato per sé.
"Sono felice se le persone apprezzano il mio operato ma non dimentico che io non avrei dovuto essere in politica per riscattare un dolore che non meritavo, io avrei dovuto finire il liceo classico che tanto amavo, fare giurisprudenza e diventare un avvocato sottopagato, vivere una vita meno esposta, magari mediocre, ma senza dolore".
Partiamo dall’inizio Marco, che bambino sei stato?
La mia infanzia è stata molto serena e felice ma un po’ anacronistica, perché i miei genitori hanno sempre lavorato molto, mia mamma era impegnata più di 40 ore alla settimana nella gastronomia di un supermercato, mentre papà era un chimico farmaceutico, sempre diviso tra laboratorio e lavoro di fabbrica. Sono cresciuto con mio nonno, non a casa sua ma al sesto piano dell’Ospedale di Vercelli, perché aveva un tumore osseo che lo obbligava a stare interi periodi nel reparto di lunga degenza, dove ho imparato a non avere paura dell’ospedale ma a concepirlo come un luogo di cura. Qui portavo da mangiare ai pazienti su quel carrello che al me bambino sembrava un’astronave, in grado di fare del bene a chi era malato. Quando nonno stava bene viaggiavamo sulla sua Alfa Romeo tra le campagne di Vercelli e io mi sentivo il bambino più fortunato del mondo. Insomma le figure chiave della mia infanzia sono state la mia mamma, che si faceva in quattro per non perdersi neanche una mia recita a scuola e mio nonno che non aveva niente eppure mi dava tutto.
La scuola è centrale nella tua storia, che studente sei stato?
Il mio percorso di studi è stato caratterizzato da una delle piaghe che serpeggiano tra i banchi di scuola, il bullismo, che si è presentato al liceo. Elementari e medie sono trascorsi abbastanza lisci, e poi per me è stato naturale scegliere il liceo classico, amavo le sue materie alla follia, ma purtroppo ci sono stato solo per un anno e qualche mese prima dell’episodio del cornicione. In quegli anni, infatti, ero molto attivo sui social media, avevo creato una pagina di notizie, ho iniziato una collaborazione con Musically, l’antenato di TikTok, e organizzavo diversi eventi. Erano tempi diversi da ora e i miei compagni del liceo non hanno mai compreso queste mie passioni, isolandomi. Non mi sento di incolparli, oggi usano le piattaforme che deridevano, ma sono riusciti a escludermi da tutto, non avevo alleati in classe se non una ragazza, Celeste, che era il mio sole e Linda, che mi passava le versioni di Greco quando dentro di me c’era tutto tranne che la voglia di mettermi a farle. La situazione ad un certo punto si è fatta insostenibile, amavo quella scuola ma lei faceva di tutto per respingermi, ero l'ultima scelta dei miei compagni di classe nelle ore di educazione fisica, lo studente che si sedeva all'ultimo banco e non parlava con nessuno. Ho perso in breve la voglia di studiare, di frequentare le lezioni, di uscire di casa, temevo che tutti mi avrebbero guardato con lo sguardo giudicante dei miei compagni di classe.
Ci racconti il giorno in cui hai pensato di farla finita?
Era marzo, ma faceva ancora freddo, ho aperto la finestra che ora mentre ti parlo è davanti a me e mi sono arrampicato sul cornicione con le gambe a penzoloni, tentando il suicidio.
Poi è arrivata la tua mamma?
Sì, mamma ha finito prima di lavorare, è entrata in casa, ha aperto la porta di camera mia e mi ha preso letteralmente per i capelli. Mi ha salvato la vita perché se non fosse tornata in anticipo e se non fosse corsa in camera mia io non starei raccontando la mia storia. Poi però è andata meglio, ho affrontato un percorso di terapia ma a salvarmi la vita è stata la decisione di fare il rappresentante di istituto.
Hai cambiato scuola?
Sì, ho cambiato indirizzo, scegliendo quello delle scienze umane nello stesso istituto, ero molto bravo, ma mi sentivo solo un corpo che camminava. La diffidenza e il bullismo fra coetanei avevano lasciato sul mio corpo ferite ancora fresche e dure a rimarginarsi, non mi fidavo delle persone, avevo paura di tutti. La mia salvezza è stato il supporto dei miei nuovi compagni di classe che mi hanno votato rappresentante di classe e mi hanno spinto, con estremo amore, a candidarmi a rappresentate d'istituto. Ricordo che ero terrorizzato prima di ogni assemblea d'istituto ma che poi stare tra gli studenti, dare voce ai loro interessi e bisogni era una festa. Mi hanno dato una seconda possibilità per vivere.
Cosa ricordi dei tuoi genitori in quegli anni?
Ricordo che siamo riusciti a far scendere in piazza tantissimi giovani a Vercelli per il Fridays for future, nel giorno del compleanno di mio papà e che lui è venuto con me. In testa a quel corteo c'ero io, un adolescente fatto a pezzi dai suoi coetanei, che stava cercando di rimetterli a posto, anche grazie a tutte quelle persone che si erano fidate di me. Ricordo la commozione di mio padre, il suo abbraccio stretto, il suo orgoglio, con molta tenerezza. Mi hanno dato una seconda vita quegli studenti scesi in piazza, per loro ho scelto scienze politiche, per loro mi sono addentrato in politica, perché non volevo che più nessuno si sentisse come mi ero sentito io quando ho pensato che la mia vita non avesse più senso di essere vissuta. E ho iniziato ascoltando i ragazzi, parlando di tematiche importanti, così si è creato un circolo di bene che ha unito i ragazzi nella loro condizione di fragilità, smettendo di farli sentire soli.
Tornando all'episodio accaduto a marzo, tu avevi verbalizzato con qualcuno il tuo stato d'animo o avevi tenuto tutto per te?
Credo che mia mamma si aspettasse un gesto estremo, si è sempre resa conto di come venivo trattato. In casa mia c'è sempre stato molto dialogo, soprattutto grazie a mia madre, che aveva avuto un padre pessimo, che poi si è dimostrato essere un ottimo nonno, ma dal quale lei voleva discostarsi. Lei mi ricorda sempre quando in macchina davanti al cancellone della scuola mi ripeteva di cambiare istituto e che io le rispondevo che mai le avrei dato quella soddisfazione. Lei mi vedeva spegnermi giorno dopo giorno, chiudermi in quella stanza senza più alcuna voglia di vivere, né tanto meno di raccontarmi, senza poter fare nulla.
Che valore ha avuto da quel momento in poi la tua mamma per te?
È la mia eroina, la persona più importante per me, se mi chiedono chi voglio essere da grande io rispondo ancora che voglio essere come lei. Con lei so di poter parlare di tutto, è la mia prima sostenitrice, oggi fa la cassiera e sta in mezzo alla gente, questo le permette di segnalarmi continuamente dei problemi che vivono le persone per permettermi di fare le politiche giuste, si preoccupa per me quando gli esami non vanno, mi aiuta a non darmi per vinto, mai. Mi sento guidato e sostenuto da lei che non si stanca mai di tenermi per mano.
Nel video diventato virale tu affronti, parlando della tua storia, il tema dei suicidi che avvengono durante gli anni dell'Università. Perché ti sta a cuore questo tema?
Perché mi capita di sentirmi indietro rispetto agli altri, perché leggo di continuo storie di persone che si laureano in breve tempo, perché i parenti a tavola ancora fanno i paragoni, e so che tutto questo porta gli studenti a sentirsi dei falliti. Ho sentito racconti di ragazzi che davanti a un 24 si sono sentiti dire dai docenti che era un voto basso, che non avrebbero dovuto accettarlo, quando dietro a quel 24 ci sono impegno, dolore, fatica, la vita che va avanti con le sue difficoltà e nessuno si focalizza sul processo. Per me è già una vittoria presentarmi ad un esame dopo essere stato bocciato, perché quella bocciatura fa sentire sbagliati, inadatti allo studio o alla materia che si ama.
Ti sei mai sentito in colpa nei confronti dei tuoi genitori per quel gesto compiuto in una situazione di estremo dolore?
No, mai. Un mio collega una volta mi ha detto che ero stato debole nel tentare il suicidio, nel non essere stato responsabile del dolore che stavo per causare ai miei genitori, ma non è così. Chi ha tentato il suicidio non è un debole ma una vittima di una società cattiva. Quando ho cercato di uccidermi l'ho fatto perché mi svegliavo ogni mattina senza uno scopo, non percepivo più il senso delle cose, sentivo che ogni cosa fatta era sbagliata, odiavo e mi sentivo dissonante con le cose che mi capitavano, mi sarei anche dovuto addossare la responsabilità per le persone che mi amavano? Io per loro avrei dato la vita, ma in quel momento non ne avevo più. I genitori hanno il compito e il dovere di comprendere i figli, i miei sono riusciti a farlo, perché mi amano.
Cosa diresti ad un ragazzo che sta vivendo quello che hai vissuto tu al liceo e non sa a chi e se chiedere aiuto?
Credo che lo abbraccerei e poi parlerei con i suoi docenti. Come può uno studente di oggi trovare qualcuno a cui chiedere aiuto. Se va bene nelle scuole c'è uno sportello di ascolto con un solo psicologo per tutto l'istituto che ha bisogno del consenso informato dei genitori, quando c'è il momento dell'incontro l'alunno viene chiamato davanti a tutta la classe che quindi scopre che si appoggia a quel servizio. C'è da dire poi che quando si arriva a pensare al suicidio si è in una condizione di disagio tanto forte da impedire di parlare, io non avrei avuto la forza di chiedere aiuto, era l'ambiente esterno che avrebbe dovuto capire il mio dolore, è il mondo esterno a dover capire quello degli studenti di oggi.
Hai deciso di raccontare sui social un evento estremamente doloro e privato, quanto è stato difficile e al contempo importante farlo?
La vivo un po' a metà, è stato molto complesso farlo, all'inizio ho pensato di aver esagerato, ma poi ho capito che era necessario. Ho avuto paura a renderlo noto su Instagram, perché rivivere quelle cicatrici fa malissimo, ma quando poi quel video ha dato la possibilità a molte persone di immedesimarsi e raccontarsi ho capito che avevo fatto la scelta giusta.
Chi pensava di essere solo si è ritrovato unito da un filo a tante altre storie. La cosa che odio è però ricevere dei complimenti per ciò che ho fatto perché se avessi potuto io non avrei voluto essere lì. Io a dire il vero non avrei voluto fare politica. Io avrei voluto e avrei anche avuto il diritto di vivere una vita normale, mediocre, di fare il liceo classico e poi laurearmi in giurisprudenza, piuttosto che iniziare a fare politica con una cicatrice di tale entità, perché quel ragazzo di 16 anni non si meritava di essere trattato così, di ricevere tutto quel male gratuito che nessun essere umano sarebbe in grado di sopportare. So di per certo che non doveva essere la mia storia a convincere i grandi che c'è sempre qualcosa da fare per i ragazzi, che la loro salute mentale è importante e che se nessuno si cura di loro il nostro Paese non ha futuro.