Le fragilità dei papà di oggi, divisi tra l’assenza di un modello di riferimento e il desiderio di esserci per i figli

La festa del papà sembra assumere ogni anno un nuovo significato, questa figura infatti, nelle famiglie in cui è presente, risente del forte cambiamento che nel corso degli ultimi anni l'educazione dei figli da parte degli uomini ha assunto. Se ci pensiamo, mentre il congedo di paternità esiste in Italia da meno di vent'anni e la società è ancora fortemente permeata dall'idea che l'uomo in sala parto debba essere forte, nell'educazione dei figli risoluto e deciso, si fanno largo padri che, come Brunori Sas ha fatto a Sanremo, si sentono finalmente liberi di mostrare la loro estrema fragilità, cercando di spezzare anche le catene di un ruolo tradizionale che non li rispecchia più.
Per indagare a fondo quanto sia bello e difficile essere padri nel ventunesimo secolo ci siamo rivolti all'Associazione APS genitoriAmente che, attraverso le parole della sua presidentessa, la psicologa Emanuela Beretta, responsabile della Psicologia Ostetrica Ospedaliera degli Spedali Civili di Brescia e dei due psicologi clinici, consiglieri dell'Associazione, in formazione presso la Psicologia Ostetrica Spedaliera Chiara Bani e Lorenzo Protano, ci ha raccontato le sfide dei papà moderni.

Il papà fin dalla gravidanza, che fisicamente viene vissuta solo dalla donna, sembra essere un po' accantonato, che sfide vive in questo tempo d'attesa?
Beretta: É necessario, per rispondere a questa domanda, scavare nella tradizione legata alla figura del padre, fino a non troppi anni fa non era necessario che il padre partecipasse alla fase pre-natale del suo bambino, che era anche molto meno medicalizzata di oggi e dunque vissuta prettamente dalla donna. Ad oggi le cose sono cambiate, perché nella società moderna diventare genitore è una scelta della coppia, non più qualcosa che accade in maniera automatica. Entrambi i membri della coppia partecipano al processo decisionale sotteso e dunque anche all'attesa. Se la maternità, però è inscritta anche dal punto di vista biologico nell'identità femminile, la paternità sembra dover sempre passare attraverso processi simbolici, sempre attraverso il corpo della compagna. Dunque la paternità diviene dedotta e comporta un movimento di accoglienza e riconoscimento del figlio come proprio.
Credete che i papà di oggi si sentano esclusi dal nucleo familiare, appena nasce un bambino?
Protano: Bisogna ammettere che questo sentimento di esclusione e isolamento è qualcosa che la figura paterna effettivamente vive e sperimenta e che ha delle derivazioni storiche. Se ci soffermiamo sulla famiglia possiamo considerarla come quel soggetto in cui materno e paterno si intrecciano rappresentando ciascuna una diversa polarità; da una parte vi sono l'affetto e la cura, dall'altro l'etica e la responsabilità legata al rispetto della legge. La famiglia riesce a rimanere in equilibrio proprio grazie al dialogo costante tra queste due parti. Nella famiglia eterosessuale questi due poli fino ai moti del Sessantotto erano distinti tra donna e uomo, poi con le diverse battaglie per la libertà e la parità la società è cambiata e con essa l'assetto della famiglia. A cambiare in particolare è il patriarcato presente in famiglia, in questo senso la figura del padre padrone è oggi fuori tempo massimo; il padre si trova a perdere dunque quello che è stato l'unico modello di riferimento che ha avuto e a doversi rimettere in discussione. Se da un lato è libero di essere chi desidera, dall'altro è portato a domandarsi quale sia il senso di essere padri oggi, a vivere una continua sfida che certamente non è aiutata da un congedo di paternità molto breve e corsi pre-parto che a volte non ne richiedono la presenza.
Come possono essere dunque aiutati i padri di oggi?
Protano: Innanzitutto bisogna evitare che si sentano esclusi, isolati o senza un modello, la vera sfida è proprio aiutarli ad aiutarci a trovare nuove forme di paternità, e poi bisogna chiedere loro se davvero desiderano essere maggiormente coinvolti.
Beretta: Esatto, a mio avviso l'esclusione dei padri nel post-partum è un gioco che si fa in due, bisogna imparare a chiedere loro se realmente vogliono essere inclusi e una volta presa questa consapevolezza bisogna capire cosa impedisca loro di sentirsi parte attiva nella gestione del bambino. Perché nella società di oggi coesistono sia padri in evoluzione che padri più legati alla tradizione, in ospedale assistiamo spesso a papà che non vogliono tenere in braccio il bebè, lavarlo o cambiarlo. Al contempo vediamo anche papà che finalmente non riconoscono come un attentato alla loro virilità mettere in atto fin da subito competenze di cura, entrando in contatto con la loro parte più materna e riconoscendo la propria compagna anche "penetrante" quando si tratta di risolvere problemi e loro stessi materni in attività di cura e accompagnamento.
Brunori Sas a Sanremo ha raccontato un nuovo modo di essere papà, è la nuova frontiera della paternità?
Bani: Io credo che visti tutti i cambiamenti che si stanno susseguendo nella nostra società possa essere una via quella di essere padri mettendo in luce la propria fragilità. Anche se credo che mostrarsi fragile e debole per un uomo oggi sia ancora molto complesso.
Beretta: Coesistono nella nostra società molti stili di paternità, Brunori Sas in particolare ha dato voce anche a uno degli aspetti della paternità meno raccontati cantando: "E nei tuoi occhi di mamma adesso splende una piccola fiamma" ammette di vedere negli occhi della compagna la maternità nascente. Da qui se se la sente e lo desidera potrà approcciarsi al neonato, imparando a prendersene cura. Un altro spezzone della canzone parla di navigare in assenza di stella polare e mette in luce la perdita di punti di riferimento che orientino in modo deciso verso il futuro. Teniamo anche presente che i padri si approcciano alla genitorialità in maniera diversa dalla donna, perché ritrovano nella compagna la figura della propria madre dalla quale devono al contempo distanziarsi.
Lo stigma sociale che vorrebbe i padri forti e sostenitori della compagna, sembra perdurare anche in sala parto, luogo in cui non si accetta che soffrano nel veder stare male la compagna…
Bani: Sì, penso che questo sia legato all'ancora forte presenza di pregiudizi culturali che vorrebbero l'uomo forte sempre, anche e soprattutto nel sostenere la donna in un momento complesso come il parto.
Beretta: Ci tengo a dire che però la società spesso si domanda anche perché debbano entrare i padri in sala parto, dato che a volte essi stessi soffrono e chiedono il supporto del personale sanitario, come ad esempio quando svengono e sono da prendere in carico, oltre la donna. La verità è che se i padri entrano in sala parto è perché vogliono essere partecipi della nascita del proprio bambino, aiutando in modo affettivo ed emotivo la compagna, lavoro molto complesso nell'impotenza di un ruolo che non è attivo durante il parto.
Protano: questo tema dell'impotenza dei padri che si sentono figure marginali, nell'ombra quando nasce un bambino può essere affrontato se si guarda in toto alla complessità di questo ruolo genitoriale in una società in continuo cambiamento. Brunori canta che le proporzioni del suo cuore sono cambiate, grazie a sua figlia ed è proprio la complessità di questo passaggio che dobbiamo imparare ad abbracciare anche a livello sociale, cercando di non lasciare i papà da soli.
A proposito di questa vicinanza che la società dovrebbe dimostrare ai padri, c'è sempre più attenzione alla psiche delle neomamme, per i papà è lo stesso. Se vogliono chiedere aiuto c'è chi li ascolta?
Bani: Mi sono occupata di somministrare ai papà che accedono alla struttura ospedaliera per la nascita del loro bambino un questionario, per comprendere come si sentissero. Devo dire che è stato un lavoro molto faticoso, che ha incontrato non poche resistenze, penso a causa dell'organizzazione dell'iter clinico quando sta per nascere un bambino. Le attenzioni si concentrano infatti in toto sulla donna, dunque i padri non sentono di dover rispondere a domande inerenti al loro benessere. Se l'adesione ai questionari per il rischio psichico perinatale delle donne è del 98%, l'adesione dei papà è stata bassissima.
È come se l'uomo dovesse essere educato a chiedere aiuto?
Beretta: certo, anche perché il passaggio alla paternità è molto complesso a causa di tanti stereotipi culturali. Tuttavia non lo vedo come una vittima di una società non in grado di ascoltarlo, solo parte di un cambiamento in corso. Sarebbe auspicabile una famiglia in cui nella coppia funzione materna e paterna coesistessero a prescindere dai generi.
Protano: Io sono d'accordo con questa difficoltà del papà a livello sociale di chiedere aiuto e aprirsi per tanto avere dei modelli che pubblicamente si facciano vedere anche fragili e deboli e non per questo meno uomini è molto importante. Gli uomini hanno bisogno di altri uomini che dimostrino loro che dalle crepe della loro fragilità può passare la luce e di padri che si mostrino per chi sono davvero.