Le figlie femmine di padri con Alzheimer sono più a rischio di sviluppare la malattia, secondo uno studio

Di padre in figlia, è così che una malattia devastante come l'Alzheimer si può trasmettere da una generazione all'altra, secondo un nuovo studio condotto dall'Accademia americana di Neurologia. La ricerca è arrivata per ribaltare una concezione ormai approvata dalla scienza, secondo cui, il rischio di sviluppare la malattia aumentasse nei figli se era la madre ad aver ricevuto una diagnosi della stessa.
Di padre in figlia, così si manifesta l'Alzheimer
La ricerca è stata pubblicata lo scorso 9 febbraio sulla rivista scientifica Neurology e ha indagato le condizioni di 243 persone con una storia familiare di Alzheimer, dunque con almeno uno dei due genitori malati o almeno due fratelli con la patologia, che all'età media di 68 anni non avevano ancora manifestato alcun sintomo legato a difficoltà di pensiero o di memoria. I partecipanti allo studio sono stati seguiti dai ricercatori, che li hanno sottoposti periodicamente, per circa 7 anni, a scansioni cerebrali e test sulle proprie capacità di memoria e pensiero, i quali hanno riscontrato in circa 71 di loro un lieve deterioramento cognitivo.
I ricercatori, grazie ai dati ottenuti dai sette anni di studi, hanno scoperto che le persone con un padre affetto dal morbo di Alzheimer presentavano con più facilità un accumulo di proteina tau nel cervello. La presenza di questa proteina, infatti, è un segno precoce della malattia, il quale sembrava presentarsi con più probabilità, soprattutto se la figlia della persona affetta da Alzheimer era di sesso femminile.
Speranze per il futuro
I ricercatori si sono detti molto stupiti della loro scoperta, del tutto diversa dalle ipotesi fatte prima della stessa, basate invece sulle ricerche disponibili fino a quel momento sulla familiarità della malattia: "Siamo rimasti sorpresi nel vedere che le persone con un padre affetto da Alzheimer erano più vulnerabili alla diffusione della proteina tau nel cervello, dal momento che avevamo ipotizzato che avremmo osservato più cambiamenti cerebrali nelle persone con mamme affette dalla malattia" spiega la prima firmataria dello studio, la ricercatrice Sylvia Villeneuve.
Questa consapevolezza, però, fa ben sperare i ricercatori, dal momento che – come spiegano – una migliore comprensione della maggiore vulnerabilità di alcuni soggetti potrebbe portare i medici a intervenire precocemente con interventi personalizzati nei soggetti a rischio, in grado di proteggere gli individui dall'Alzheimer.
I ricercatori dunque sperano in ricerche future che indaghino sempre più a fondo l'ereditarietà della malattia e lo facciano prendendo a campione gruppi sempre più eterogenei.