“Le donne devono tornare al lavoro dopo i figli, ma la società sembra dire loro il contrario”: la sociologa
Lavoro e maternità sembrano a tutti gli effetti un binomio impossibile e la professoressa Alessandra Decataldo, docente di metodologia della ricerca sociale, presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, recitando a Fanpage.it i dati relativi a salary gap tra uomo e donna e alle dimissioni e part-time ben diversi tra donne con e senza figli, lo ha confermato.
Secondo la docente, tornare al lavoro dopo un figlio è fondamentale per il bambino e per la mamma, ma la società stringe le donne in una morsa, divise tra la consapevolezza di non avere aiuti, doversi occupare quasi in toto della casa e dei bambini, di poter rientrare al lavoro dopo 5 mesi in una posizione lavorativa ben diversa da prima e il falso mito secondo cui se non diventeranno madri non sapranno mai davvero realizzarsi.
Professoressa, l’occupazione femminile c’entra con l’inverno demografico che stiamo vivendo?
Certo, noi siamo un Paese che è dal 2008-2010 in un eterno inverno demografico, ossia il numero dei nuovi nati decresce di anno in anno, registrando un minimo storico nel 2023, con un 2024 che sembra essere anche peggiore. Il tutto però va inteso in un contesto come il nostro in cui le donne italiane dichiarano di volere due figli e invece riescono ad averne una media di 1,20. E in cui il primo figlio si fa mediamente a 32 anni con una percentuale del 10% delle donne che lo fa dopo i 40.
Noi sociologi indaghiamo i motivi di questi numeri, e il lavoro è centrale. Il tasso di occupazione in Italia per le donne (tra i 15 e i 64 anni) è bassissimo. Per quanto riguarda poi le donne in età fertile se queste non hanno figli il tasso di occupazione è del 68% scende di 10 punti percentuali, quando le donne hanno figli. Dati del genere, opposti a quelli che riguardano gli uomini che con l’aumentare del numero dei figli arrivano a tassi di occupazione vicini al 100%, fomentando l’idea del man breadwinner, l’uomo che deve lavorare per portare da mangiare ai propri figli, a differenza della donna che se ne deve occupare.
Perché per le donne il processo è inverso?
Per le donne il processo è inverso per due motivi, perché da una parte la società ancora dice alle donne che per realizzarsi devono essere sia madri che lavoratrici, portandole spesso a decidere di fare figli per rispondere non solo a un desiderio personale ma anche a una pressione di tipo sociale rispetto alla maternità.
In secondo luogo, la nascita di un figlio, a differenza di come la si immagina durante la gravidanza, è una vera e propria crisi che cambia le dinamiche di coppia, e dà vita a un vero e proprio processo di riadattamento, costellato di paure, come quella di fallire, di non essere all’altezza e di non essere una buona madre se dopo i 5 mesi di maternità ci si stacca da quel bambino a cui la società ha obbligato a rivolgere tutte le attenzioni.
Pensa che le donne abbiano paura di tornare al lavoro dopo la gravidanza?
Nella nostra società certo, innanzitutto in poche possono accedere al congedo di maternità, e per chi vi accede questa misura non è abbastanza, in un Paese dove scarseggiano i servizi e alle famiglie si chiede di fare affidamento al welfare familistico, ossia sulle nonne o sulla mamma per la gestione dei figli. Anche perché dopo 3 o 4 mesi di vita, il bambino non è in grado di gestirsi da solo e i servizi costano troppo o non ci sono. Tornare al lavoro dopo la gravidanza ad alcune donne fa paura anche perché sanno che le cose saranno ben diverse da quando se ne sono andate e se hanno un contratto fragile, probabilmente la loro maternità sarà l’occasione per non rinnovarlo.
Le donne, poi, non fanno figli perché hanno paura di farli, temono le ripercussioni sulla loro vita economica e lavorativa, temono che la qualità della loro vita sarà peggiore e che da sole non riusciranno a gestire questo impegno.
Quali sono i benefici del rientro al lavoro dopo la gravidanza?
Io credo che tornare al lavoro dopo un figlio porti benefici sia alla mamma che al bambino. Innanzitutto il distacco fa bene al piccolo, che solo con la separazione dalla madre diventa autonomo, non si tratta certo di un abbandono, la famiglia rimane il suo porto sicuro e impara che dopo le ore che passa al nido o con la baby-sitter la mamma e il papà torneranno. Il bimbo così sarà più sereno e in grado di trascorrere con i genitori un tempo di qualità, molto più importante della quantità.
In secondo luogo una donna realizzata lavorativamente indipendente economicamente, trasmette al proprio figlio un’immagine di sé più serena, autonoma e solida.
Perché a volte i genitori, soprattutto le mamme, si sentono in colpa a lasciare i bambini all’asilo?
Perché forse siamo rimasti fermi a quando la scuola dell’infanzia si chiamava scuola materna, pensata, come dice la parola appunto, come fosse un parcheggio dove lasciare i bambini mentre la mamma lavorava. Oggi non è così, gli insegnanti sono specialisti centrati sul bambino, la scuola fin dal nido è un luogo che conferisce stimoli fondamentali per la crescita del bambino. Quindi mandarlo lì significa fare il suo bene, non il suo male.
Quali sono gli svantaggi, se ce ne sono, di tornare al lavoro dopo una gravidanza?
Sicuramente ce ne sono, altrimenti le donne non eviterebbero di fare figli o non ne farebbero meno di quanti ne desiderano. La nascita di un figlio, ancora oggi, crea non poche fratture nella vita di una donna, innanzitutto il carico dei lavori domestici e di cura dei figli è sulla madre e porta a lei un carico mentale e di responsabilità molto forte che si accentua quando ritorna anche il carico lavorativo e l'equilibrio difficilissimo tra l’attività lavorativa e l’attività familiare. La famiglia interferisce continuamente con la vita lavorativa delle donne e viceversa
Come potrebbe migliorare questa situazione?
Il tutto si potrebbe attenuare se ci fossero delle politiche serie e strutturali per aiutare le famiglie, ed in particolare le donne, a conciliare i tempi della vita con i tempi del lavoro, partendo da un aumento dei servizi, con nidi che soddisfino un numero adeguato di famiglie. Le stesse politiche strutturali dovrebbero aiutare i datori di lavoro per annullare le dispartità salariali nelle possibilità di carriera tra uomo e donna.
Servono politiche che combattano tutte le forme di discriminazione sull’ambiente di lavoro per le donne lavoratrici. E servizi come il nido all'interno di università e luoghi di lavoro, gratuiti. Altrimenti le donne saranno sempre costrette a scegliere.