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L’adozione raccontata da una mamma: “Giulia mi ha insegnato che un figlio è un dono perché è altro da te”

Alice ha adottato insieme a suo marito Federico (entrambi nomi di fantasia) una bimba nata da un parto in anonimato, ci ha raccontato cosa significa essere genitori adottivi, amare il nome di un figlio che non si ha potuto scegliere e guardarlo crescere bello perché diverso da sé.
A cura di Sophia Crotti
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figli adottivi

La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano la maternità e l’essere genitori. Se avete una storia da raccontarci, o leggendo queste parole pensate di avere vissuto una situazione simile, potete scriverci cliccando qui.

Alice e Federico (nomi di fantasia) hanno da sempre desiderato essere genitori, ma si sono scontrati con una diagnosi di infertilità e con la possibilità di sottoporsi alla PMA (procreazione medicalmente assistita), che li ha sempre molto spaventati.

A questo punto si sono chiesti a che prezzo e perché volessero diventare genitori, fino all'incontro con una coppia di genitori adottivi, che li ha incantati parlando di loro figlio come un dono.

Adottare per Alice e Federico ha significato rivedere completamente la loro idea di genitorialità e scoprirne una bellezza nuova e rinnovata.

"Adottare Giulia (nome di fantasia) ci ha insegnato una cosa che dovrebbe essere chiara a tutti i genitori, nostra figlia è altro da noi e noi l'amiamo per quella che è. Con quel nome che non abbiamo scelto, ma che quando il giudice ha pronunciato la prima volta ci ha fatto tremare le gambe per la sua bellezza, perché per la prima volta sentivamo il nome di nostra figlia. Per la prima volta eravamo mamma e papà"

Quando avete iniziato a parlare dell'idea di avere in figlio?

Noi desideravamo un figlio, ma è stato evidente che non potessi averlo in maniera standard, dunque la mia ginecologa e il medico di mio marito ci hanno suggerito le tecniche di PMA, che ci hanno da subito spaventato molto per la loro invasività.

A questo punto io e mio marito ci siamo presi del tempo per riflettere e ci siamo detti “è vero, vogliamo diventare genitori, ma a che prezzo?”. Dopo lunghe chiacchierate e valutazioni abbiamo visto una serie tv di Massimo Recalcati dal titolo “Lessico familiare”, che ci ha aiutato ad allargare un po’ la visione che avevamo della parola madre e della parola padre, allontanandole dal solo aver generato un figlio.

Poi abbiamo conosciuto in maniera un po’ casuale una coppia che aveva adottato una bambina e stava per iniziare il percorso per una seconda adozione, e anche in quel caso siamo rimasti affascinati dal modo in cui descrivevano questa loro prima figlia, e abbiamo capito che quella poteva essere la nostra strada.

Che idea avevate della genitorialità adottiva?

La coppia di genitori adottivi, che avevamo conosciuto, ci descriveva loro figlia come un dono, e anche noi desideravamo diventare genitori di un figlio che fosse altro da noi e che potessimo considerare proprio un dono.

Poi abbiamo iniziato il percorso dell’adozione, un percorso molto lungo, ma che in quel tempo di attesa ti da modo di capire se è l’adozione la strada che davvero vuoi percorrere. Noi ci siamo convinti ogni giorno di più.

Come è stato l’iter per diventare genitori della vostra bimba?

Noi prima ci siamo fatti consigliare da questa famiglia di amici, poi siamo andati sul sito del Tribunale e abbiamo scaricato la documentazione necessaria per fare domanda, presentandola prima dell'estate del 2019.

A questo punto il Tribunale ha mandato un avviso ai servizi sociali della zona di residenza che ci hanno contattati per proporci un corso, a cui ha seguito l’indagine psicosociale, necessaria ad avere l’idoneità all’adozione.

L’indagine psicosociale per noi è iniziata poi tra dicembre 2019 e gennaio 2020, a questo punto i servizi sociali hanno stilato una relazione che hanno inviato al tribunale a maggio dello stesso anno. Il Tribunale ci ha convocati per il colloquio di idoneità a luglio 2020, confermandoci poco dopo che l'avevamo ottenuta.

A questo punto per l’adozione nazionale dovevamo solo aspettare l’abbinamento, nel frattempo ci siamo concentrati sull’adozione internazionale, scegliendo l’ente a gennaio 2021 e il Paese.

adozione

A settembre 2021 abbiamo ricevuto quasi contemporaneamente sia la conferma dal Tribunale indiano, che una telefonata dal Tribunale dei minori di Milano per l’adozione nazionale, che ci chiamava per un colloquio. Quell'ultimo step ci ha permesso di diventare i genitori di nostra figlia.

Vostra figlia era stata abbandonata? Quanti anni aveva?

Giulia é un caso di parto in anonimato, noi l'abbiamo conosciuta quando aveva già un mese di vita, perché bisognava attendere che trascorressero i giorni di rischio giuridico alto (durante i quali la donna che ha partorito può tornare indietro). Trascorsi quei giorni, a ottobre 2021 abbiamo conosciuto Giulia, nostra figlia.

Come è stato il primo incontro con lei?

Molto bello ed molto emozionante, ma non mi aspettavo che avrei sentito così forte, vista la tenerissima età di Giulia, il senso di abbandono.

Ma quando siamo entrati nella stanza di neonatologia, e ho visto tutti i neonati con le loro mamme e una culla lì in mezzo, ho provato una sensazione fortissima di dolore. Mi sono resa conto davvero delle difficoltà che poteva aver comportato un inizio di esistenza così impegnativo e critico. Ci eravamo però preparati a questa situazione e siamo subito entrati in relazione con la piccola.

Ti sei sentita subito la sua mamma?

Sì, ma ero sicura che mi sarei subito sentita la sua mamma, non ho mai avuto timore, anche perché nel percorso adottivo ad un certo punto devi essere consapevole che la scelta del giudice, la sua sentenza, è proprio come se quel bambino uscisse in quell’istante dalla pancia. 

Ti è mai capitato che chi avevate intorno vi vedesse come benefattori?

Sì, perché mia figlia non ha il mio stesso colore della pelle, quindi chi vede me e mio marito già può ipotizzare che nostra figlia sia adottata e che quindi poi ci dica “ah ma che bella cosa avete fatto”. Le persone che mi hanno fatto questa osservazione però sono sempre state estranei, per tanto cerco di vederla come una frase non offensiva e la ribalto, rispondendo che penso che siamo stati noi quelli fortunati ad incontrare nostra figlia.

Ovviamente non mi aspetto che chi ci conosce invece ci dica una frase del genere perché io ho sempre raccontato il percorso mio e di mio marito in maniera diversa, non come un desiderio di beneficenza. L’unico dono che abbiamo fatto è quello che fa ogni genitore, nel donare se stesso per amare una nuova vita.

I corsi preadottivi sono fondamentali per diventare genitori adottivi?

Sì i corsi sono fondamentali e per questo oggi ci troviamo ancora in un'associazione che si chiama Il filo di Arianna. Alla fine il corso è decisivo perché diventare genitore attraverso l’adozione è diverso che diventarlo come ce lo si era immaginato fino a quel momento, bisogna accettare di essere messi in discussione e cambiare mentalità.

Come è stato il periodo di indagine dei servizi sociali?

È stata un’indagine bella e utile, per noi un modo per essere ancora più certi del percorso che stavamo facendo, se si incontrano persone che ti aiutano ad essere consapevoli delle tue scelte, non puoi fare altro che essere grato.

Com’è veder crescere ogni giorno tua figlia, diversa da te?

A me impressiona in senso positivo lo svelarsi della sua persona, è una cosa spettacolare, anche se penso che dovrebbe essere così per ogni figlio a prescindere da come sia arrivato.

Anche perché in alcuni aspetti della sua persona mi somiglia, in altri è diversa da me, ma come tutti i figli.

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Però devo dire che una delle motivazioni che ha spinto me e il mio compagno ad avvicinarci all’adozione è stato proprio questa coscienza ancora più chiara nei genitori adottivi, che i figli siano altro da sé. Io ogni giorno ho il privilegio di vedere il fiorire gratuito di un’altra persona e questo mi fa essere felice di essere la sua mamma.

Come procedete con Giulia nel racconto di quello che è stato il suo passato?

Noi abbiamo scritto una storia, in cui le raccontiamo tutto, e abbiamo iniziato a leggergliela la scorsa estate, quando aveva 2 anni e iniziava ad assimilare un po’ di concetti.

Alcune volte dice delle frasi che sembrano proprio aver capito tutto, come “Quindi non sono nata nella tua pancia”, oppure chiede “ma gli altri bimbi sono nati nella pancia della loro mamma”. La nostra fortuna è conoscere tante famiglie con bambini che sono nella stessa situazione di Giulia, questo ci facilita, perché lei non si sente mai sola. Quando mi chiede “Mamma ma quindi io non sono nata dalla tua pancia”, io posso risponderle: “Sì come i tuoi amichetti, non ti ricordi?

Prima o poi nella crescita emergerà il tema dell’abbandono, voi come vi ponete nei confronti della donna che l’ha messa al mondo?

Di sicuro è importante avere una nostra visione delle cose, ma anche essere pronti ed aperti ad una sua visione delle cose, ciò che noi vogliamo trasmetterle è che la donna che l’ha portata in grembo ha scelto una non maternità, non di abbandonare volutamente proprio lei, situazione drammatica ma che può succedere e che è giusto che accada se una donna non vuole diventare mamma.

Giulia saprà di essere stata seguita fin dal primo giorno della sua nascita, e di essere stata lasciata in un posto sicuro, come vuole la prassi del parto in anonimato.

Pensi che l’adozione abbia cambiato la visione della genitorialità e della vita di coppia?

Sì, perché prima di iniziare l’iter adottivo secondo me neanche sapevamo bene perché volessimo diventare genitori. Credo che la nostra vecchia visione della genitorialità sia stata del tutto sostituita dall’idea di una genitorialità adottiva.

Nel senso che penso che se mai dovessi rimanere incinta ora, e dunque affrontassi un percorso di genitorialità diverso, oggi lo farei esattamente come ho fatto con Giulia, con una consapevolezza diversa e nuova. Con l’idea insomma che ogni figlio è unico, a sé e va amato nella sua storia, persona e diversità.

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Che mamma ti senti?

Sono una mamma molto tenera, affettuosa, dolce, tendo a manifestare il mio affetto in maniera molto fisica. Sono anche una mamma che definirei nerd, tendo a prepararmi molto per ogni fase della crescita, ma sono molto serena nel far sperimentare ogni cosa a mia figlia.

Sono anche una mamma lavoratrice, e questo per me è stato molto importante per non pensare solo e soltanto in maniera compulsiva alla genitorialità.

Giulia ha curato un po’ il dolore che provoca, per chi desidera dei figli, sapere di essere infertile?

Non saprei, sicuramente quando abbiamo scoperto che non avremmo potuto avere figli sentivamo addosso un senso di ingiustizia e inadeguatezza rispetto agli altri, pensavamo che tutti riuscissero ad avere dei figli tranne noi.

Poi, però, noi siamo cambiati durante il percorso, abbiamo anche capito che la possibilità di non essere genitori non sarebbe stata la fine del mondo.

A me accade non tanto che mia figlia mi curi la ferita di non poter avere figli dalla pancia ma che lei curi le mie ferite del passato, mi fa rivivere episodi di infanzia di cui ho ricordi confusi o tristi. Rivivo tutto con i suoi occhi, che sono belli e nuovi, ma questo credo che sia una cosa che accade a tutti i genitori.

Il nome Giulia lo aveva già quando l’avete conosciuta?

Sì, glielo hanno dato i medici in ospedale, che penso lo abbiano scelto perché è bello e comune.

E come è stato non poter scegliere il nome di propria figlia?

Io ho sempre immaginato i nomi che avrei dato ai miei figli, ma con l'adozione succede una cosa che secondo me è la stessa che si prova quando si incontra colui che sarà il proprio fidanzato o il proprio marito, il nome non glielo abbiamo scelto noi, eppure ci piace tantissimo immediatamente. Quando il giudice ci ha detto il suo nome ho subito pensato, che nome magnifico, ma solo perché in quel momento lui mi stava dicendo il nome di mia figlia.

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Pensi che l’adozione dia una consapevolezza diversa ai genitori?

Nella genitorialità biologica non si ha la stessa occasione di riflettere molto sul perché si diventerà genitori e si è poco portati a mettersi in discussione, qua in Italia c’è proprio tanto l’idea di un figlio inteso come un possesso, chiunque entra nel merito e vuole dirti qualcosa su come educarlo sembra quasi non valga la pena ascoltarlo, con l’associazione mi piacerebbe fare degli incontri anche dedicati a chi ha avuto i figli in maniera biologica ma vuole essere informato e formato su questa consapevolezza. Perché è importante che tutti ricordino che un figlio è altro da sé, non un progetto o una proprietà. Essere genitori così narcisisti credo sia proprio pericoloso per i propri figli.

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