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La storia di Riccardo, morto a 10 anni per un tumore inguaribile: “Grazie alle cure palliative se ne è andato sereno”

Riccardo è un bambino che ha avuto la possibilità di vivere la sua malattia terminale accompagnato da un team di esperti in cure palliative pediatriche. La sua mamma ci ha raccontato la vita dopo la diagnosi e il supporto fondamentale dell’hospice pediatrico di Padova, che ha concesso a Riccardo di vivere il decorso della malattia nel modo più normale possibile.
A cura di Sophia Crotti
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bimbo in ospedale

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La voce di Elisa, la mamma di Riccardo, è serena e pacata, anche mentre racconta di quel dolore che definisce "innaturale e costante", che la pervade da quando il suo bambino, a soli 10 anni, ha perso la vita a causa di un tumore inguaribile. Quando è arrivata la diagnosi si è sentita impotente e sovrastata da un muro di paure enorme, tanto forte da poter distruggere tutte le relazioni intessute fino a quel momento.

Tutto è cambiato quando la pediatria dell'ospedale di Padova ha indirizzato lei e la sua famiglia verso la realtà dell'hospice pediatrico di Padova, al cui ingresso c'è un cartonato di Braccio di Ferro e dove infermieri e medici non indossano il camice, per rendere la vita il più possibile simile a quella fuori dalle mura dell'ospedale.

Un team di esperti in cure palliative pediatriche ha accompagnato Riccardo alla morte, in modo che potesse sentire meno dolore possibile e fare cose straordinarie, come mangiare il suo piatto preferito anche se la malattia lo aveva reso disfagico. "La verità è che quando arriva una diagnosi terminale siamo abituati a pensare che non si possa più fare nulla, ma non è vero, non è così, è proprio lì che si può fare il meglio possibile per garantire giorni di normalità e serenità ai bambini" ci ha detto Elisa.

Oggi Elisa ha fondato un'associazione che si chiama "Braccio di Ferro" con la quale si batte affinché le cure palliative pediatriche, che hanno aiutato la sua famiglia e il suo bambino ad affrontare la malattia, siano accessibili a tutti bambini. Oggi in Italia solo il 15% dei bimbi malati terminali ha accesso alle cure palliative, e sono 7 le regioni che non hanno hospice pediatrici, proprio per questo Elisa viaggia insieme alla Fondazione Maruzza ETS, che organizza il Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche, con la speranza di portare le cure palliative pediatriche in tutto lo Stivale.

Elisa Grenci, mamma di Riccardo
Elisa, mamma di Riccardo

Chi era Riccardo?

Riccardo era un bambino modello e molto maturo, dal carattere tenace, socievole e dinamico. Andava a scuola e faceva sport, come tutti i bambini, finché un giorno ha iniziato a lamentare di non vedere da un occhio. Un sintomo del tutto normale, che non mi ha spaventata troppo, ho semplicemente deciso di portarlo dall’oculista.

ospedale pediatrico

Dalla visita però è emerso che il difetto alla vista poteva celare dell’altro. A questo punto mi hanno consigliato di sottoporre Riccardo ad una visita neurologica. Da una tac abbiamo scoperto che Riccardo era affetto da una malattia rara, un tumore del ponte cerebrale, da dove passano tutte le terminazioni nervose tra cui il nervo ottico, su cui la massa tumorale premeva, impedendogli di vedere bene.

Come avete reagito alla diagnosi?

All’inizio ci siamo disperati, perché la diagnosi è stata chiara: per Riccardo non c'erano possibilità di guarigione, ma poi l’azienda ospedaliera di Padova e in particolare la pediatria che è un'eccellenza, ci ha subito indirizzati all'hospice pediatrico del Veneto con sede a Padova, e lì abbiamo iniziato ad approcciarci alla malattia in maniera diversa.

Abbiamo capito che quella diagnosi che avevamo percepito come un "non c'è più niente da fare", si stava trasformando in "c'è ancora di meglio da fare perché Riccardo viva una vita il più normale possibile".

E come è stato il primo ingresso nell'hospice pediatrico per Riccardo?

Mio figlio è stato accolto dal personale dell'hospice come se fosse arrivato in famiglia, innanzitutto nessun membro della equipe infermieristica indossava il camice, rendendo così l’ambiente accogliente e molto simile al mondo fuori dall’ospedale. E poi è stato evidente da subito che l’obiettivo dell’hospice fosse proprio quello di migliorare la qualità di vita di Riccardo nonostante l’inguaribilità.

palliative

È iniziato così il nostro percorso con le cure palliative, purtroppo non troppo lungo, ma molto intenso, durante il quale siamo stati affiancati nelle difficoltà quotidiane che a causa della malattia sembravano ogni giorno di più, in modo che fossimo sereni. Riccardo ha continuato ad andare a scuola il più possibile, perché l’hospice è intervenuto formando anche i suoi maestri sulla sua malattia. Sempre il team delle cure palliative ha allertato anche il nostro pediatra che da lì in avanti si è attivato per garantirci delle visite domiciliari. Tutto questo ha regalato a noi la possibilità di vivere la malattia con la consapevolezza che saremmo arrivati al fine vita con grande serenità.

Mi fa ancora strano dirlo ma la cosa straordinaria è stata accompagnare il nostro bambino riuscendo a controllare il suo dolore.

Come mai hai deciso di fondare un’associazione?

“Braccio di Ferro”, l'associazione che ho fondato dopo la morte di Riccardo, è nata per dar voce alla tematica delle cure palliative pediatriche e alle storie di tutti quei bambini e quelle famiglie che io e mio figlio abbiamo incontrato lungo il percorso. Ho scelto proprio questo nome perché ricordo che entrando la prima volta nell'hospice ho subito visto un enorme cartonato a forma di Braccio di Ferro.

A spingermi è stato un senso di gratitudine nei confronti del personale dell'hospice,  grazie alle cure palliative sono riuscita ad abbattere il muro della paura, quello che immediatamente si alza quando ti dicono “Signora suo figlio non guarirà” e ho trasformato il mio dolore in energia positiva.

Essere supportati dalle cure palliative ha aiutato la tua famiglia a non distruggersi?

Sì, perché a primo impatto la diagnosi ci ha disorientati. Ci siamo trovati a vivere una situazione che non conoscevamo e dunque abbiamo avuto paura. Questo sentimento ci ha portato a chiuderci nelle relazioni, non risparmiando nemmeno quelle più strette. La verità è che non ci siamo trovati solo a gestire la diagnosi di Riccardo ma anche a dover cambiare proprio la vita che ci eravamo immaginati fino a quel momento e che stavamo organizzando in un certo modo.

hospice pediatrico

Qui è entrato in gioco il team multidisciplinare dell’hospice, che ha abbattuto questo muro fatto di paure proprio permettendoci di continuare a vivere la nostra vita nel modo più normale possibile. Sono stati angeli custodi che ci hanno permesso di vivere la nostra emotività nel modo più sereno possibile, il bimbo non è stato preso in carico solo dal punto di vista del controllo del dolore, ma gli è stato permesso di continuare a vivere una vita qualitativamente positiva.

Io e mio marito abbiamo potuto continuare a lavorare con la consapevolezza che Riccardo era sereno. A me però spaventa, o forse lo trovo solo molto ingiusto, che Riccardo sia semplicemente stato fortunato ad essere nato in una regione che fornisce le cure palliative pediatriche. Leggendo la storia della mamma che in Sardegna non ha ricevuto l’assistenza delle cure palliative ho pensato che se fosse stata qui la storia avrebbe avuto un risvolto diverso.

Le cure palliative sono servite anche a spiegare a Riccardo ciò che stava succedendo?

Sì, infatti una delle figure più importanti nell’hospice è stata per tutta la nostra famiglia lo psicologo, che ha permesso a tutti noi di conoscere la malattia e i suoi limiti, dando anche a Riccardo l’energia per non lasciarsi abbattere dall’ennesimo sintomo.

Grazie al suo aiuto, al sostegno e alla comunicazione, Riccardo ha compreso di avere una malattia che gli dava dei deficit ma che gli permetteva di condurre la sua quotidianità rimodulandola. Il tumore cerebrale, nel suo sviluppo, ha creato un dolore cronico e poterlo controllare ha permesso a lui di non avere ansia e di trascorrere le giornate serenamente.

Riccardo grazie alle cure palliative se n’è andato sereno?

Sì, e ti rispondo a questa domanda con fermezza assoluta. Se la nostra vita è stata serena anche se abbiamo avuto a che fare tutti i giorni con un mostro, è stato solo e soltanto grazie alle cure palliative.

diagnosi

Se nei momenti di massimo dolore di Riccardo non avessi avuto chi, in modo costante, rimodulava la terapia, chi mi dava sostegno, il medico che mi suonava al campanello o l’infermiere che mi rispondeva alle 3 di notte quando ero nel pallone perché sentivo mio figlio respirare a fatica, non saremmo mai stati sereni.

C'è qualcosa a cui, grazie alle cure palliative, Riccardo non ha dovuto rinunciare fino alla fine?

Ci sono tante cose, basti pensare che Riccardo ha vissuto la malattia provando meno dolore possibile, e facendo sempre ciò che desiderava. Ti faccio però un esempio che secondo me è molto significativo, ad un certo punto della malattia mi è stato detto che Riccardo era diventato disfagico, quindi incapace di deglutire, dunque che avrebbe dovuto mangiare solo cose fluide. Riccardo però era un gran mangione e il personale dell'hospice lo sapeva bene.

cure palliative

Per questo i medici hanno deciso di non prospettargli il fatto che non avrebbe più potuto mangiare, dal momento che questo gli avrebbe causato solo un gran dolore, e grazie all'intervento di una fisiatra per l’educazione alimentare, Riccardo due giorni prima di lasciare questa terra ha mangiato un piatto di pappardelle enorme. Questo per me è stato proprio un gesto di enorme rispetto della sua dignità, un modo per dirgli che, seppur in maniera diversa poteva fare ciò che aveva sempre fatto.

Come si sopravvive? 

Io sopravvivo pensando che se questo mi è accaduto un senso deve sicuramente esserci, sono consapevole che mi è stato chiesto un grande sacrificio, il più grande prezzo da pagare. Sopravvivo pensando che devo trasmettere agli altri quello che la vita mi ha dato, tramutandolo in energia positiva. Voglio che chiunque mi ascolti sappia che si può sopravvivere anche ad un dolore immenso e costante come è per me l’aver perso Riccardo.

Non dico che il dolore passa, il dolore non passa mai, perché è innaturale sopravvivere a un figlio. La mia vita è imperfetta, come quella di tutti e va avanti nonostante tutto, con la sicurezza che Riccardo, dovunque sia, sarà fiero e felice di ciò che stiamo facendo per aiutare anche tanti altri bambini e tante famiglie.

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