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La storia di Paula, la donna inglese che aiuta i genitori a trovare le tombe dei bambini nati morti

Fino agli anni ’90 negli ospedali inglesi si usava far sparire i neonati che non sopravvivevano al parto senza farli mai vedere ai loro genitori. Dal 2004 l’associazione di Paula Jackson affianca le famiglie nelle ricerche per aiutarle ad elaborare il lutto.
A cura di Niccolò De Rosa
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Tomba di bambini

Nel Regno Unito c'è una donna che ha dedicato gli ultimi vent'anni della sua vita ad aiutare i genitori a trovare i luoghi di sepoltura dei loro bambini nati morti. Si chiama Paula Jackson ed è la fondatrice dell'associazione Brief Lives – Remembered, fondazione nata nel 2004 dopo che la donna aveva aiutato un australiano, Clive Gentle, a rintracciare la tomba della sorella gemella Zoe.

I due fratellini erano infatti nati prematuri in un ospedale militare inglese nel 1960, ma mentre Clive era riuscito a sopravvivere, Zoe era morta dopo appena nove ore dal parto. Dopo la tragedia però, né Clive, né i suoi genitori avevano mai saputo dove il corpo della neonata fosse stato sepolto.

Bambini spariti nel nulla

Fino agli anni Novanta era pratica comune negli ospedali britannici separare i bambini nati morti dai loro genitori senza permettere loro di vederli o tenerli in bracco. In questo modo si pensava di alleviare il dolore delle madri e dei padri che avevano appena perso il bebè.

Il fatto di non conoscere il destino dei figli deceduti – i quali venivano spesso inumati insieme ad altri defunti o riposti in tombe anonime – rappresentava però un ulteriore elemento di sofferenza.

tomba bambino nato morto

Come raccontato dalla stessa Jackson, a tanti genitori veniva negato ogni contatto con il piccolo deceduto anche dopo infinite suppliche e non sono rari i casi accertati di corpicini inceneriti o gettati insieme ai rifiuti organici poche ore dopo il decesso.

Così, dopo la ricerca della piccola Zoe, la donna ha cominciato ad interessarsi anche di altri casi analoghi, fornendo assistenza a genitori provenienti da Paesi di tutto il mondo (Nuova Zelanda, Spagna, Stati Uniti etc…) per provare a ricostruire i frammenti del passato e offrire a madri e padri la possibilità di avere una targa o una lapide su cui rinnovare il ricordo di quelle vite mai sbocciate.

La ricerca continua

Oggi, a vent'anni esatti dall'istituzione dell'associazione fondata insieme al Maggiore Joe Fairbairn e riconosciuta come organizzazione di beneficenza nel 2020, Brief Lives – Remembered è riuscita ad individuare quasi 3.500 luoghi di sepoltura per bambini morti alla nascita nell'arco temporale tra gli anni Cinquanta e Novanta.

Come riportato dal Guardian, la causa portata avanti da Jackson è arrivata anche in Parlamento, tanto che dopo anni di sedute e dibattiti il Department of Health and Social Care ha finalmente espresso piena solidarietà a tutti i genitori che chiedono la verità sul destino dei propri piccoli, sollecitando gli ospedali a fornire tutte le informazioni utili per rintracciare le tombe dei bimbi.

Come funziona in Italia

Nel nostro Paese la legge prevede che i feti e i bambini morti dopo le 28 settimane vengano registrati all'anagrafe e sepolti come ogni cittadino, con la possibilità di avere una tomba o un tumulo in base alle volontà della famiglia.

Se il feto invece muore tra la 28esima entro la ventesima settimana di gravidanza, invece, può essere anche la stessa struttura ospedaliera a farsi carico della sepoltura, sempre previo consenso dei genitori.

Diverso però è il caso in cui la madre perda il bambino ancora prima della ventesima settimana. In questa circostanza infatti, la donna ha 24 ore per decidere dei resti di quello che viene definito "prodotto abortivo" (e non feto).

Se l'interessata non esprime alcuna decisione, l'ospedale può disporre come vuole di queste spoglie organiche, smaltendole o affidandole ad altri enti interessati. Ed è proprio qui che s'inserisce la controversa questione riguardante i cimiteri dei feti e i movimenti antiabortisti che procedono ad una sepoltura senza consenso di questi prodotti del concepimento.

Un modus operandi diametralmente opposto ai princìpi che muovono l'operato di Paula Jackson, la quale invece agisce su espresso desiderio dei genitori di conoscere il destino dei loro piccoli morti dopo il parto.

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