La storia di Gloria, figlia di genitori sordi: “A loro devo il dono di avermi insegnato due lingue”
Gloria Antognozzi ha scoperto di essere stata bocciata a scuola insieme a sua madre, dalle parole di un'insegnante che lei, con timore, pensando già alla ramanzina che sua mamma le avrebbe riservato, traduceva silenziosamente in lingua dei segni.
Gloria in quel momento, nonostante la giovane età, stava mettendo in atto una delle tante pratiche tipiche dei CODA (children of a deaf adult). Si tratta dei figli udenti di genitori sordi che talvolta, costretti da una società poco inclusiva a tradurre ciò che le loro mamme e i loro papà non potrebbero comprendere altrimenti, si sentono i genitori dei loro genitori.
“Solo crescendo ho capito che i miei genitori mi hanno fatto un regalo enorme: la lingua dei segni, che mi permette di comprendere davvero gli altri. Perché quando non riesci a sentire le persone allora le guardi, ma con uno sguardo diverso, che ti permette di capire anche da una piccola espressione, come stanno”.
In occasione della giornata internazionale delle lingue dei segni, Gloria, che oggi è docente presso l'università di Macerata, interprete della lingua dei segni e assistente alla comunicazione, ci ha spiegato cosa significa essere udente e fare i conti tutti i giorni con le mancanze di un mondo che non è sempre inclusivo per i suoi genitori.
Come hai imparato a parlare e parallelamente a comunicare con i segni?
Esattamente come tutti i bambini che imparano a parlare grazie ai genitori, io e mia sorella abbiamo imparato fin da piccole a segnare. I nostri genitori comunicavano con noi grazie alla LIS e così noi l’abbiamo assimilata.
Per imparare a parlare in modo fluido, sicuramente è stata fondamentale nostra nonna che era udente e quindi ci parlava o cercava di farci fare da tramite tra lei e nostra mamma. Anche la scuola è stata importantissima per permetterci di stimolare il linguaggio verbale.
Quando ti sei accorta che la comunicazione che avveniva nella vostra casa era diversa da quella che avveniva nella casa degli altri bambini?
Il primo contesto in cui me ne sono accorta è stata la scuola. In particolare ricordo che quando suonava la campanella e uscivo dall'edificio, tutti i bambini correvano incontro ai loro genitori che per farsi notare li chiamavano per nome, mia mamma poteva solo farmi un cenno da lontano o i segni della LIS. Poi me ne accorgevo anche da come le altre persone guardavano i miei genitori mentre si rivolgevano a me attraverso i segni: in quegli sguardi io ho colto il nostro essere diversi. Capitava poi tra bambini che i miei compagni di classe mi domandassero perché i miei genitori avessero quella voce “strana”.
Ma se non ci fossero stati tutti questi stimoli provenienti dall'esterno, io come tutti i bambini, sarei stata una bambina convinta di vivere in una famiglia normalissima, come quella degli altri.
I tuoi genitori temevano che tra voi, a causa del loro essere persone sorde e il tuo essere udente, non si stabilisse il giusto dialogo?
Mia mamma ha detto chiaramente a me e mia sorella che sperava noi nascessimo sorde, infatti benché siamo nate udenti lei ci trattava come fossimo sorde, comunicando con noi solo in LIS.
Si è comportata così perché era segnata dalla carenza di dialogo che si era instaurata tra lei e sua madre, quindi ha pensato di insegnarci a comunicare nel modo che lei conosceva, dandoci uno strumento che permettesse a lei e a noi di sentirci sempre comprese e ascoltate.
Hai mai sofferto il fatto che i tuoi genitori non conoscano il tono della tua voce?
Sì moltissimo, anche perché io ho sempre amato cantare e quindi ho iniziato un percorso di canto che poi ho lasciato dopo 3 anni all'accademia di Roma.
In quel periodo quando venivano a sentirmi cantare, era uno strazio vederli annoiarsi, applaudire sempre dopo gli altri. Ricordo però che le persone del quartiere, che mi avevano sentita cantare si complimentavano con i miei genitori per la mia voce e penso che attraverso di loro siano riusciti quasi un po’ a sentirmi. Infatti mia madre mi disse che non riuscire a sentire la mia voce mentre cantavo come gli altri, era forse uno dei dispiaceri più grandi che provava.
Ti sei mai sentita parte di una famiglia “anormale”?
Non anormale ma sicuramente diversa, i miei genitori mi insegnavano ogni giorno una lingua in più e non solo. Ho proprio avuto modo di comprendere una cultura diversa dagli altri, perché la LIS mi ha permesso di conoscere delle sfaccettature degli altri che altrimenti non avrei colto. La sordità porta le persone a usare una lingua visiva, che permette di cogliere anche semplici espressioni facciali che fanno empatizzare meglio con l’altro e cogliere, come centrali, degli aspetti che molti altri trascurano.
Ti è mai capitato di vergognarti della sordità dei tuoi genitori?
Più che vergognarmi mi arrabbiavo molto con gli altri. Non ero imbarazzata perché mia mamma aveva una voce strana, ma per i commenti cattivi della gente e della società.
Ti è mai capitato di dover tradurre per i tuoi genitori ciò che dicevano gli altri, già da bambina? Come ti faceva sentire?
Sì, facevamo io e mia sorella le telefonate, traducevamo noi i colloqui con gli insegnanti e questo è stato terribile, perché non spetta a delle bambine occuparsi di queste questioni. La colpa non era dei miei genitori, ma delle istituzioni non ci hanno mai aiutato. Ti faccio un esempio, ho dovuto tradurre io a mia madre le parole deluse dell'insegnante che mi stava bocciando, dunque su di me ricadevano in ordine: la responsabilità di tradurre quella comunicazione ufficiale, dover gestire i miei sentimenti, sorbirmi il doppio dei rimproveri, dall’insegnante e da mia madre. Finivo per sentirmi genitore dei miei genitori, non a causa loro, ma a causa di una società poco inclusiva. Ora in alcune regioni il comune offre gratuitamente alle persone sorde un servizio di interpretariato, come nelle Marche dove io svolgo questo ruolo, ma non è ovunque così.
Tu sei diventata interprete della lingua dei segni, sentivi di avere un dono in più da dover condividere?
Io ho iniziato facendo assistenza alla comunicazione, lavoravo nelle scuole e traducevo le lezioni per i bambini di ogni ordine e grado scolastico. Quindi ho pensato che la conoscenza della mia lingua in più, poteva aiutare i bambini a livello scolastico e l’ho fatto in modo da rendere la classe inclusiva non solo interpretando per gli altri alunni i suoi segni, ma insegnando a tutta la classe e a tutti gli insegnanti la LIS, in modo da far sentire il bimbo accolto con un bel "buongiorno" quando entra in classe.
Poi ho iniziato a fare delle lezioni in diverse scuole con ragazzi che non conoscevano il mondo della sordità e della lingua dei segni, e chiedevo ai ragazzi udenti di mettere dei tappi nelle orecchie per capire cosa significasse essere sordi. Quando uno dei ragazzi a cui insegnavo mi ha chiesto se anche la musica si potesse tradurre in LIS, ho iniziato a tradurre delle canzoni e da quelle domande sono riuscita a rendere anche la musica inclusiva: da 5 anni rendo il Festival di Sanremo accessibile anche alle persone sorde. Capendo che anche l'interpretariato per le persone adulte faceva per me, lavoro diverso da quello di mediatore nelle scuole.
Se tu non fossi nata in una famiglia con genitori sordi non saresti diventata un’ interprete della lingua dei segni. È come se una famiglia con un senso in meno ti avesse dato qualcosa in più?
Sì, oggi riesco a percepire la sordità dei miei genitori come un valore aggiunto, ma non nego che fino all’adolescenza pensavo di avere qualcosa di diverso dagli altri. Ci tengo a dire che nonostante la lingua dei segni sia la mia lingua madre, ho fatto una formazione come tutti per diventare interprete, prendendo attestati e qualifiche dopo aver studiato. Oggi so anche che i bambini CODA hanno dei superpoteri, perché fanno da ponte tra due realtà non scontata.
A proposito di questo, come descriveresti tu un bambino CODA?
Lo descriverei come un bambino che si interfaccia con due culture diverse, al pari di chi nasce con due genitori provenienti da due luoghi diversi e lontani. Sono anche bambini con una sensibilità sviluppata e una capacità di empatizzare con gli altri fuori dal normale, una spiccatissima capacità di problem solving, perché io i commenti delle persone su come comunicavano i miei genitori io li sentivo tutti fin da bambina, decidendo di rispondere o di non farlo. Insomma tutte queste responsabilità portano a crescere prima.
Per un mondo più inclusivo bisognerebbe introdurre la LIS tra le materie scolastiche?
Sì, in Puglia già si fa. E si dovrebbe imparare ovunque anche perché è la prima lingua di tutti i bambini che quando non sanno ancora parlare usano molto le mani, la LIS aiuterebbe chiunque ad esprimere a pieno un concetto, oltre che con le parole anche con i segni e i gesti.