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La storia di Clarissa e del suo bimbo di 900g: “Gioele è nato quando ancora non avevamo deciso il suo nome”

Clarissa Cappelli è la mamma di un bimbo nato pretermine e rimasto in terapia intensiva neonatale per 71 giorni. Ha scritto a Fanpage.it per raccontare la sua storia e condividere i traguardi che mai si sarebbe aspettata di festeggiare e i dolori che non pensava avrebbe vissuto.
A cura di Sophia Crotti
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nato pretermine

La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano la maternità e l’essere genitori. Se avete una storia da raccontarci, o leggendo queste parole pensate di avere vissuto una situazione simile, potete scriverci cliccando qui.

Clarissa ha scritto a Fanpage.it per raccontare la sua storia di mamma di un bimbo nato prematuro. Il suo piccolo Gioele è nato all'improvviso, quando lei e il suo compagno non avevano ancora deciso quale sarebbe stato il suo nome.

Durante i mesi in terapia intensiva neonatale è stata supportata dai medici, ma si è sentita sola tra le mura di casa, quando tirando il latte per il suo bambino con un apparecchio, si immaginava come sarebbe stato avere lui attaccato al suo seno o quando temeva che il suo bimbo sarebbe per sempre stato arrabbiato con lei, perché alla sua nascita non c'era.

"Gioele ci ha insegnato la vita e continua a farlo tutti i giorni, sono cresciuta convinta che un figlio non lo avrei mai voluto, da quando è nato lui invece desidero poter vedere un fiocco sulla nostra porta, quello che, tornando a casa senza di lui, non abbiamo potuto mettere"

Partiamo dal principio, come hai scoperto la gravidanza?

Io in realtà un bambino, prima di rimanere incinta di Gioele, non lo desideravo, non mi immaginavo mamma. Poi però ho incontrato il mio compagno nel 2015, dal 2018 siamo andati a convivere, nel 2020 avevamo io 41, lui 48 anni, e ci siamo detti "o adesso o mai più", così ci abbiamo provato.

Sono subito rimasta incinta del mio bimbo, a gennaio 2021, ma mai avrei immaginato che questa gravidanza avrebbe rivoluzionato completamente il mio modo di guardare alla maternità e alla vita.

Come è andata la gravidanza?

La gravidanza è andata bene, fisicamente stavo bene, soffrivo di nausee ma non eccessive. Facevo frequenti controlli, dai quali risultava sempre che andasse tutto bene fino a che ad agosto, durante un controllo al settimo mese di gestazione il ginecologo si è accorto che il mio bimbo aveva un ritardo di crescita e ha mandato me e mio marito a fare un controllo in ospedale.

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E arrivata in ospedale cosa è successo?

All'inizio non avevo capito la gravità della cosa, pensavo si trattasse di un normalissimo controllo, più approfondito. Ma una volta in ospedale mi hanno fatto un tracciato, dal quale non sentivano né vedevano il bambino e alla fine mi hanno detto che dovevo partorire.

Come ti sei sentita?

Sinceramente non ho più capito nulla, vagavo con la testa chissà dove, e continuavo a ripetere ai medici che se mi avessero lasciata tornare a casa sarei stata anche immobile per garantire al mio bambino di nascere a termine.

Non mi capacitavo del fatto che mio figlio, nella pancia della sua mamma, non si trovasse più bene.

Ho continuato così fino a che una dottoressa, per riportarmi con i piedi per terra, mi ha detto: “Forse lei non ha capito, da qui non esce finché non ha partorito”.

bimbo in tin

Per me è stato il momento peggiore di tutti in assoluto, ho fatto diversi controlli e alla fine il 9 agosto mi hanno fatta partorire con parto cesareo.

Mio figlio è nato in un caldissimo pomeriggio d’estate, quando ancora non avevamo deciso che nome dargli, quando non eravamo pronti, a 32 settimane di gestazione, pesando appena 940 grammi. Era tutto così diverso da come ce lo eravamo immaginato.

Dopo quanto hai visto il tuo bimbo?

Io non ho visto Gioele nascere e non l’ho visto per i due giorni successivi al parto, poiché lo hanno ricoverato al Meyer a Firenze, ma io mi trovavo all’Ospedale di Prato.

Ed ero distrutta, sono diventata mamma ma non mi sentivo una mamma, più una mamma a metà, perché è stato tutto innaturale, le uniche notizie che avevano del bambino arrivavano dal papà per telefono o dalle infermiere del Meyer che contattavo.

Poi sei arrivata in TIN…

Sì, ancora indolenzita dal taglio cesareo, sono arrivata alla TIN del Meyer, che sembra un mondo a sé, dove la luce entra appena, i lettini sono minuscoli e al loro interno ci sono bambini piccolissimi che lottano per vivere.

Tra i rumori dei macchinari ho visto l’incubatrice del mio bimbo che era la sola chiusa e coperta, l’infermiera in turno lo ha subito preso e me lo ha messo in braccio, ma con tutti quei tubicini avevo paura di fargli del male.

tin

I dottori mi parlavano di cose incomprensibili, mi dicevano che non sapevano se Gioele ce l’avrebbe fatta, mi sono sentita messa in ginocchio, ricordo di aver firmato tantissimi fogli, senza capire nulla.

E quando lo hai preso in braccio cosa hai provato?

Mi sono sentita molto in colpa, pensavo che lui ce l’avesse con me perché io non ero riuscita a portarlo in grembo quanto avrei dovuto, forse nei mesi precedenti mi ero troppo stressata. Temevo anche che non mi riconoscesse, alla fine non ci eravamo mai visti prima.

A poco a poco mi sono abituata però a quel mondo, alle sue regole, ad attendere pazientemente il momento in cui ci saremmo visti e a festeggiare insieme al suo papà cose che per altri genitori possono essere scontate e banali ma per noi non lo erano affatto: il primo kg raggiunto, il primo mese di vita, la prima volta che ha bevuto il latte senza andare in apnea.

Poi è cresciuto…

Piano piano ha iniziato a crescere sì, manifestando comunque diversi problemi, all’intestino, agli occhi, ha dovuto fare diverse trasfusioni, la sua crescita non era costante, alla fine siamo riusciti ad uscire da lì quando dopo 71 giorni di tin è arrivato a 2kg e 540.

Come è stato rimanere a casa ad aspettarlo?

Molto difficile. Uno dei traumi più grandi vissuto a casa da sola per me è stato tirarmi il latte ogni 3 ore.

Fin dall’inizio della gravidanza volevo allattare al seno e mi ero immaginata il primo attacco del mio bimbo come un momento intimo ed emozionante, invece mi ritrovavo in una stanza, senza di lui, con un macchinario rumoroso che mi tirava quelle poche gocce di latte che avevano resistito a tutto lo stress che avevo vissuto in quei giorni.

Come è stato, invece, tornare a casa con lui?

Bellissimo ma molto complicato, ricordo che sobbalzavo ad ogni suo starnuto, mi sembrava respirasse in maniera affannosa e mi preoccupavo molto per questo.

Infatti nei primi tempi ci siamo ripresentati diverse volte al Meyer, dove ci hanno tranquillizzati e accolti sempre. Gioele ha sempre dovuto prendere delle medicine, ha dei problemi alla tiroide che non funziona a causa della sua prematurità. Oggi siamo in lista d’attesa per un intervento ai testicoli, e per il primo accesso dal logopedista, perché oggi che ha 3 anni ancora non parla.

Ti sei sentita aiutata o sola?

Durante il ricovero mi sono sentita molto aiutata e supportata, poi a poco a poco i controlli sono andati finendo e mi sono sentita anche abbandonata. Ma penso fosse un sentimento mosso dalle mie paure nei confronti della salute di Gioele.

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La nascita di Gioele ha cambiato il tuo modo di guardare alla tua vita o alla maternità?

Sì, prima di Gioele non pensavo di desiderare dei bambini, lui mi ha cambiato la vita e la visione delle cose. Da quando è nato ho capito che in realtà io altri bambini li vorrei, e mi pento di non averlo compreso prima.

Forse oggi ho questa consapevolezza anche perché desidero diventare mamma come non lo sono diventata, per non provare più quel senso di colpa che ancora oggi mi perseguita e non mi fa sentire una mamma, non ho mai messo un fiocco alla porta, desidererei metterlo. Se ci penso mio figlio mi ha proprio insegnato la vita e so che continuerà a insegnarmela.

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