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La storia di Antonia che ha rischiato di morire di parto: “Mi hanno rimandata a casa senza controlli”

Antonia Pia Giacobbe è una donna di 31 anni che ha rischiato di morire dopo il suo terzo parto. Dopo essere stata rimandata a casa dall’ospedale è rientrata, è stata in coma diversi giorni e ha subito un raschiamento, prima, una rimozione di utero, poi. Oggi è pronta a denunciare la struttura che l’ha curata.
A cura di Sophia Crotti
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Credits_ Antonia Pia Giacobbe
Credits: Antonia Pia Giacobbe

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Siamo nell’Ospedale di San Severo, in Puglia, dove tra i tanti vagiti di bimbi che nascono, quest'estate c’è stato quello della terza figlia di Antonia Pia Giacobbe, una mamma di 31 anni.

Un parto veloce e quasi indolore con una piccola complicanza alla fine: la difficile uscita della placenta dal corpo della mamma, che non è sembrata spaventare troppo i medici. Poi le dimissioni, senza alcun controllo, ci racconta la mamma, e il calvario iniziato a casa con febbre alta, dolori lancinanti all’addome e deliri da parte della donna.

Giacobbe ha subìto un raschiamento all’utero, dove ancora si trovavano residui placentari ad una settimana dal parto, poi si è sentita dire, mentre si contorceva per i dolori che probabilmente stava avendo un attacco di panico, fino a che è entrata in coma, perché un'emorragia la stava dissanguando completamente. La donna ha dunque rischiato di non rivedere più i suoi figli, ma poi, grazie alla cura di Canio, Grazia e Arcangela, membri dell'ospedale che lei definisce angeli, si è salvata.

Ad oggi a 31 anni si trova con una profonda cicatrice dall’ombelico in giù che le ha devastato il corpo, non ha più l’utero e vede infranti i suoi sogni per il futuro. Ha raccontato la sua storia a Fanpage.it perché ci dice: “Non é giusto che nel 21esimo secolo si rischi di morire di parto, non è giusto che a causa della negligenza di alcuni medici io non sarò più madre.

Antonia, partiamo dall’inizio, ci racconti come è andata la tua ultima gravidanza?

La gravidanza è andata benissimo, ero così in forze che ho lavorato fino al giorno prima del parto, anche perché sono un’organizzatrice di eventi e a luglio c’è sempre molta richiesta.

Poi cosa è successo?

Il 24 luglio ho iniziato ad avere le prime contrazioni e quando si sono fatte più ravvicinate, sono andata in ospedale. Nel pomeriggio, dopo un travaglio durato davvero poco e per nulla doloroso, ho partorito. I problemi sono iniziati dopo il parto, ricordo che i medici parlavano della placenta come se faticasse ad uscire completamente dal mio corpo. Mi è sembrato strano dal momento che durante il primo parto non era successo. Oggi che ho in mano la cartella clinica che racconta punto per punto quel giorno posso dire con certezza che è uscita 22 minuti dopo il parto.

Questo cosa ha comportato?

Io ho subito cercato di confrontarmi con il ginecologo e le ostetriche presenti in sala per capire cosa stesse accadendo, ma mi hanno detto di stare tranquilla. Infatti da lì a poco sono tornata nella mia stanza, stavo bene e non vedevo l’ora di poter stringere un po’ mia figlia tra le braccia. Sono rimasta 48 ore in ospedale e poi sono uscita, senza alcun dolore.

Credits: Antonia Pia Giacobbe
Credits: Antonia Pia Giacobbe

A casa cosa è successo?

Dopo 10 giorni dal parto, improvvisamente ho iniziato a manifestare una febbre altissima, che ha superato anche i 40°C. Ho subito pensato ad un’influenza, ma mancavano i sintomi correlati, poi alla mastite, dal momento che stavo allattando al seno, e mi sono curata per circa 2 giorni con un antipiretico. La notte tra il 6 e il 7 di agosto, però, ho iniziato a delirare, ricordo in queste fantasie che mi prendevano a causa della febbre, di aver visto un mio parente, mancato diverso tempo prima, e avergli detto che non mi stava proteggendo a sufficienza. Mio marito ha chiamato il 118 e un’infermiera mi ha raccomandato una visita con la mia ginecologa, dal momento che a suo avviso potevano esserci dei residui placentari nel mio utero. L’indomani ho fatto la visita con la specialista che mi ha confermato la diagnosi, raccomandandomi di correre in ospedale dove mi avrebbero fatto un raschiamento perché avevo oltre ai residui placentari anche dei coaguli di sangue nell’utero. 

Quindi sei stata ricoverata?

Sì, ho fatto subito il raschiamento raccomandato dalla ginecologa e, terminata l’operazione, sono stata riportata nella mia stanza. A questo punto la situazione sembrava stabile, il primario addirittura aveva chiesto la mia dimissione, ma un ginecologo della struttura si è opposto proponendomi di rimanere un’altra notte in osservazione, dal momento che non mi vedeva molto in salute. Io, mi sono fidata, anche se stavo benissimo, e verso il tardo pomeriggio ho iniziato ad avere dei dolori lancinanti per tutto il corpo. Ricordo che urlavo tantissimo e che i medici non capivano il mio dolore, il primario mi ha visitata e, lasciando intendere che mi stavo inventando quei dolori, ha iniziato a dirmi che a suo avviso stavo avendo solo un attacco d’ansia, per tanto ha chiamato un cardiologo, che non ha riscontrato alcun problema cardiaco in corso. A quel punto i medici mi hanno visitata e si sono resi conto che nonostante il raschiamento alcune parti della placenta erano ancora nel mio utero. Il primario ha deciso quindi di attaccarmi delle flebo che a suo avviso mi avrebbero fatta stare meglio.

E tu ti sei sentita meglio?

Inizialmente sì, ma dopo poco ho ricominciato a stare malissimo e i medici si sono accorti che avevo una fortissima emorragia in corso. Hanno iniziato a farmi delle trasfusioni di sangue e di ferro, mi hanno attaccato un catetere, ma non riuscivo a riprendermi. Attorno alle 19 di quella giornata infinita ero in fin di vita, l’emoglobina non riusciva a tornare al giusto livello e io sono entrata in coma.

Credits: Antonia Pia Giacobbe
Credits: Antonia Pia Giacobbe

A quel punto cosa è successo?

Dai racconti di mia madre, che è rimasta tutto il tempo accanto a me, so che sono stata portata in sala operatoria dove mi hanno tagliata dall'ombelico in giù per verificare le condizioni dell’utero. Era infetto e non più in grado di contrarsi, neanche con i farmaci e dunque me lo hanno dovuto rimuovere, perché ero in pericolo di vita. Dopo un intervento di 4 ore e diverse trasfusioni di sangue sono stata portata in terapia intensiva.

Quanto sei rimasta in quelle condizioni?

Mi hanno operata tra venerdì e sabato e io mi sono risvegliata poi la domenica mattina. Ero ancora intubata e vicino a me c’era mia mamma che mi ha subito raccontato tutto quello che avevo vissuto in quei giorni tra la vita e la morte.

In quel momento hai scoperto di non avere più l’utero?

Esatto, e a 31 anni, con il desiderio e la speranza che la vita mi avrebbe dato altri figli e altre maternità, non è stato qualcosa di facile da accettare.

Qual è la prima cosa a cui hai pensato?

I miei figli, in realtà a loro ho sempre pensato, mia mamma mi ha raccontato che anche mentre deliravo per il dolore non facevo altro che chiedere di poterli vedere. Poi a poco a poco quando mi sono ripresa ho ricominciato a pensare a me, e ai figli che non avrei potuto più avere. Togliere l’utero ad una ragazza di 31 anni, per negligenza e superficialità, a mio avviso è un crimine. Bastava dimettermi facendomi una visita più approfondita, dal momento che la placenta ci aveva messo anche diverso tempo per essere espulsa.

Da lì in avanti come è andata?

La vita mi è proprio cambiata, io che sono sempre stata una persona autonoma e attiva  per due mesi non ho potuto lavorare, non sono riuscita a prendermi cura di me e soprattutto dei miei 3 figli, specialmente della piccola che aveva solo poche settimane di vita e non ho potuto allattare. Ho vincolato la vita di mia madre che si è dovuta occupare di me come fossi una bambina e mi hanno tolto la possibilità di avere altri figli in futuro.

Oggi come stai?

Sono contenta di essere viva ma soffro di attacchi di panico che si intensificano soprattutto la sera o il venerdì, che mi ricorda il giorno del ricovero. Mi accade perché sento su di me il peso di una condanna posta sulle mie spalle da altri, che hanno deciso per esempio che non sarò mai più madre. Sono infatti supportata da un esperto che mi aiuta a convivere con questo dolore.

Credits: Antonia Pia Giacobbe
Credits: Antonia Pia Giacobbe

Sei più tornata in ospedale?

No, ma porto mia figlia all’asilo a San Severo, nella stessa città in cui si trova la struttura, quando intravedo l’ospedale mi sento male, provo un dolore che non riesco nemmeno a spiegare.

Pensi che quanto accaduto abbia cambiato il tuo modo di essere mamma?

Certo, io non ho vissuto i primi giorni di mia figlia, e ho sperimentato un vero e proprio distacco da lei. Ho anche dovuto smettere di allattarla al seno, che non è un problema di per sé, so che mia figlia cresce sana e forte anche con il latte in polvere, ma mi spiace non aver potuto scegliere.

Come ha vissuto il tuo compagno quei giorni?

È stato un bravo papà, si è occupato delle nostre bambine ma ha sofferto tantissimo, ha temuto che non ce la facessi. Anche mia mamma ha sofferto molto.

Come ti muoverai con l’ospedale?

Io ho chiesto la cartella clinica che mi è arrivata due settimane fa e ora tramite un avvocato inizieremo le pratiche per la denuncia, perché è giusto che paghi chi ha sbagliato.

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