La risposta perfetta a un bambino che continua a chiedere “perché?”: il consiglio della psicologa

Ogni genitore, prima o poi, si trova ad affrontare una fase ben precisa dello sviluppo infantile: quella dei "perché". Un momento in cui ogni affermazione viene seguita da una domanda curiosa e insistente. All'inizio, il gioco sembra semplice: si risponde con pazienza e si cerca di spiegare. Ma quando le domande si fanno più profonde o più strane – "Perché il cielo è blu?", "Perché la terra è marrone?", "Perché i carciofi hanno le punte?" – ci si accorge che non sempre è possibile dare una risposta chiara. Secondo una psicologa americana però, c'è un precisa strategia che gli adulti possono sfruttare per spezzare il loop di domande senza soffocare il sano bisogno dei piccoli di scoprire sempre più cose sul mondo che li circonda.
L'insaziabile curiosità dei bambini
Il bisogno incessante di sapere trova spiegazione nello sviluppo cerebrale infantile. Attorno ai due o tre anni, infatti, le connessioni neurali che aiutano i bambini a comprendere il mondo e a categorizzarlo iniziano a rafforzarsi, stimolando la sete di sapere dei piccoli. Una volta che il bambino capisce che un'azione porta a una conseguenza, il passo successivo è dunque chiedere spiegazioni.

Questo processo raggiunge il suo apice tra i tre e i quattro anni e ha motivazioni profonde e positive. Da un lato, i bambini vogliono acquisire strumenti per prevedere ciò che accadrà, riducendo l'incertezza (che poi è il medesimo meccanismo mentale che porta i bimbi a beneficiare delle routine ripetitive). Proprio come gli adulti, i piccoli provano timore di fronte all'imprevedibilità. Dall'altro, la condivisione di un interesse con i genitori li fa sentire valorizzati e contribuisce alla crescita della loro autostima. Il loro desiderio di conoscenza però non è solo semplice curiosità, ma anche un modo per sentirsi parte di un dialogo significativo con il mondo che li circonda.
Come rispondere senza perdere la pazienza
Quando un bambino chiede "perché?", il genitore può trovarsi in difficoltà, specialmente se la catena di domande sembra infinita. In un recente intervento sull'HuffPost UK, la terapeuta familiare Deena Margolin ha suggerito un approccio interessante: invece di rispondere direttamente, invitare il bambino a riflettere con un semplice "E tu, perché pensi che sia così?".

Secondo l'esperta questa tecnica presenta diversi vantaggi. Innanzitutto, aiuta il bambino a sviluppare la capacità di ragionare autonomamente, spingendolo a esprimere le proprie idee. Inoltre, permette ai genitori di mantenere un'interazione attiva senza sentirsi sopraffatti. Margolin ha anche sottolineato che questo metodo non dovrebbe essere usato in ogni occasione, ma può essere utile per interrompere la spirale dei "perché" quando diventa troppo insistente.
Infine, consentire ai bambini di riflettere sulle loro domande può aiutare mamme e papà a capire il reale intento dietro i quesiti del piccolo. A volte, infatti, le domande dei bambini non sono così letterali come sembrano e dietro un bimbo che si chiede perché piova (questo esempio è stato citato dalla psicologa Linda Blair sulla BBC) potrebbe esserci la curiosità di sapere come ci si debba vestire per poter uscire nonostante il maltempo. Insomma, secondo Margolin i genitori dovrebbero riscoprire il potere di fare (e farsi) delle domande, anche perché osservare i propri figli riflettere ed elaborare i concetti in autonomia può davvero essere un'esperienza formativa tanto per il piccolo, quanto per l'adulto.
Un gioco di intelligenza e complicità
Per la dottoressa Margolin molti genitori trovano conforto in questa strategia, raccontando come sia affascinante vedere i bambini elaborare concetti in autonomia. Tuttavia, non sempre funziona come previsto. C'è chi riferisce che, di fronte alla domanda "E tu cosa ne pensi?", il piccolo risponde a sua volta con un "Dimmi tu!", creando un rimpallo senza fine.