“La diagnosi di mio figlio è stata come una maratona, per cui non eravamo pronti”: la storia di Cesare e Valentina
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Valentina Mastroianni è la mamma di Cesare, un bambino biondo, terzo genito di una famiglia come tante, prima dell'arrivo di una diagnosi devastante. Un tumore al cervello, che Valentina chiama "la bestia" ha preso qualsiasi cosa di Cesare, da quando aveva poco più di un anno, portandogli via la vista, poi la capacità di camminare, di stare in piedi o seduto, giocare e persino parlare. Una storia che potrebbe sembrare triste ma che Valentina racconta tramite il suo profilo Instagram @la_storia_di_cesare e nei suoi due libri editi da De Agostini, per dire a tutti i genitori che vivono una vita simile che la felicità esiste ed è adesso.
Così in questi 5 anni di malattia lei ha corso per le strade del paese in bici, elencando a Cesare creature fantastiche, facendogli vedere con gli altri sensi ciò che non poteva guardare più, gli è stata accanto insieme al marito e ai figli in ospedale, ha trascorso con lui molte notti in bianco, si è svegliata all'alba per portarlo a sentire il profumo del mare e a mangiare la sua amata focaccia. Oggi ha anche trovato un modo per comunicare con il piccolo, nonostante il tumore gli abbia rubato anche la parola, tramite dei gesti che il bimbo fa con le mani.
Mentre Cesare in sottofondo, dopo un'altra notte in bianco si lamenta e lei gli dedica parole d'amore, Valentina racconta a Fanpage.it: "Quando arriva una diagnosi del genere nessuno ti aiuta, e allora diventi logopedista, medico e insegnate per tuo figlio e scopri che gli occhi a volte sono un limite perché la felicità si può raggiungere con tutti i sensi".
Valentina, ci racconti come è stato ricevere la diagnosi di Cesare?
5 anni fa esatti io e mio marito Federico abbiamo scoperto che il nostro figlio più piccolo, Cesare, che all’epoca aveva 18 mesi era affetto da un tumore alla testa. Lui soffriva di una malattia rara che si chiama neurofibromatosi, che si può tenere sotto controllo e che generalmente non provoca una patologia tanto grave quanto il suo tumore, per il quale non eravamo pronti. Nel giro di un mese Cesare ha perso completamente la vista e abbiamo iniziato la chemio. Io chiamo quanto ci è successo “una maratona”, mi sembra che una mattina qualcuno ci abbia svegliati per chiederci di correre, una corsa però alla quale noi non eravamo pronti né fisicamente, né psicologicamente. È stato ed è un viaggio lungo e tortuoso, doveva trattarsi di un massimo di due anni di chemio, a cui sarebbe seguita una recessione del tumore, che per sua natura generalmente smette di crescere, invece dopo 5 anni siamo ancora qui a combattere contro questa bestia. Il tumore ha tolto tanto a Cesare, negli anni e oggi, oltre a non vedere più non parla più e non si muove più. Ma sono stati 5 anni in cui noi abbiamo vissuto, facendo quante più esperienze positive alla ricerca di una felicità che molti cercano sempre altrove o rimandano.
Come mai hai deciso di raccontare online la vostra storia?
Ci tengo a dire che la nostra storia non parla solo di malattia e di disabilità, e ho deciso di raccontarla ad un anno circa dall'inizio della malattia di nostro figlio, per essere di supporto a tutte le famiglie che si trovano ad attraversare viaggi simili ai nostri. Perché la verità è che quando ci è piombata addosso la diagnosi di nostro figlio noi ci siamo sentiti tremendamente soli, e questa solitudine è un sentimento che accomuna tutte le persone che si trovano ad avere a che fare con la disabilità, perché nessuno ti prende per mano, ti aiuta a capire come muoverti dal punto di vista burocratico e sociale, è tutto molto difficile. Io ho cercato spesso su internet di trovare storie simili alla nostra, per non sentirmi sola, per capire se c’era chi prima di noi ce l’aveva fatta. Online cercavo anche consigli degli esperti, perché come genitore sono diventata anche insegnante, logopedista, fisioterapista e guida per il mio bambino che non vedeva più, assumendo una serie di competenze con cui non sono nata, in una situazione in cui oltre ad essere travolta da un uragano il mio compito era anche fare la scelta giusta. Così ho creato il nostro profilo perché non capitasse ad altri genitori, nonni o zii di sentirsi abbandonati come era successo a noi.
Vi siete da poco trasferiti a Genova, lo avete fatto per essere più vicini all’ospedale Gaslini, dove Cesare è in cura?
A dire il vero no, ci siamo trasferiti a Genova perché dove abbiamo vissuto non ci trovavamo più bene. Abbiamo vissuto anni difficili, tra la malattia e il covid, ci siamo sentiti troppo soli e il cuore ci ha detto che Genova sarebbe stata casa nostra. Qui abbiamo conosciuto una comunità che ci ha accolti e voluti bene da subito, un gruppo di persone che vorrei tutte le famiglie con una strada più in salita di altre avessero, ma che in una società molto egoista è un miraggio. Dovrebbe essere la normalità aiutare gli altri, perché le difficoltà riguardano tutti.
Tu e Federico avete altri due figli, i fratelli di bambini con disabilità vengono chiamati siblings,che rapporto hanno loro con voi e con la malattia di Cesare?
Innanzitutto io odio le etichette come siblings o caregiver, parole che trovo orribili in un contesto in cui già ci si sente diversi. Si tratta di due fratelli, come gli altri, che hanno un bambino fragile in casa e hanno preoccupazioni diverse dagli altri bambini, che comunque ne hanno. Come tutti i bambini hanno bisogno di sincerità, onestà, di essere coinvolti in ciò che accade in famiglia, spesso si pensa che tenerli all’oscuro dei problemi li protegga, quando in realtà capiscono perfettamente cosa sta succedendo attorno a loro. Noi abbiamo detto subito ai bambini del tumore di Cesare e per loro il percorso è diventato naturale, non facile, ma hanno imparato a fronteggiare gli aspetti negativi della vita, sono ragazzi molto sensibili, molto aperti e io credo che saranno adulti migliori. Bisogna sempre ricordarsi di loro, nel mio secondo libro racconto qualche episodio di bullismo che i miei figli hanno subito, come spesso accade ai bambini. Io credo che ci voglia attenzione e che serva fare squadra, come comunità, famiglia e scuola, in cui tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Come è cambiata la vita di coppia dopo la diagnosi di Cesare?
Posso dirti che io e mio marito Federico abbiamo dormito insieme una notte intera pochi giorni fa, dopo credo 5 anni. È stata dura perché Cesare non ha più voluto dormire da solo, perché aveva paura del buio che arrivava e perché, a causa di chemio e cortisone, ha passato e passa moltissime notti insonni. Quando non si dorme diventa tutto più difficile, è stato importante dunque essere una coppia molto salda, perché già un figlio destabilizza la coppia, un bimbo malato ancora di più. Abbiamo sempre agito come squadra e cercato di prendere decisioni importanti insieme, stringendo i denti e crescendo insieme giorno dopo giorno.
Cosa pensi che Cesare abbia insegnato a te in questi anni?
A vivere alla giornata, prima di lui programmavo ogni cosa, oggi ho imparato, nonostante le giornate più buie in cui sembra complesso trovare la luce, a scovare e godere delle cose belle, che tutti abbiamo, da una doccia calda, a una cena insieme, momenti bellissimi che viviamo tutti e a volte ci sfuggono perché siamo troppo concentrati sulle cose negative. Oggi apprezzo le cose belle e da Cesare ho imparato a guardare a questo mondo non solo con gli occhi, che ho scoperto spesso essere un limite, ma con tutti gli altri sensi.