“In Italia un primogenito su tre, se la mamma ha più di quarant’anni, nasce grazie alla PMA”: il demografo
Sono sempre di più le coppie che ricorrono alla Procreazione Medicalmente Assistita per avere un figlio; infatti un bambino su 3 nasce grazie alla PMA se la sua mamma ha più di quarant’anni e lui è il primogenito. È quanto evidenzia a Fanpage.it il Professor Daniele Vignoli, docente di Demografia presso l’Università di Firenze. Il docente si sta occupando del programma Age-it, un progetto che grazie alla collaborazione di più esperti esplora il territorio Italiano, comprendendo le motivazioni della denatalità imperante, del tardivo raggiungimento di ogni tappa della vita e così del continuo posticipare la nascita del primo figlio. Vignoli ha spiegato quali politiche sarebbero davvero efficaci per combattere la denatalità.
Sono in aumento i numeri delle coppie che per avere un figlio devono ricorrere alla PMA?
Sì, se nel 2013 il contributo della PMA alla fecondità in Italia era del 2.1%, nel 2022 è salito al 4%. Si tratta di un aumento molto rilevante, ma l’aspetto più forte è che sui primi figli, da donne che hanno più di quarant’anni, 1 su 3 nasce con tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Quale sarebbe il motivo di questo aumento?
Il motivo è un processo che nel nostro Paese dura ormai da diversi anni di rinvio del primo figlio, a dire il vero si fanno tutte le tappe di transizione allo stato adulto con ritardo, rispetto agli altri Paesi e dunque rimane poi meno spazio per avere figli, a causa di possibili problemi nel concepimento, che le tecniche di procreazione medicalmente assistita vanno a bilanciare. Il problema è ovviamente molto più ampio perché ci sarebbe bisogno di una diversa cultura della fertilità femminile e maschile nel corso della vita, per prevenire un eventuale ricorso tardivo alle tecniche di PMA.
Perché accade che in Italia il passaggio alla vita adulta sia più lento?
Ci sono due ragioni, una culturale che porta i figli a rimanere a casa dei genitori più a lungo, a questo si somma la difficoltà dei giovani a diventare indipendenti a causa di un mercato del lavoro sempre più precario che impedisce loro di pensare ad una stabilità di lungo periodo.
Questo ci dice che le politiche messe in atto fino ad ora non sono state abbastanza. Cosa bisognerebbe fare per fronteggiare la forte crisi demografica?
Per colmare questo bisogno insoddisfatto bisogna rimuovere gli ostacoli che impediscono alle coppie di avere il numero di figli desiderati. Su questo la letteratura in demografia è chiara, esistono due approcci, uno di stampo più pronatalista: si tratta di politiche strettamente legate alla nascita del figlio come il bonus bebè o trasferimenti finanziari alle famiglie. Ci sono poi una serie di interventi di natura più strutturale, quindi non legati alla nascita del figlio, come gli asili nido che permettono di conciliare lavoro e famiglia.
Dalla vostra ricerca emerge quali sarebbero le migliori politiche per la natalità?
Sì, i risultati della ricerca Age-it mostrano come sono le politiche strutturali che hanno un effetto: avere due redditi nella coppia, e avere un reddito mediamente dignitoso sono percepiti come molto più importanti per fare un figlio che qualsiasi politica prenatalizia. Di fatto bisogna lavorare sulla coppia, in modo che raggiunga un benessere che le permetta di realizzare il proprio desiderio di fecondità se lo ha.
Se dovesse descrivere in breve lo studio Age-it cosa direbbe?
Direi che la demografia italiana è eccezionale, siamo tra i Paesi che al mondo che vivono più a lungo e tra i Paesi al mondo che fanno il numero più basso di figli per donne in media, questo crea una struttura molto squilibrata tra generazioni anziane e più giovani e fa dell’Italia una sorta di laboratorio per studiare l’invecchiamento sia dall’alto (si vive più a lungo) che dal basso (nascono meno figli). Age-it è il primo progetto che integra scienze sociali, biomediche e tecnologiche per studiare con un approccio integrato, olistico e basato sull’evidenza dei dati l’invecchiamento.