video suggerito
video suggerito

Il travaglio di 54 ore e le ferite psicologiche che non si rimarginano, il racconto di una giornalista: “Mi sentivo un pezzo di carne”

Una giornalista e madre inglese ha recentemente condiviso la sua lunga e tribolata esperienza di parto, ricordandola come un vero caso di violenza ostetrica: “Il personale ospedaliero continuava a sminuirmi e ignorami. Solo quando il mio bimbo ha rischiato la vita mi sono stati a sentire”.
A cura di Niccolò De Rosa
260 CONDIVISIONI
Immagine

La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano la maternità e l’essere genitori. Se avete una storia da raccontarci, o leggendo queste parole pensate di avere vissuto una situazione simile, potete scriverci cliccando qui.

Quando nel maggio del 2024 il Regno Unito è stato scosso da un'inchiesta del Parlamento che mostrava l'alta incidenza di traumi e episodi di violenza ostetrica vissuti dalle donne britanniche in occasione del parto, la giornalista Nilufer Atik non si stupì più di tanto. Dopotutto lei stessa era stata protagonista in prima persona di un'esperienza simile quando sette anni prima aveva dato alla luce suo figlio, Milo.

Motivata dalle riflessioni maturate a qualche mese di distanza e decisa a mettere in luce i problemi di un sistema sanitario in difficoltà, Atik ha quindi deciso di condividere sul quotidiano britannico Metro la sua drammatica storia, sollevando importanti interrogativi sul trattamento delle donne durante uno dei momenti più vulnerabili della loro vita.

Un sogno che si trasforma in incubo

Nel 2016, Atik aveva accolto con entusiasmo la notizia della sua gravidanza. Come molte future mamme, aveva immaginato un parto sereno e naturale e, per prepararsi all'evento, aveva frequentato un corso di ipnosi per il parto e pianificato una nascita in acqua. La realtà dei fatti è però stata ben diversa. Dopo 19 ore di contrazioni trascorse facendo continue spole tra case e l'ospedale, la futura mamma veniva sistematicamente rimandata indietro perché non ancora abbastanza dilatata. Una situazione che, con il passare delle ore, si è trasformata in una vera e propria odissea.

donna in sala parto
Immagine di repertorio

La mancanza di ascolto

Proseguendo il racconto, Atik ha ricordato le pessime condizioni nelle quali versava quando finalmente il personale ospedaliero si era deciso a ricoverarla: tremava, vomitava ed era ormai impossibilitata a camminare. Nonostante il dolore insopportabile e la spiacevole sensazione di star vivendo una specie di sopruso, il personale ostetrico aveva comunque continuato a minimizzare le sue preoccupazioni, liquidandola come una "primipara (ossia una donna al primo parto) che esagerava".

Solo dopo 54 estenuanti ore di travaglio, si è scoperto che la posizione errata della testa del piccolo Milo stava bloccando la dilatazione e mettendo a rischio la vita della donna.

Un trattamento "disumano"

Nella sua testimonianza la giornalista ha più volte sottolineato come, ancor più del dolore e del grosso pericolo a cui era stata esposta insieme al suo bambino, a farla stare male sia stato il modo in cui gli addetti dell'ospedale avevano continuato a trattarla, ignorandola e sminuendo le sue necessità. Le sue richieste di aiuto cadevano nel vuoto, e persino il gas anestetico fornito risultava inutilizzabile a causa di un foro nella maschera. "Mi sembrava di essere un peso, un fastidio per il personale" ha scritto.

La giornalista Nilufer Atik. Credits: Instagram/@nilufera5
La giornalista Nilufer Atik. Credits: Instagram/@nilufera5

Come se tutto ciò non bastasse, la situazione era ulteriormente peggiorata quando, ormai esausta, la donna era stata trasferita in sala operatoria per un taglio cesareo d'urgenza. Qui, Atik era andata incontro a un'overdose di anestetico che le aveva provocato importanti difficoltà respiratorie, lasciandola terrorizzata e incapace di comunicare.

Al momento del parto, la vicenda ha poi assunto tonalità ancora più cruente. La donna ha infatti raccontato che mentre il suo Milo veniva estratto dall'utero – un'operazione complicata che comportò per il piccolo numerosi lividi e una spalla lussata – copiosi schizzi di sangue si erano riversati sulle scarpe del compagno della donna, il quale dovette far ricorso a tutte le sue energie per rimanere vigile e non perdere i sensi. Il neonato era stato  poi trasferito con urgenza in terapia intensiva per problemi respiratori, e Atik, debilitata e in stato di shock, ha trascorso giorni in ospedale con la pressione sanguigna alle stelle.

Il peso psicologico del trauma

Nonostante la felicità di avere finalmente tra le braccia il suo bambino, Atik non ha potuto ignorare le cicatrici emotive lasciate dall’esperienza. "Mi sentivo un corpo senza valore, un oggetto, non una persona", ha confessato. La mancanza di empatia e di attenzioni da parte del personale sanitario ha infatti avuto un impatto devastante, al punto da causarle veri e propri attacchi di panico ogni qual volta si trova a passare davanti all'ospedale.

Immagine di repertorio
Immagine di repertorio

Ancora oggi Atik continua ad affrontare le conseguenze psicologiche di quei due giorni devastanti, anche se l'intento della sua testimonianza non è tanto quello di scagliarsi contro i medici e infermieri che l'hanno assistita, ma evidenziare i problemi di un sistema sanitario che, sia nel Regno Unito che in tanti altri Paesi occidentali (Italia inclusa), manca ancora di molte risorse e competenze per poter soddisfare le delicate esigenze di una partoriente in difficoltà.

La giornalista ha però tenuto a sottolineare quanto, al netto di tutte queste difficoltà, sia fondamentale mantenere un approccio umano nel trattamento delle pazienti. "Basta una mano stretta, una parola di conforto per fare la differenza", ha concluso. Una semplice dimostrazione di attenzione può infondere fiducia e sicurezza a chi sta affrontando una delle esperienze più difficili della vita.

260 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views