Il diritto delle donne al parto in anonimato: cos’è e cosa succede al bambino
“Sei senza cuore. Esiste una giustizia divina e non aggiungo altro” con queste parole in un lungo post su Facebook ora rimosso, un’infermiera del reparto dell’Ospedale Perinei di Altamura in provincia di Bari ha apostrofato una famiglia che ha scelto di avvalersi del suo diritto del parto in anonimato.
Poi si è scusata, ha rimosso il post e ora è in attesa di essere ascoltata, come spiega Saverio Andreula, il Presidente dell’ordine degli infermieri di Bari all'Ansa, dalla commissione disciplinare. Andreula ha dichiarato infatti che la famiglia apostrofata dall'infermiera ha fatto in realtà “una scelta indiscutibile e prevista dalla legge” e che l’infermiera ha espresso un giudizio fuori luogo e poco consono alla sua professione, per la quale dovrebbe occuparsi di proteggere l'identità dei pazienti.
Il parto in anonimato, infatti, il diritto a cui si appella il dottor Andreula, come specifica il Ministero della Salute è un diritto inviolabile delle donne, che fa di loro tutt'altro che madri senza cuore, dal momento che tutela la vita e i diritti loro e del loro bambino.
Il diritto delle donne di scegliere il parto in anonimato
Il presidente dell’ordine degli infermieri di Bari, quando all’Ansa parla di scelta prevista dalla legge, si riferisce al Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 396 del 2000, articolo 30, comma 2, che modifica il precedente articolo 2 comma I della legge 127 del 1997.
A spiegare nel dettaglio l’importanza dell’esistenza del diritto al parto in anonimato per le donne è il Ministero della Salute: “Non tutte le donne riescono ad accogliere la loro maternità, per una complessità di motivazioni, che occorre ascoltare, comprendere e riconoscere”. Dal sito del Ministero si legge l’importanza di informare le donne, durante la gestazione, di questa possibilità, così che siano tutelate loro e il bebè, da considerarsi due soggetti distinti aventi diritto di tutela da parte della legge.
Se la mamma si appella al suo diritto di rimanere anonima, la dichiarazione di nascita del bambino, come si legge dal DPR, viene fatta da uno dei medici che ha assistito al parto, così che la madre non possa essere in alcun modo nominata o identificata. Al Comune viene dunque solo registrata la nascita del piccolo, entro 10 giorni da quando è venuto al mondo, specificando tutti i suoi dati, esclusi quelli della madre.
Gli operatori dell’ospedale a questo punto inviano una segnalazione del non riconoscimento del bambino alla Procura della Repubblica, presso il Tribunale per i Minorenni della regione di competenza, così che il bimbo possa essere dichiarato in stato di abbandono, necessario per iniziare l’iter adottivo, come specifica il sito dell’associazione “ItaliaAdozioni”.
Il piccolo, nell’attesa che venga trovata la coppia adatta a lui, tramite adozione nazionale, è affidato alle cure dell’Ospedale in cui è nato. La mamma ha un tempo di 10 giorni, se lo desidera per ripensarci e decidere di riconoscere il bambino. In alcuni casi particolari, per i quali la madre sia impossibilitata a riconoscere il bambino, questa può chiedere al Tribunale la sospensione della procedura di adottabilità per due mesi, oppure, se ha meno di 16 anni, per il tempo che intercorre dal momento del parto al compimento del sedicesimo anno di vita.
Cosa succede al bambino
Il neonato non riconosciuto inizialmente viene preso in carico dall’Ospedale che gli garantisce tutte le cure necessarie, dunque, dopo la dichiarazione di nascita, escluse tutte le variabili relative ai casi particolari, viene dichiarato in stato di abbandono, necessario per poter essere poi adottato.
A questo punto il Tribunale per i minorenni sceglie la coppia di genitori, che ha presentato la domanda di adozione, più consona alle esigenze del bambino ed inizia così un iter pre-adottivo, che si scontra con il cosiddetto “rischio giuridico”, di cui la coppia è a conoscenza, dunque la possibilità che entro i limiti di tempo stabiliti dalla legge la madre biologica del piccolo, impugni la sentenza di adottabilità e lo riconosca come proprio figlio.
Dopo un anno dall’inizio dell’iter preadottivo, come spiega il Ministero della Giustizia, si tiene la sentenza ufficiale per l'adozione del bimbo.
E se il bimbo volesse conoscere la sua mamma?
Il bambino adottato per legge deve sapere dai propri genitori quale sia la sua origine, la coppia di genitori adottivi infatti si impegna a spiegare lui l’adozione e ad affrontare il tema dell’abbandono con le modalità e i tempi adatti alla crescita del piccolo.
Tuttavia se il ragazzo, una volta maggiorenne, volesse conoscere la sua mamma che lo ha messo alla luce con parto in anonimato, secondo la legge 184 dell’83, rivista dalla legge 149 del 2001, che regolamenta le adozioni, non potrebbe. Tuttavia, la sentenza n.278 del 2013 ha dichiarato incostituzionale l’eccessiva tutela della privacy della mamma a discapito del diritto a conoscere le proprie origini del figlio.
Di conseguenza ad oggi, in attesa di una riforma, sentita la volontà del figlio, il Tribunale può iniziare una ricerca della famiglia biologica, che una volta rintracciata e messa a conoscenza del desiderio del figlio di conoscerla deciderà il da farsi. Se la madre decidesse di mantenere il suo anonimato, ne avrebbe tutto il diritto e la sua identità non verrebbe mai svelata al figlio.
Diverso è il caso in cui il ragazzo avesse bisogno, per motivi di salute, di accedere alla cartella clinica dei genitori biologici, in quel caso, come specifica la Corte di Cassazione con ordinanza del 9 agosto 2021 n.22497, il ragazzo ha diritto ad accedere alle informazioni sanitarie, senza ovviamente venire a conoscenza dei dati anagrafici dei genitori.
La culla per la vita
Esiste anche l’opzione per cui un bebè, partorito da una donna anche non in anonimato, venga lasciato nelle cosiddette culle per la vita, stazioni termiche, distribuite sul territorio nazionale, in cui il neonato viene lasciato da un genitore, che ha il tempo di allontanarsi prima che alla struttura venga dato l’allarme e segnalato che un bambino è stato lasciato nella culla e così se ne prenda cura.
L’iter che il bimbo subisce poi per essere dichiarato in stato di abbandono e dunque adottabile, è lo stesso del parto in anonimato.