Il cervello dei bambini funziona diversamente in base al sesso: le prove in uno studio italiano
La maggiore riflessività delle bambine e la grande facilità con cui i maschietti si perdono tra le nuvole potrebbero non essere più solo dei luoghi comuni. Un recente studio condotto dall’Università di Padova, in collaborazione con il centro di ricerca IRCCS "E. Medea" e l’Università di Cambridge, ha infatti indagato se l'attività cerebrale a riposo dei bambini possa rivelare indizi importanti sulle loro capacità cognitive ed emotive. I risultati ottenuti, non solo mostrano l'esistenza di differenze significative tra i sessi, ma suggeriscono anche che l’attività cerebrale a riposo potrebbe essere un indicatore di potenziali problemi comportamentali o emotivi.
Lo studio
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Human Brain Mapping, ha esaminato il cervello di bambini in età prescolare (tra i 4 e i 6 anni) durante lo stato di riposo, il cosiddetto resting state che si verifica quando il cervello non è impegnato in compiti cognitivi specifici. Gli studiosi hanno osservato che le modalità di comunicazione tra diverse aree cerebrali non variano con l’età in questo gruppo, ma si differenziano chiaramente in base al sesso biologico.
Nei maschi, l’attività cerebrale a riposo è risultata più variabile e meno prevedibile rispetto a quella delle femmine. In particolare, è stata riscontrata una maggiore attivazione del Default-Mode Network, una rete cerebrale associata a fenomeni come il mind wandering, ovvero la tendenza a perdersi nei propri pensieri. Al contrario, nelle femmine si è osservata una maggiore attivazione delle aree prefrontali del cervello, quelle più coinvolte nella concentrazione e nell’elaborazione cognitiva.
L’importanza delle aree prefrontali
Secondo i risultati dello studio, i bambini che attivano maggiormente le aree prefrontali, indipendentemente dal sesso, tendono a mostrare un miglior controllo delle emozioni e un comportamento più equilibrato. Al contrario, i soggetti che attivano frequentemente la modalità "testa tra le nuvole" – molto più frequente nei maschi – tendono a riportare maggiori difficoltà nella regolazione delle emozioni e del comportamento.
Simili osservazioni sono state confermate dai questionari compilati dai genitori dei bambini partecipanti allo studio, che hanno evidenziato una correlazione tra l'attivazione delle aree cerebrali e i comportamenti dei figli. La scoperta suggerisce quindi che il tipo di attività cerebrale a riposo potrebbe rappresentare un indicatore utile per identificare precocemente bambini che potrebbero sviluppare problemi emotivi o comportamentali.
Un approccio innovativo alla misurazione del cervello
Una delle innovazioni chiave di questo studio è stata l’utilizzo di una tecnica avanzata di machine learning chiamata Hidden Markov Models (HMM), applicata a dati di elettroencefalografia (EEG) ad alta risoluzione. Questa metodologia ha permesso ai ricercatori di monitorare i cambiamenti nell'attività cerebrale con estrema precisione, misurando le interazioni tra le diverse aree del cervello in millisecondi. Questo approccio ha reso possibile comprendere come i circuiti cerebrali dei bambini interagiscono tra loro durante i momenti di riposo.
Lisa Toffoli, ricercatrice e prima autrice dello studio, ha spiegato che lo studio si proponeva di capire se e come l’attività cerebrale a riposo potesse variare tra maschi e femmine, e se fosse possibile ottenere indizi precoci su eventuali difficoltà comportamentali o emotive in base a queste variazioni.
"Questo studio aveva due obiettivi principali: il primo era capire se e come l’attività cerebrale a riposo dei bambini differisce in base al sesso biologico e all’età – ha dichiarato Toffoli – Il secondo era esaminare se questa attività fosse in grado di prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive, cioè quelle abilità mentali che ci aiutano a pianificare e portare a termine azioni".
Le prospettive per nuove terapie
Come sottolineato da Gian Marco Duma, supervisore della collaborazione con l’IRCCS E. Medea, lo studio appena presentato è il primo ad applicare l'innovativa tecnica dell'Hidden Markov Models alla fascia d'età 4-6 anni.
Giovanni Mento, una delle altre firme principali dello studio, ha invece sottolineato come questi risultati potrebbero avere rilevanti applicazioni cliniche, soprattutto per quanto riguarda i disturbi del neurosviluppo come l’autismo e l’ADHD. L’identificazione delle specifiche modalità di attivazione cerebrale nei bambini potrebbe fornire preziosi indizi per sviluppare approcci terapeutici personalizzati, più mirati e tempestivi, aiutando così i piccoli pazienti a migliorare le loro capacità cognitive e comportamentali già in età prescolare, un periodo critico per lo sviluppo del cervello.