“I social hanno spinto mio figlio al suicidio”: l’appello di una madre per proteggere i ragazzi dai pericoli dell’algoritmo
Jennie DeSerio è una madre americana che due anni fa ha perso il figlio, Mason Edens, morto suicida a soli 16 anni. Il giovane, come molti adolescenti, trascorreva molto tempo su TikTok, e Jennie è convinta che siano stati proprio i contenuti visti su quella piattaforma a condurlo verso una spirale di disperazione.
Per questo la donna ha deciso di iniziare una battaglia d'attivismo contro lo strapotere delle grandi aziende del settore dei social media e in una recente lettera, pubblicata dalla rivista Newsweek, ha voluto condividere la propria tragica esperienza per mettere in guardia altri genitori sui pericoli dei social media e avviare una campagna di sensibilizzazione sui rischi nascosti dietro il mondo virtuale.
Tutto è iniziato con una delusione d'amore
Tutto era cominciato con una situazione comune a tantissimi adolescenti: la prima rottura sentimentale. Mason, dopo aver visto finire una relazione, aveva mostrato forti segni di sofferenza emotiva, un malessere che però sembrava del tutto simile a quello affrontato da qualunque teenager alle prese con un problema sentimentale. La stessa Jennie aveva più volte cercato di confortare il figlio, ripetendogli come quel dolore che in quel momento sembrava così insopportabile, con il tempo sarebbe diminuito fino a scomparire.
Nonostante le parole della madre, Mason sembrava però sempre più turbato e non di rado restava sveglio tutta la notte, chiuso nella sua stanza, con il volto illuminato dallo schermo del suo smartphone, dove scorrevano incessantemente i video di TikTok. Parallelamente a questi nuovi comportamenti notturni, durante il giorno il ragazzo sembrava sempre ansioso, distratto, quasi disinteressato da tutto ciò che lo circondava. In più appariva sempre stanco, visto che a causa della frenetica attività sullo smartphone si riduceva a dormire solo poche ore per notte.
La crisi e la tragedia
Dopo alcune settimana trascorse in quello stato, Jennie decise di togliere il telefono al figlio, nella speranza di destarlo da quel circolo vizioso. La reazione di Mason fu però sorprendentemente violenta: dopo un vero e proprio crollo nervoso il ragazzo diede in escandescenze e dopo essere corso in camera sua si tolse la vita.
"È stato un momento così tragico e scioccante per la nostra famiglia che lo sto ancora elaborando. Nulla avrebbe potuto prepararmi a qualcosa di simile" ha raccontato la donna, la quale però voleva vederci più chiaro. Come aveva potuto il suo ragazzo, sempre allegro e sorridente, spegnersi in così poco tempo, fino a compiere quel gesto?
Jennie decise dunque d'indagare sul cellulare del figlio. Analizzando la cronologia e il feed di TikTok, si rese conto che, dopo la rottura sentimentale, l'algoritmo della piattaforma aveva cominciato a proporre al figlio video sempre più inquietanti e malinconici. Contenuti dal tono tragico e corredati con musica triste che, a suo parere, incoraggiavano all’autolesionismo. "Guardando la sua cronologia di ricerca, credo che Mason non abbia mai cercato contenuti su suicidio o autolesionismo" ha raccontato la donna, sottolineando come le prime ricerche dopo la fine della sua storia d'amore fossero perlopiù video di eventi sportivi.
A un certo punto, però, il ragazzo aveva video per ottenere delle specie di rinforzi positivi e lo storico dell'attività online segnava un like a un video che presentava musica triste e un tono più negativo del solito. "Da quel momento in poi il suo feed sembrava includere post che credo incoraggiassero Mason, e probabilmente altri giovani spettatori, a farsi del male"
Un algoritmo che potenzia le emozioni
Dal momento di quella scoperta, Jennie ha iniziato ad essere sempre più sicura del fatto che l'attività social di Mason avesse giocato un ruolo importante nel peggioramento del suo stato psicologico. Per la donna, infatti, l'algoritmo di TikTok non solo riconosce i momenti di fragilità degli utenti, ma li sfrutta per invogliarli ad addentrarsi sempre più a fondo nella folta selva dei contenuti proposti.
"Attraverso le informazioni ricavate dai dati dei suoi utenti, l'algoritmo di TikTok molto probabilmente capisce quando un utente sta vivendo un momento difficile, come una rottura – ha sottolineato la donna – Credo che l'algoritmo approfitti della vulnerabilità dell'utente fornendogli contenuti che, in questo caso, hanno fatto sentire peggio Mason".
Per questo Jennie oggi si dice convinta che se Mason non fosse stato esposto a quei video, il figlio sarebbe ancora vivo.
"Genitori, aprite gli occhi"
Jennie ha deciso di condividere la sua storia per sensibilizzare altri genitori sui pericoli dei social media. Per la madre dal cuore spezzato, ciò che è accaduto al suo Mason potrebbe succedere a qualsiasi famiglia. Per questo la donna esorta tutti i genitori a prendere coscienza dei rischi e ad agire per proteggere i propri figli.
Il primo consiglio è quello di parlare apertamente con i figli. Gli algoritmi dei social possono influenzare le emozioni e portare gli adolescenti a nascondere i loro veri sentimenti: solo con una comunicazione sincera e continua, libera da ritrosie e pregiudizi, può prevenire che i giovani si chiudano in sé stessi e vengano influenzati da contenuti tossici.
Jennie invita poi mamme e papà a domandare alle istituzioni politiche serie per la tutela dei ragazzi online, siano esse l'introduzione di un divieto d'età (ipotesi già al vaglio in alcuni Paesi, come Australia e Regno Unito) o l'attuazione di regole più rigide per obbligare le piattaforme a forme di controllo interne severe ed efficaci, e a informarsi attivamente sulle tante attività sociali che in questi anni stanno nascendo per creare un ambiente digitale più sicuro, incentrato sull'utente e non sugli interessi delle grandi aziende.
La stessa Jennie, dopotutto, ha trasformato il dolore in azione, cercando di sensibilizzare e proteggere altri giovani come Mason. "Ogni bambino merita di vivere in un mondo digitale che rispetti la sua salute mentale" ha concluso Jennie, che insieme ad altre otto famiglie ha intentato una causa pionieristica contro le più importanti piattaforme social, accusandole di creare dipendenza nei giovani e di non fare nulla per limitare gli effetti potenzialmente devastanti che i loro contenuti possono sortire su bambini e ragazzi.