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“Ho creduto a lungo che Matteo fosse nato prematuro per colpa mia” la storia di Lorenza e del suo bambino

Lorenza Vignato ha scritto a Fanpage.it per raccontare la storia del suo bambino rimasto 5 mesi in terapia intensiva neonatale. Ha condiviso la sua storia perché chi la legge sappia che da quel periodo così doloroso prima o poi si esce, per tornare a casa.
A cura di Sophia Crotti
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bimbo tin

La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano la maternità e l’essere genitori. Se avete una storia da raccontarci, o leggendo queste parole pensate di avere vissuto una situazione simile, potete scriverci cliccando qui.

Quando è nato Matteo, a sole 27 settimane di gravidanza, i medici non sapevano se sarebbe sopravvissuto. Qualche giorno dopo la sua nascita prematura, è stato operato e ancora una volta non sapevano se ce l'avrebbe fatta.

Lorenza, la sua mamma ha raccontato a Fanpage.it quei mesi difficilissimi, fatti di alti e bassi e di una sola parola che i medici utilizzavano per descrivere la situazione del suo bimbo "stabile". Stabilità che durava sempre troppo poco per convincersi che dalla terapia intensiva neonatale (tin) sarebbero usciti.

In quei mesi in cui lei e suo marito si sono isolati dal mondo, per concentrarsi sul loro bimbo e perché il dolore che si prova in tin è difficile da comprendere dall'esterno, ha letto tantissime storie di bimbi nati prematuri, nel tentativo di trovarne una simile alla sua, in cui fosse scritto nero su bianco, che prima o poi quel dolore e quell'incertezza sarebbero finiti.

Per questo ha raccontato a noi la sua storia: "Vorrei che chi leggesse la mia storia comprendesse che il senso di colpa, il dolore, la paura di portare il proprio bimbo a casa sono fisiologiche, fanno parte del percorso, ma che poi tutto finisce e si torna a casa"

Lorenza, ci racconti come è stato scoprire di essere incinta?

Quella di Matteo è stata una gravidanza molto cercata e a lungo desiderata, quindi quando ho scoperto di essere incinta siamo stati contentissimi. Tuttavia per i primi 3 mesi abbiamo tenuto la notizia per noi, quel periodo è il più complesso per la gestazione e temevamo non andasse a buon fine. Ma in realtà la gravidanza procedeva benissimo. Fino a che non è nato improvvisamente Matteo.

Come mai hai dovuto partorire prima del termine?

Io ho avuto una piccolissima perdita rosa, non rosso sangue, e ho deciso di chiamare la mia ginecologa per comunicarglielo. Lei al telefono mi ha tranquillizzata ma dal momento che proprio quel giorno avrei dovuto fare una visita medica all’Ospedale San Pietro a Roma, mi ha suggerito di fare un salto al pronto soccorso per farmi fare un’ecografia, perché mi sentiva molto agitata.

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Mi hanno fatto la prima ecografia e ho sentito il battito del bimbo, pensando quindi che stesse andando tutto bene, poi me ne hanno fatta una transvaginale che ha invece rivelato che avevo l’utero molto accorciato. A questo punto mi hanno fatto di corsa un’iniezione di un farmaco cortisonico che serve ad aprire i polmoni dei bimbi che nasceranno prematuri.

Mi hanno tenuta poi per 3 giorni con le flebo che cercavano di bloccare ogni possibilità di avere ulteriori contrazioni, che comunque io non mi ero accorta di aver avuto. I medici, però, mi avevano prospettato le dimissioni con raccomandazione di totale riposo ed io ero preparata a quello.

Poi cosa è successo?

Ho iniziato a sentire dei dolori, mentre ero ricoverata, alle 3 di notte e ho chiamato le infermiere. Non c’era alcun ginecologo in turno, quindi loro continuavano a contattare il ginecologo del pronto soccorso, e intanto mi facevano delle punture.

Ad un certo punto è stato evidente che quei dolori ripetuti e cadenzati fossero contrazioni, quindi è salito il dottore dal pronto soccorso che mi ha visitata e mi ha detto “Signora io sento la testa, lei deve partorire”.

Solo in quel momento ho capito cosa stava per accadere e ho chiamato mio marito, era comunque molto tardi, Matteo è nato 12 minuti dopo la nostra telefonata quindi lui non ha fatto in tempo ad arrivare.

E come è stato essere in sala parto senza di lui, ti saresti mai aspettata una situazione del genere?

Assolutamente no, è stato molto diverso da come me lo ero immaginata ma non ho vissuto malissimo la sua assenza perché ero totalmente concentrata sul bimbo, come mi aveva chiesto il dottore. Ricordo di avergli detto, prima di entrare in sala parto: “Ma dottore a 27 settimane è troppo piccolo, ce la farà?” e lui mi ha detto una cosa che mi ha molto tranquillizzata. Senza darmi false speranze, mi ha spiegato che l’unica cosa che potevo fare per il mio bambino era concentrarmi sul farlo nascere in quel momento.

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E allora io ho fatto quello, ero assistita da un team di medici pronto e accogliente, mi sono concentrata su di lui e il bimbo, benché io non avessi ancora fatto il corso pre-parto, è nato con sole due spinte.

Lo hai visto subito il bambino?

No, non l’ho visto perché lo hanno subito portato in un’altra stanza, e l’ho scoperto perché ho sentito la voce della neonatologa allontanarsi.

All’inizio non ho sentito il suo pianto e mi sono molto spaventata, ma non riuscivo a chiedere se fosse vivo, quindi ho chiesto notizie della neonatologa. Lei mi ha detto “Signora sono qui”, e allora le ho chiesto del bimbo, lei mi ha detto “Ma come è qui non lo sente?”. Solo in quel momento ho sentito un suo vagito, è stato come aprire finalmente le orecchie a lui.

Mio marito già un'ora dopo la nascita di Matteo ha potuto vederlo in tin e mi ha mandato delle sue foto, io l'ho visto dal vivo il pomeriggio successivo.

Come è stato vederlo per la prima volta?

Bellissimo, io da quel momento in poi ho pensato che tutto sarebbe andato bene. Matteo non solo era nato, ma pesava anche più di 1 kg, un peso ottimo per la sua età gestazionale.

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Era evidente che ancora non conoscessi nulla del mondo della prematurità se non la lunga attesa prima di portarlo a casa. Non immaginavo minimamente quello che sarebbe accaduto poi.

Ci racconti com'è andata dopo?

Io a due giorni dalla nascita di mio figlio l’ho potuto prendere in braccio, ma la notte stessa sono venuti a chiamarmi dalla terapia intensiva neonatale perché Matteo aveva avuto una grave crisi, causata da una perforazione intestinale.

La dottoressa mi ha detto di salutarlo prima che lo trasferissero al Bambin Gesù, perché le sue condizioni erano critiche. Io quella notte stessa ho firmato le dimissioni e con mio marito siamo andati all’Ospedale Bambin Gesù, dove abbiamo visto Matteo entrare in ospedale nell’incubatrice.

Il bimbo è stato operato il giorno seguente al suo arrivo perché era in condizioni troppo critiche. All’inizio gli hanno fatto un drenaggio che ha retto per mezza giornata e dopo 2 notti in cui non dormivamo, proprio appena tornati a casa ci hanno chiamati perché il drenaggio non era servito e quindi dovevano operarlo nonostante le sue gravi condizioni.

È stato un altro momento difficilissimo, i medici ci hanno detto che in 4 casi su 5 il bimbo non ce l’avrebbe fatta.

Ti sei sentita impotente?

Sì, in quel momento sì, non mi capacitavo del suo peggioramento improvviso, ricordo di aver pensato "Non abbiamo ancora neanche registrato la sua nascita, che già abbiamo la consapevolezza che forse non la registreremo mai".

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L’operazione è andata bene?

Sì, è andata bene, ma da lì in avanti ci sono stati altri momenti difficili, anche se forse rispetto a quella prima doccia fredda, abbiamo reagito meglio perché eravamo più strutturati.

Matteo poi quanto è rimasto in terapia intensiva neonatale?

5 mesi, trascorsi tra alti e bassi: abbiamo vissuto sulle montagne russe, i medici al massimo ci dicevano che il bimbo era stabile e quindi noi ci sforzavamo di stare sempre con i piedi per terra.

Anche perché Matteo è stato intubato spessissimo, a causa di continue sepsi, pensavano anche che avesse un focolaio di qualche batterio e alla fine si è scoperto che il batterio si trovava nel liquor spinale.

A settembre, infatti, 2 giorni dopo che era uscito dalla tin, lo hanno subito dovuto riportare lì, questa volta per una meningite batterica.

È stata dura, perché la malattia gli ha lasciato delle lesioni cerebrali, che oggi non sembrano avergli causato dei danni, ma che al momento ci hanno molto spaventati.

Come è stato tornare a casa senza Matteo?

Tornare a casa senza di lui è stato brutto, non tanto per la sua assenza, ma per la nostra. Avevamo il costante terrore che arrivasse una telefonata, o che gli accadesse qualcosa senza che fossimo lì. Vivevamo con il telefono acceso a qualsiasi ora.

Come è stato, invece, tornare a casa con il bimbo?

La prima volta che siamo tornati a casa è stato in dimissione protetta, a novembre, lui aveva ancora la stomia e noi dovevamo fargli dei lavaggi seguendo le indicazioni che i medici ci avevano dato in ospedale, per prepararlo all’intervento che avrebbe vissuto poi. A dire il vero quando mi hanno detto che doveva tornare a casa io mi sono messa a piangere, credevo che solo in ospedale fosse al sicuro, ormai ero abituata a monitorare attraverso gli schermi e i parametri il suo stato di salute.

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Temevo che a casa si contagiasse, ero convinta fosse un bimbo troppo fragile per affrontare la vita normale. I giorni a casa sono passati poi e mi hanno permesso di instaurare un bel rapporto con lui, tanto che la seconda volta che è tornato a casa dopo il secondo ricovero invece, mi sono arrabbiata perché lo hanno fatto uscire un giorno dopo rispetto a quello che mi avevano detto.

Non vedevo l’ora di vederlo crescere tra le mura di casa, sentivo che era cambiato in me qualcosa.

Vi siete sentiti soli in quei momenti?

Siamo stati aiutati dal personale del Bambin Gesù sempre, dai dottori, dagli infermieri, dalla psicologa e dagli altri genitori che stavano vivendo l’esperienza della terapia intensiva neonatale.

Con il mondo esterno invece c’è stato un allontanamento, vivevamo con ritmi e orari diversi, che non ci permettevano neanche di comunicare ad amici e parenti. Poi in quelle situazioni non sapevamo nemmeno cosa dire, e neanche cosa avremmo voluto sentirci dire. Alle persone viene normale dirci “ma dai andrà tutto bene”, ma se sei tu in tin sai che non andrà per forza tutto bene.

Io mi sentivo davvero capita solo dagli altri genitori in tin, ogni giorno noi mamme potevamo accedere più volte per una mezz’ora ad una sala dove ci tiravamo il latte e quei dialoghi con loro per me sono stati terapeutici.

Ha cambiato la tua visione della genitorialità?

Sì e no, io e mio marito già prima che Matteo nascesse non avevamo messo in conto di avere altri figli, ma perché siamo grandi.

Se ne avessi voluti altri questa esperienza per me non sarebbe stata un ostacolo. Continuo a pensare che la maternità sia una esperienza bellissima e che ciò che ci è successo non è la norma.

Come avete vissuto come coppia questa esperienza?

Ci siamo uniti moltissimo, anzi siamo andati più d’accordo quando la situazione era critica che ora, la nostra fortuna è stata vivere alternativamente lo sconforto, eravamo spaventati alternativamente e da cose diverse.

Cercavi online storie di altre mamme in tin?

Sì cercavo online storie simili alla mia, mi sono anche iscritta a un blog. Lo facevo perché volevo leggere tra le righe di quelle storie così sofferte che prima o poi si esce da quella situazione in cui un giorno va tutto bene e il giorno seguente tutto a rotoli, perché a me sembrava che non ne saremmo mai usciti.

Volevo sentirmi dire da altri che il dolore che provavo era normale, che faceva parte del percorso che però prima o poi sarebbe finito.

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Mio marito invece si è sempre rifiutato di leggere storie di altri bimbi prematuri, a lui quei racconti facevano paura.

Il tuo bimbo ora sta bene?

Sì, sta bene, ha appena compiuto 2 anni, sta ancora facendo fisioterapia e piano piano supererà tutti i traguardi, i controlli chirurgici vanno sempre tutti bene.

Hai provato senso di colpa nei confronti di tuo figlio?

Sì, mi sono sentita a lungo la causa della sua prematurità, forse anche perché la vera causa non è mai stata trovata. Temevo di non essermi fermata abbastanza dal lavoro. Penso sia una sensazione irrazionale, mi prendeva anche quando lo allattavo, facevo anche delle autoanalisi per vedere se il batterio che lui aveva era nel mio latte.

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