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Gli orfani di femminicidio vivono tre traumi contemporaneamente: l’abbandono, la guerra e il terremoto

Gli orfani di femminicidio sono i bambini che restano dopo l’uccisione da parte del loro papà della loro mamma e che prima del dolore più grande della loro vita hanno spesso vissuto anni di violenza assistita, che solo un supporto concreto può aiutarli ad affrontare.
Intervista a Roberta Beolchi
Presidente dell'Associazione Edela
A cura di Sophia Crotti
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orfani di femminicidio

Quando si verifica un femminicidio tra le mura di casa viene ripercorsa a ritroso la storia della vittima, ci si sofferma sul movente, su quanto accaduto il giorno del crimine e sull’arma del delitto. Si parla della relazione fatta di un amore violento e tossico, meno frequentemente, però, si parla di chi resta. Abbiamo chiesto a Roberta Beolchi, la Presidente Onoraria dell’Associazione Edela, nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, di parlarci dei bambini e dei ragazzi di cui si occupa, gli orfani di femminicidio.

Bambini che ci spiega essere, secondo la pedagogia e la psicologia, gli individui più traumatizzati in assoluto: “Questi bimbi o ragazzi vivono in un istante 3 tipologie di traumi, primo fra tutti l’abbandono della mamma che non c’è più, seconda la guerra che hanno visto per anni perpetuarsi tra le mura di casa con annessa paura di perdere la vita e in ultimo il terremoto, perché come dei terremotati abbandonano quello scenario di dolore, diventato la scena del crimine, perdendo anche tutto ciò che vi era al suo interno”.

Roberta Beolchi (Presidente Associazione Edela)
Roberta Beolchi (Presidente Associazione Edela)

Che cos’è la violenza assistita?

La violenza assistita rientra nella macrocategoria della violenza che cambia la propria denominazione, grazie a criminologi, psicologi e pedagogisti che ne sviscerano le caratteristiche, ma rimane sempre unica. Si tratta della violenza psicologica, verbale e fisica che i figli di un genitore violento che poi diventa un assassino vedono e percepiscono nei confronti dell’altro genitore. Questa violenza dà vita ad un clima oppressivo che incide fortemente sulla crescita di questi bambini e sulla percezione dei loro genitori che si trasformano uno in attore di violenza e l’altro in vittima, perdendo così il loro ruolo primario per il ragazzo, che ha bisogno di essere supportato.

Perché nei casi di femminicidio di una madre si parla poco della violenza assistita?

Perché interessa poco al pubblico. Innanzitutto si parla di questi crimini efferati solo una volta che sono accaduti, sarebbe anche impossibile parlarne prima, e la violenza assistita precede il crimine. Si tende sempre a soffermarsi sui dettagli, sul movente, giustamente nel caso della violenza di genere sulla donna che ha pagato con la sua stessa vita quella violenza. Nessuno si preoccupa dei figli che restano e che in realtà sono i soggetti che soffrono e subiscono più di tutti, perché spesso hanno fatto i conti con la violenza assistita fin da piccolissimi, e che ha causato in loro dei danni che è molto difficile da andare a sviscerare.

Cosa prova e cosa vive un bambino che è orfano di femminicidio?

Si tratta dei bambini più traumatizzati in assoluto secondo la pedagogia, perché vivono tre traumi in una volta sola. Primo fra tutti l’abbandono, da parte della mamma che muore per mano del suo compagno o del loro papà, in secondo luogo vivono il trauma della guerra che avviene tra le mura di casa, tra percosse, violenze, spari e poi l’uccisione, senza contare che anche loro, proprio come in guerra, hanno paura di essere uccisi. In ultimo vivono il trauma del terremoto perché quando la loro mamma muore, la casa che spesso è la scena del crimine viene messa sotto sequestro e così loro, come nel caso dei terremotati, perdono la casa e tutto ciò che in essa era contenuto. Quando poi muore la loro mamma percorrono degli itinerari complessi e tortuosi, devono metabolizzare il lutto e iniziare da lì una vita che non si sono scelti ma che è capitata loro.

Dal punto di vista pratico cosa succede a questi ragazzi?

Nel caso dei minori interviene il tribunale dei minorenni che valuta la famiglia di provenienza del ragazzo, per capire se ha i requisiti per accoglierlo. I più fortunati quindi vengono cresciuti da nonni e zii, gli altri finiscono in casa famiglia, in attesa di essere trasferiti in una famiglia collocataria e affidataria.

Come si prepara una famiglia affidataria ad un bambino che ha vissuto tutti questi traumi?

Penso che nessuna famiglia sia mai pronta davvero a gestire e curare le ferite di questi bambini e ragazzi, ovviamente si tratta di una famiglia che si fa supportare psicologicamente e che ha la consapevolezza che non è detto che con il bambino si instauri il rapporto sperato.

Leggevo che gli orfani di femminicidio spesso si sentono in colpa, in che senso?

Perché quando avviene un crimine così efferato tra le mura di casa, accade che i figli invertano il proprio ruolo nei confronti della mamma. Perdono il concetto di bambino e diventano loro i genitori della loro mamma, dunque e si sentono in colpa perché non sono riusciti a proteggerla e a salvarla.

orfani di femminicidio

Quando tornano a scuola invece cosa succede?

sperimentano la vergogna, infatti molti abbandonano la scuola, perché vengono additati sempre come i figli di un assassino, di cui condividono parte del DNA. Sembra che tutti si dimentichino che sono orfani di madre per prima cosa e di conseguenza questi ragazzi tendono ad isolarsi e a rifuggire lo studio.

Come è nata l’idea di fondare l’associazione?

Io sono un’imprenditrice di aziende per forniture alberghiere, non una psicologa o una pedagogista, ma ho voluto fortemente fondare questa associazione perché da mamma mi sono accorta che dopo un femminicidio nessuno parlava dei bambini che rimanevano. Informandomi ho scoperto che il rapporto donne-madri di queste donne uccise dai propri compagni è dell’85%, dunque mi sono sempre chiesta che fine facessero questi figli. Me lo sono ripetuto negli anni fino a che ho capito che dovevo accendere un faro sul tema del dopo femminicidio.

Come hanno iniziato ad avvicinarsi a voi i ragazzi orfani di femminicidio?

Io inizialmente ho conosciuto delle famiglie chiamandole e preoccupandomi, poi ci siamo estesi. Oggi cerchiamo di esserci con la presenza, cerchiamo di far capire a ragazzi e bambini che ci siamo per loro che non sono soli, anche con semplici telefonate per indagare come stanno e come si sentono. Hanno bisogno di sapere che c'è ancora chi si occupa di loro.  Ad oggi, grazie ad un accordo, i sindaci di vari comuni e i rappresentanti di diverse regioni ci contattano dopo un femminicidio così che noi possiamo entrare in contatto con le famiglie che hanno bisogno.

Di cosa hanno bisogno questi ragazzi?

Gli orfani di femminicidio piccoli e grandi hanno bisogno di mantenere un minimo di vita normale, continuare a fare lo sport fatto fino a quel momento, non smettere di andare a scuola, insomma di continuare a vivere come se la loro mamma ci fosse ancora. 

C’è una storia che ti è rimasta particolarmente a cuore?

Le storie sono tutte dolorosissime ma ce ne sono alcune molto complesse, soprattutto quando accade che dopo l'uccisione di una mamma i fratelli si trovano a separarsi. Vi assicuro che é straziante vedere dei nonni che per condizioni economiche o strutturali dell'abitazione non possono accogliere 3, 4 fratelli insieme. I ragazzi così vedono recidersi l'ultimo legame affettivo che avevano, soffrendo ancora di più.

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