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“E se il giudice ti dice che non puoi essere la mia mamma?” la storia di Micol e delle sue mamme Giada e Serena

Serena e Giada sono due mamme di tre figli, come scrivono sul loro profilo Instagram che utilizzano per raccontare le battaglie quotidiane di chi vorrebbe solo amare i propri figli incondizionatamente e invece si trova a combattere contro uno Stato che non riconosce la loro genitorialità, per farlo.
A cura di Sophia Crotti
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Credits: profilo ig di @duemmmetrefigli
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La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano la maternità e l’essere genitori. Se avete una storia da raccontarci, o leggendo queste parole pensate di avere vissuto una situazione simile, potete scriverci cliccando qui.

"Io non voglio andare da qualcun altro, non voglio essere adottata, voi siete già le mie mamme" sono queste le parole semplici di una bimba, Micol, che sta vivendo consapevolmente una situazione difficile, o meglio, resa complessa da uno Stato che non è in grado di riconoscere a tutte le famiglie gli stessi diritti. Micol è la terza figlia di Giada e Serena, due mamme che si amano e amano i loro bambini ma che per vederli riconosciuti burocraticamente come tali, non devono semplicemente presentarsi all'anagrafe, come qualsiasi coppia eterosessuale, ma adottarli.

Serena, nel video che ha postato su Instagram cerca, come ogni genitore, di curare le ferite della sua bimba, spaventata da parole complesse che ancora non conosce: "Devo solo andare dal giudice a dire che Micol è la mia bimba e io la sto crescendo e lei mi vuole bene" le dice mentre la piccola, impaurita, le chiede chi è il giudice, temendo che quest'uomo impedisca alla sua mamma Serena che la cresce, accudisce e ama come qualsiasi altro genitore di essere la sua mamma. "Sai Micol, è una paura che abbiamo tutti, ma ti assicuro che stiamo facendo il possibile perché nessun giudice dica no a una mamma o a un papà" spiega Serena dondolando la sua bimba sulle ginocchia. Serena e Giada ci hanno raccontato cosa significa per loro essere due mamme, le sfide che vivono quotidianamente e l'importanza di raccontarle perché le altre famiglie capiscano quanto sia importante combattere insieme perché un giorno tutte le famiglie abbiano lo stesso valore davanti alla legge.

Partiamo dal principio, mi raccontate come è iniziata la vostra storia?

Giada: Noi ci siamo conosciute 14 anni fa, in un locale, e descriverei quel primo incontro come un colpo di fulmine. Io avevo 23 anni, Serena 27 eppure in lei era già fortissimo il desiderio di maternità, ricordo che ne parlavamo spesso ai primi appuntamenti. Io ci ho messo un po’ a condividere questo progetto di vita, perché ero molto giovane, ma accorgendomi giorno per giorno che la convivenza andava benissimo, ho iniziato a dare forma al suo desiderio che è così diventato anche il mio e poi il nostro.

È stato complesso scoprire come sareste potute diventare mamme?

Giada: Siamo partite con un grande vantaggio, Serena è un’infermiera e questo le ha permesso di avere delle conoscenze di base. Sapevamo che per noi era possibile fare un’inseminazione artificiale ma non in Italia, dunque abbiamo visto diversi documentari americani e alla fine abbiamo optato per la Spagna, terra di cui conoscevamo meglio la lingua e più semplice da raggiungere dall’Italia. Cercando più approfonditamente abbiamo scoperto la ROPA, tecnica che prevede la donazione degli ovuli all’interno della coppia. Abbiamo scelto questa tecnica per mettere in difficoltà lo Stato italiano, dal momento che sapevamo che alla nascita di un figlio sarebbe stata riconosciuta come madre solo la partoriente. Al contempo ci eravamo messe in contatto con famiglie arcobaleno, prendendo un po’ di informazioni anche da lì, dopo qualche mese siamo partite per la Spagna abbiamo fatto la ROPA e al secondo tentativo sono arrivati Thomas e Leonardo, tramite una mia donazione di ovuli che ha portato in grembo Serena.

Come ha funzionato il riconoscimento dei vostri figli all’anagrafe?

Giada: Il loro riconoscimento all’anagrafe di Thomas e Leonardo non lo abbiamo avuto subito, perché mancava proprio una legge a riguardo, dunque inizialmente sono stati riconosciuti solo come figli di Serena. Qualche anno dopo abbiamo fatto ricorso in tribunale contro la decisione del Comune e abbiamo ottenuto il riconoscimento anche da parte mia dei nostri figli.

Serena: Subito dopo la sentenza che abbiamo ricevuto è arrivata anche la sentenza della Corte di Cassazione che sosteneva che a prescindere dal legame biologico le coppie di donne o uomini non potevano riconoscere entrambe il figlio, ma bisognava passare per le adozioni per casi particolari. Infatti, per la nostra terzogenita, Micol, nata dopo, è stato proprio così.

Giada: Micol, poi, è nata tramite l’inseminazione artificiale e non il metodo ROPA, dunque lei non ha alcun legame biologico con Serena, perché ho portato avanti io la gravidanza, grazie al seme dello stesso donatore dei suoi fratelli. Dunque i nostri figli hanno lo stesso patrimonio genetico. Ho riconosciuto solo io Micol alla nascita, speravamo, infatti, che o il governo emanasse una legge che ci permettesse di riconoscerla come figlia di entrambe o che il Comune, visto che aveva già riconosciuto i nostri due figli come figli di entrambe, facesse lo stesso anche con lei, ma non è successo. Abbiamo atteso gli anni necessari agli assistenti sociali per attestare che noi anche a livello burocratico siamo una famiglia e oggi abbiamo dato al nostro avvocato il mandato di procedere con la richiesta al tribunale dei minori di Bologna per l’adozione in casi particolari. Micol dunque avrà il doppio cognome e abbiamo chiesto che anche i suoi fratelli possano averlo, così che anche sulla carta siano tutti uguali.

Credits: profilo ig di @duemmmetrefigli
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Micol nel video che avete postato sui social sembra molto spaventata, da parole che non conosce ancora bene. Quanto è importante per voi raccontare ai vostri figli la loro storia e come sono nati?

Giada: È sempre stato fondamentale, infatti abbiamo sempre raccontato loro fin da piccoli, con dei libri, perché hanno due mamme e come sono stati concepiti. Abbiamo parlato loro di un semino che è stato donato alle loro mamme da un dottore in Spagna, per renderli consapevoli della loro storia fin dal principio. Ovviamente quando sono troppo piccoli non si può dire loro che una di noi non è burocraticamente la loro mamma, altrimenti rischieremmo di spaventarli, ma è importante che conoscano la loro storia crescendo. Esattamente come è essenziale conoscere le sue origini per un bambino adottato, seppur i traumi siano diversi, si tratta sempre di un tradimento non raccontare loro la verità fin dalla loro nascita.

Serena: Poi per i nostri figli, fin da quando si approcciano alla scuola dell’infanzia, è lampante che la loro famiglia è diversa da quella della maggior parte dei bambini che incontrano durante il loro percorso. Quando vengono inseriti in una comunità, come l’asilo e i bambini si trovano ad interfacciarsi con altri bambini, giocando anche a far finta di fare la mamma o il papà, è fondamentale che conoscano nel dettaglio la loro famiglia. Se non raccontassimo loro la nostra storia si sentirebbero diversi e sbagliati, oggi invece hanno in mano gli strumenti che gli permetteranno di capire, di non farsi discriminare e non discriminare a loro volta.

Come si fa a raccontare a dei bambini per cui la loro famiglia è normalissima, che per lo Stato non è invece uguale alle altre?

Giada: non è semplice, i discorsi vengono fuori ogni volta che noi ci battiamo per il loro riconoscimento. Abbiamo cercato di dire loro che sui documenti era segnalata una sola delle loro mamme ma che era importante ci fossimo entrambe, è complesso anche spiegare loro che si tratta di qualcosa di burocratico e non di affettivo.

Serena: non è semplice alleggerire questa situazione ai bambini, bisogna dire loro che si tratta di una situazione burocratica che non cambia in nulla il nostro amore per loro.

Come vi sentite ad essere due madri che amano i loro figli, ma che devono passare per un’adozione per essere riconosciute nel ruolo che in realtà ricoprite tutti i giorni?

Giada: è fortemente discriminante, soprattutto se si pensa che per una coppia eterosessuale, invece, è estremamente semplice, basta presentarsi davanti ad un messo comunale e chiedere di poter riconoscere un bambino.

Serena: è stressante, ma il problema inizia prima, per le coppie omogenitoriali non è previsto un matrimonio egualitario, con l’unione civile non è previsto che i figli siano riconosciuti per entrambi i genitori all’interno della coppia.

Vi sentite da meno rispetto ai genitori dei compagni di classe dei vostri figli?

Giada: Assolutamente no, anzi a volte ci sembra di fare inconsciamente il doppio della fatica perché dobbiamo sempre dimostrare qualcosa a qualcuno.

Voi parlate di una sofferenza gratuita che lo stato infligge ai vostri figli e a molti altri bambini, sentite che la vostra famiglia ha un trattamento diverso rispetto alle altre?

Serena: Sì, perché anche a scuola, per esempio, nonostante nessuno ci abbia mai fatto storie, mi sembra sempre che ci trattino con i guanti, come se avessimo bisogno (noi e i bambini) di essere trattati in maniera diversa, ma non è così. Serve solo che tutti si rispettino.

Giada: Anche perché i nostri figli non hanno niente di diverso, tra le condizioni di bambini che vivono con un solo genitore, con i nonni, che si spostano tra le abitazioni dei genitori separati, i nostri figli hanno due genitori che hanno lo stesso sesso ma li amano e li crescono insieme, essendo presenti per loro.

Credits: profilo ig di @duemmmetrefigli
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Cosa direste a chi si arroga il diritto di decidere per gli altri chi può diventare genitore e chi no?

Serena: Sembra sempre che a decidere per gli altri siano le persone meno indicate, chi fa le regole non è sempre chi ne vive poi l’applicazione. Se ci pensiamo i politici di oggi vivono condizioni personali di famiglie anche destrutturate o comunque diverse, eppure non fanno che battersi per una famiglia tradizionale, in cui ci siano una mamma e un papà. Servirebbe più coerenza tra le parole e ciò che si fa nella vita e più empatici, comprendendo che ognuno è diverso. Bisogna capire che ognuno ha la sua particolarità e bisogna comprenderle tutte.

Cosa direste a una coppia che desidera intraprendere un percorso come il vostro?

Giada: di farlo, capisco perfettamente chi ha paura o chi decide di trasferirsi all’estero pur di sentirsi libero, ma se sentono questo desiderio di genitorialità non si devono fermare. Al dopo si penserà giorno per giorno.

Serena: Anche perché se ci si preclude la possibilità di riconoscersi in un proprio progetto di vita, precludendosi un desiderio di maternità, o di riconoscersi in un progetto, si vivrà per sempre con il rimorso. Se si sente che il momento giusto è adesso, la politica può anche non essere pronta ma non importa.

Perché avete deciso di condividere il video in cui la vostra bambina scopre che servirà un’adozione in casi particolari perché sia riconosciuta dallo stato come figlia di due mamme?

Giada: sono stata molto indecisa sulla pubblicazione del video, perché è molto intimo, però il suo messaggio era troppo importante. Nella descrizione noi parliamo del male gratuito che lo stato fa a questi bambini, un trauma vero e proprio, che abbiamo voluto mostrare. Per certi argomenti non basta solo la nostra voce, si vede cosa causa in un bambino in un'età così precoce scoprire che le sue due mamme per legge non sono entrambe le sue mamme.

Serena: parlarne serve anche ad insegnare agli altri cosa viviamo sulla nostra pelle, che esistiamo e che viviamo tutti i giorni molte difficoltà.

Cosa sognate per i vostri figli?

Serena: che si possano realizzare come vogliono.

Giada: che trovino la loro strada, senza troppi inciampi o intoppi. Pensandoci poi, forse è quello che desiderano tutti i genitori.

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