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È giusto chiedere il parere dei bambini sulle scelte che li riguardano? La parola alla pedagogista

Nel corso dei processi educativi è giusto imporre il rispetto dei ruoli, ma ciò non significa che l’autorità non debba mostrarsi aperta al dialogo e al confronto. La pedagogista Francesca Antonacci ha spiegato a Fanpage.it l’importanza della relazione tra bambini e adulti: “É nello scambio delle idee che si manifesta il successo di un educatore”.
Intervista a Francesca Antonacci
Professoressa ordinaria di Pedagogia dell’Università degli Studi Milano Bicocca 
A cura di Niccolò De Rosa
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La recente scelta dell'istituto comprensivo di Palermo di indire un referendum per consentire agli studenti di decidere sull’obbligatorietà del grembiule rappresenta un esempio concreto di educazione condivisa. In questo modello, l’autorità non impone dall’alto, ma si apre all’ascolto e alla partecipazione, riconoscendo il valore del confronto e della responsabilità anche tra i più piccoli. Un approccio che riflette un cambiamento nella pedagogia moderna, sempre più orientata al dialogo.

Intervistata da Fanpage.it per approfondire questa scelta e comprenderne i benefici, la professoressa Francesca Antonacci, docente di Pedagogia all’Università degli Studi Milano Bicocca, ha espresso tutto il proprio favore nei confronti dell'iniziativa della scuola palermitana.

"Dare voce agli studenti è importantissimo, dai bambini più piccoli della fascia 0-3 anni agli adolescenti del liceo", spiega Antonacci. "Se un tempo l’educazione veniva strutturata in un modo frontale, dove chi aveva la conoscenza la trasmetteva unidirezionalmente a chi non la possedeva, oggi la Pedagogia è molto più sensibile al tema della partecipazione. Ma questa non è mica una novità..."

Dunque ritiene giusto che la scuola ascolti anche i più piccoli?

Tutti i grandi maestri del passato hanno sempre coinvolto i propri allievi nel processo d’apprendimento. Da Socrate in poi, i migliori insegnanti hanno sempre discusso e dialogato con gli studenti. Senza il coinvolgimento di entrambe le parti non esiste trasformazione. Questo vale anche per lo stesso insegnante: il docente che non si mette mai in gioco non cambia e rimane un ripetitore di nozioni. E un domani questo non sarà più utile.

Francesca Antonacci (Professoressa di Pedagogia presso l'Università degli Studi Milano Bicocca)
Francesca Antonacci (Professoressa di Pedagogia presso l'Università degli Studi Milano Bicocca)

Cosa intende?

In futuro il compito di trasmettere e ripetere informazioni verrà assolto – come in parte sta già succedendo – dalla tecnologia e dal mondo digitale. L’essere umano dovrà dunque puntare sempre di più sul suo grande vantaggio, ossia la costruzione di una relazione autentica. Come ci ha ricordato un grande pedagogista brasiliano, Paulo Freire, non si può educare da soli, ma si può generare crescita e apprendimento solo all’interno di una relazione. La scuola che non dà voce agli studenti, pertanto, non può creare alcun cambiamento positivo.

Ma un bambino come può sapere cosa è meglio per lui?

Questa domanda parte dall’idea che i bambini non siano soggetti, ma dei piccoli adulti che mancano di qualcosa. Soggetti privi di un’identità definita che devono essere riempiti di nozioni per completarsi. È però una convinzione del tutto sbagliata e fuorviante. Le persone con disabilità non sono dunque soggetti perché mancano di alcuni mezzi che riteniamo fondamentali? Le persone che hanno studiato di meno non hanno mai diritto di parola? È un atteggiamento che, nelle sue degenerazioni, sta portando la società a fenomeni come il populismo, il razzismo e il sessismo. Ogni bisogno va invece rispettato e ascoltato. Perché un bambino non dovrebbe sapere cosa è meglio per sé? È una follia del mondo adulto.

Ci sono però delle regole che vanno imposte?

La presenza di una relazione non significa che non debbano esserci i ruoli. I ruoli sono fondamentali nella società: uno studente non può dirigere una scuola, né un bambino può dettare legge in casa. Ma tale situazione non implica un rapporto d’inferiorità da parte di chi “subisce” l’educazione.

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Come trovare il giusto bilanciamento?

Si può lavorare bene insieme pur mantenendo i ruoli. L’adulto investito di una responsabilità deve certamente trasmettere il rispetto delle regole e delle norme del vivere comune, ma ciò non significa che debba decidere ogni aspetto della vita del bambino. Pur rimanendo all’interno delle regole, i più piccoli devono avere lo spazio di esprimersi e, perché no, di contestare, di negoziare alcuni punti. Poi ci sarà sempre qualcuno che decide, sia esso il genitore che stabilisce l'orario per ritornare a casa la sera, o l’insegnante che fissa un comportamento da seguire, ma è nello scambio di idee e opinioni che si gioca il successo educativo. Qualunque potere deve giustificare le sue scelte e questo crea l’autorevolezza.

Lei è favorevole ai grembiuli?

Dipende dai contesti. In alcuni casi va benissimo, in altri può essere devastante. Ben venga dunque il referendum indetto dalla scuola di Palermo, perfetto esempio di come si dovrebbe ascoltare le esigenze di una comunità che impara a percepirsi come tale.

C’è qualcosa su cui non può esserci mai confronto tra bambini ed adulti?

Domanda complessa, ma escludendo ovviamente tutto ciò che va contro la persona o la relazione. Gli assoluti fanno a cazzotti con l’educazione.

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