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Disturbo esplosivo intermittente nei bambini, l’esperto fa chiarezza: “Non è un problema di gestione della rabbia”

Lo psicoterapeuta Giuseppe Salzillo spiega a Fanpage.it come il disturbo sia una vera e propria patologia, non ascrivibile a problemi caratteriali o disagi adolescenziali: “la diagnosi è complicata e i trattaementi devono essere adeguati”
Intervista a Giuseppe Salzillo
Psicologo e psicoreapeuta
A cura di Niccolò De Rosa
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Disturbo esplosivo intermittente, l'esperto fa chiarezza

I disturbi del comportamento non sono semplici sfumature del carattere di un individuo, ma serie condizioni psicologiche che incidono notevolmente sulla qualità della vita di che ne è soggetto. Confondersi è piuttosto facile, eppure è cruciale che una famiglia riesca ad inquadrare il prima possibile le eventuali cause dietro una situazione che potrebbe rivelarsi decisamente problematica.

Il disturbo esplosivo intermittente è, per esempio, una grave patologia mentale che comporta violenti e improvvisi episodi di aggressività sia verbale che fisica. Di solito i primi episodi iniziano a manifestarsi durante l'infanzia e l'adolescenza e ciò può portare gli adulti a sottovalutare – almeno all'inizio – la portata del problema, etichettando simili atteggiamenti come turbolenze dettate dalla crescita.

"Si tratta effettivamente di un disturbo che ha una classificazione complicata" spiega a Fanpage.it lo psicoterapeuta Giuseppe Salzillo.

"Innanzitutto è importante specificare che benché la condizione si manifesta con accessi d’ira violenti e dirompenti, la rabbia non è la vera protagonista di quanto accade nel paziente. La rabbia è un’emozione sana, mentre in questo caso si tratta di un’altra tipologia di aggressività, impulsiva e incontrollabile, che nulla ha a che fare con la gestione della collera.

Di cosa stiamo parlando?

Si tratta di un disturbo molto complesso da decifrare. Innanzitutto è importante specificare che, benché la condizione si manifesti con accessi d’ira violenti e dirompenti, la rabbia non è la vera protagonista di quanto accade nel paziente. La rabbia è un’emozione sana come le altre, mentre in questo caso essa diventa espressione di aggressività, impulsiva e incontrollabile, che nulla ha a che fare con la cattiva gestione della collera causata da un torto subìto.

Cosa caratterizza il disturbo?

Oltre alle esplosioni di aggressività verbale e fisica che si manifestano quasi senza senso o per motivi futili, manca cioè la premeditazione o il raggiungimento di uno specifico scopo, la particolarità riguarda il fatto che dopo simili episodi il soggetto manifesta un marcato disagio (senso di colpa? di vergogna?) per quanto accaduto.

Quali conseguenze comporta?

Purtroppo, come molti disturbi simili, questa condizione compromette gravemente la vita del soggetto nella sfera sociale, familiare, relazionale e anche lavorativa oltre a causare spesso problemi giudiziari.

Ha in mente un esempio che possa spiegare la dirompenza di questi episodi?

Una volta, quando lavoravo in una struttura, un ragazzo cominciò improvvisamente a devastare una cucina, lanciando tavoli e sedie, in seguito ad una telefonata con la mamma. Nessuno ha mai capito perché. Dopo lo sfogo il giovane ha mostrato un certo disagio, una specie di senso di vergogna, ma dopo pochi minuti si era messo pacatamente a mangiare come se nulla fosse successo.

C’è modo di prevedere questi accessi d’ira?

No, ed è proprio questo il cuore del problema. I ragazzi che soffrono del disturbo sono soggetti all’impulsività e quando diventano aggressivi non lo fanno per raggiungere uno scopo o reagire a una provocazione. Le cause di queste esplosioni non sono da ricercare soltanto in un elemento esterno, ma in qualcosa che giace nei meccanismi psichici del paziente.

Perché è complicato diagnosticare questo disturbo?

La fenomenologia di questo disturbo è comune a quello di tanti altri disturbi – come l’autismo, l’ADHD o il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente e altri –e spesso chi ne soffre manifesta una comorbilità con altre condizioni (disturbo depressivo, d'ansia, da uso di sostanze). Per fare una diagnosi quindi bisogna prima sbrogliare la matassa e isolare le varie condizioni al fine di ottenere un quadro clinico completo.

Quando è più probabile che il disturbo si manifesti?

È difficile che si manifesti dopo i 40 anni. I primi episodi di solito si palesano nella tarda infanzia o adolescenza, tra i 6 e i 18 anni.

Giuseppe Salzillo
Giuseppe Salzillo

Come può un genitore accorgersi del disturbo?

Naturalmente, visto che la diagnosi rappresenta già una questione molto complessa per gli specialisti, è molto improbabile che una mamma o un papà possano sospettare nello specifico questo disturbo. Possono però intuire che c’è qualcosa che non va quando un bambino o un ragazzo risulta preda di questi accessi d’ira senza una motivazione che possa giustificare una tale reazione e con una certa frequenza: i manuali parlano di una media di due volte alla settimana per un periodo di tre mesi senza che ci siano danni a cose e persone, e almeno tre episodi in un anno con danneggiamento, distruzione e aggressioni fisiche.

Cosa possono fare i genitori per aiutare un figlio che soffre del disturbo?

Anche qui la questione è complicata. Spesso infatti, quando ad un ragazzo o una ragazza viene diagnosticata ufficialmente la condizione, egli è già stato preso in carico da terapisti e in casi particolarmente gravi, con il coinvolgimento de servizi sociali. Ciò però non significa che i genitori non possano fare nulla: innanzitutto possono proteggere il figlio dalle sue stesse reazioni per impedire che si faccia male. Alla violenza possono rispondere con una non-violenza che possa favorire un lavoro di sostituzione: dall’azione distruttiva a qualcosa di più vivibile, di meno “immediato”, aiutandolo a mettere in parola, a dare un nome a ciò che non riesce a dire e che prova a dire aggredendo.  Poi madri e padri possono farsi aiutare a loro volta da esperti e terapisti, visto che le conseguenze di situazioni come queste si ripercuotono inevitabilmente anche su di loro.

In che modo?

Accettare il fatto che quanto stia succedendo non sia un comportamento legato a bizze passeggere date dalla crescita, ma una malattia piuttosto seria, è già molto importante per imparare a scindere il figlio dal disturbo: chi soffre del disturbo non è malvagio o educato male, ma molto sofferente, dunque va aiutato.

Quali sono le terapie con cui si affronta questo disturbo?

Dipende dalla gravità e dalla disponibilità della famiglia nei confronti di un ruolo terapeutico. Spesso i farmaci sono necessari. Poi vi è da compiere un lungo lavoro per mettere il paziente nelle condizioni di tradurre la spinta distruttiva in una “lingua” meno devastatrice per trasformare quell'impulsività in una domanda d’aiuto. Dopotutto quando un ragazzo in preda ad una crisi inizia a spaccare tutto, sta già esprimendo un disagio, ma lo fa con il corpo piuttosto che con la parola. Non è un percorso semplice, ma è l’unica strada percorribile.

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