Cos’è meglio fra i giudizi sintetici o descrittivi alla scuola primaria: la risposta del pedagogista
Con la firma all'ordinanza che ufficializza l'entrata in vigore della nuova riforma della Scuola, il Ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara ha definito i nuovi criteri di valutazione per gli studenti italiani, confermando il ritorno dei giudizi sintetici nella scuola primaria che verranno espressi con valori da "Ottimo" a "Non sufficiente".
Tale ritorno al passato (i giudizi sintetici erano stati accantonati nel 2008, sostituiti prima dai voti numerici e poi dai giudizi analitici introdotti dalla riforma Azzolina) è stato salutato con una certa diffidenza da parte di pedagogisti ed esperti di educazione, i quali temono che la riforma possa riproporre un modello di istruzione che privilegia la misurazione rispetto alla comprensione, trascurando il valore della valutazione come strumento di supporto al percorso scolastico.
Ma per quale motivo il voto o un giudizio sintetico come "Buono" o "Distinto" non rappresenta un valido sistema per restituire ai bambini e alle loro famiglie quanto appreso dagli allievi? Fanpage.it lo ha chiesto a Cristiano Corsini, docimologo (ossia uno studioso dei metodi di valutazione e misurazione dei risultati) e docente ordinario di Pedagogia Sperimentale e Valutazione Scolastica all’Università Roma Tre.
"Il voto serve a stilare graduatorie, non a migliorare gli apprendimenti" ha dichiarato Corsini, il quale ha però sottolineato come la riforma promossa da Valditara sia contraddistinta anche da alcuni aspetti degni di nota.
Professore, come giudica la nuova riforma scolastica: un passo avanti o un passo indietro?
Ci sono alcuni aspetti decisamente scoraggianti ma, contrariamente alle mie aspettative, anche lati molto positivi. Certo, sono tornati i voti tradizionali – Ottimo, Buono, Distinto… – che di per sé non descrivono l’apprendimento né servono a migliorarlo. Un altro aspetto negativo è poi la scomparsa dell’obbligatorietà di fare riferimento agli obiettivi raggiunti ai ragazzi.
Cosa comporta questa scelta?
Il voto torna ad essere “spalmato” in maniera generica su tutta la disciplina, senza tenere conto della specificità. Invece uno studente alle prese con Italiano può lavorare bene nella comprensione del testo e magari avere difficoltà nella produzione scritta. Perché questa complessità non dovrebbe essere riportata in una pagella?
Perché il voto non fa il bene dei bambini?
Prima di tutto è bene chiarire con è che io come pedagogista ce l’abbia contro il voto in sé. Infatti, il voto ha una chiara utilità burocratica e classificatoria. Le istituzioni hanno l'obbligo di rendere conto il loro lavoro, dunque anche la scuola, a un certo punto dell'anno, deve per forza dire alla famiglia e allo Stato come è andato un certo alunno durante il proprio percorso formativo. Il voto serve però a rendicontare e classificare, non ha una funzione educativa e, soprattutto, non aiuta gli studenti a migliorare. Anzi, molto spesso il voto riproduce le differenze di partenza degli allievi e le legittima, mettendo gli studenti in fila, dal più bravo al meno bravo.
Come si potrebbe superare un simile ostacolo?
Serve un altro approccio alla valutazione che, paradossalmente, è quello raccomandato dalla stessa normativa. Tutte le circolari parlano di una finalità educativa della valutazione, che dovrebbe essere trasparente, formativa, e perfino improntata al raggiungimento di un'autovalutazione consapevole. Tutto questo però non lo fa il voto, ma il giudizio descrittivo, che dopo questa riforma rimane a discrezione dell'insegnante, almeno durante l'anno scolastico. In un mondo feroce e competitivo la scuola potrebbe raccontare come le cose sono state apprese, senza preoccuparsi di dare numeri o etichette. Capisco però che si tratta di uno scenario per alcuni versi utopico, ma se vogliamo che la scuola contribuisca a migliorare la società dal punto di vista valutativo non ci sono altre strade.
Cosa salva di questa riforma?
C’è stata molta più prudenza di quanto ci si aspettasse e alla fine è stata confermata una buona parte dell’impianto comprensivo precedente. Per mettere “Ottimo” o “Sufficiente”, ad esempio, l’ordinanza suggerisce che non basta una singola prova, ma occorrerà tenere conto della continuità di certi risultati e apprendimenti. Una linea coerente con l’impostazione precedente, che favorisce la visione d’insieme del percorso degli allievi. In più, la riforma ha lasciato agli insegnanti la libertà di continuare a valutare i ragazzi in itinere, senza per forza attenersi al voto tranciante e sintetico. Ciò significa che, durante l’anno, maestri e professori potranno continuare a valutare per obiettivi, informando progressivamente le famiglie dei miglioramenti o delle lacune che devono ancora essere colmate. Solo a fine anno tutto ciò dovrà essere tradotto con un voto in pagella. Insomma, c'è stato un passo indietro, ma almeno non sono stati due o tre…
I docenti sono dunque investiti di una grande responsabilità. Che sia arrivata l'ora d'investire sull'insegnamento?
Sarebbe fondamentale. Dovremmo iniziare a selezionare, formare e qualificare la classe docente dal punto di vista pedagogico e didattico, soprattutto nel comparto della scuola secondaria. Allo stesso tempo, però, gli insegnanti devono essere remunerati di più. Investire poco sulla professionalità delle persone significa abbassare la qualità del lavoro che svolgono: come si può pretendere di avere maestri e professori altamente preparati in ogni aspetto educativo e pagarli una miseria? Probabilmente è questo il primo passo che si dovrebbe compiere per costruire una scuola che sia veramente in grado di contribuire a migliorare il mondo che la circonda.