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Cos’è la sindrome di Sanfilippo, la malattia che causa l’Alzheimer dei bambini

La malattia è causata da un difetto genetico e comporta la rapida e progressiva perdita delle abilità cognitive e motorie, riducendo notevolmente l’aspettativa di vita dei bambini che ne sono soggetti. Al momento non esiste una cura ma sono in corso alcune terapie sperimentali.
A cura di Niccolò De Rosa
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Sindrome Sanfilippo - Alzheimer infantile

La mucopolisaccaridosi tipo III, conosciuta anche come sindrome di Sanfilippo è una rara malattia genetica metabolica che colpisce i bambini.

Cos'è la sindrome di Sanfilippo

Questa patologia appartiene al gruppo delle mucopolisaccaridosi, un insieme di disordini caratterizzati dall'accumulo anomalo di alcuni composti organici del gruppo dei glicosaminoglicani nei lisosomi, piccoli organuli presenti nelle cellule che hanno il compito di degradare le molecole.

Tale sovrabbondanza di glicosaminoglicani comporta un progressivo danneggiamento delle cellule del sistema nervoso, causando una graduale perdita delle capacità cognitive.

I bambini che ne soffrono infatti "dimenticano" rapidamente tutte le competenze motorie, linguistiche e comunicative che avevano appreso, sviluppando anche problemi comportamentali e disturbi del sonno. Per questo la sindrome viene definita anche "Alzheimer infantile".

La denominazione della malattia non ha alcuna correlazione con San Filippo o la tradizione cristiana, ma prende il nome dal pediatra Sylvester Sanfilippo che individuò per primo l'anomalia all'origine della sindrome.

La causa è genetica

La sindrome di Sanfilippo è causata da mutazioni in uno dei quattro geni (SGSH, NAGLU, HGSNAT, e GNS) che codificano gli enzimi specifici necessari per la degradazione dei glicosaminoglicani, in particolare dell'eparan solfato.  Chi sviluppa il difetto genetico dunque, manca dell'enzima necessario a degradare questo eparan solfato, che quindi continua ad ammassarsi nei tessuti del corpo.

Sindrome di Sanfilippo

A seconda del gene coinvolto, la malattia si suddivide in quattro diversi sottotipi (A, B, C, D), ma i sintomi sono molto simili tra loro.

Come ricorda l'Ospedale Bambino Gesù, questa tipologia di condizione rientra nel novero delle malattie ereditarie e nella maggior parte dei casi i genitori sono i portatori sani (ossia presentano il'anomalia del gene ma non sviluppano la sindrome) e a ogni concepimento presentano il 25% di possibilità di trasmettere la malattia ai figli.

I sintomi a cui prestare attenzione

I segnali che possono far sospettare la presenza della sindrome solitamente non sono evidenti fin dalla nascita, ma iniziano a manifestarsi durante la prima infanzia, al raggiungimento dei 3-4 anni d'età.

L'Istituto Beck identifica tra i sintomi più comuni:

  • Ritardo nello sviluppo: i bambini iniziano a mostrare un ritardo nelle abilità motorie e linguistiche.
  • Disturbi del comportamento: fenomeni come iperattività, aggressività o difficoltà nel dormire sono elementi frequenti della malattia.
  • Declino cognitivo: progressivamente, i bambini perdono le abilità acquisite, come parlare e camminare.
  • Caratteristiche fisiche: possono includere tratti facciali piuttosto marcati, ingrossamento del capo, labbra piene, sopracciglia folte e crescita eccessiva dei peli (irsutismo).

Con il progredire della malattia poi, la maggior parte dei bambini affetti sviluppa gravi problemi neurologici, tra cui convulsioni, rigidità delle articolazioni e deterioramento della funzione motoria, portando infine a una disabilità grave e alla morte prematura, entro la seconda o la terza decade di vita.

Diagnosi

La diagnosi della sindrome di Sanfilippo è complessa e richiede una combinazione di test clinici e genetici. L'analisi delle urine può rivelare livelli elevati di glicosaminoglicani, ma occorre che il piccolo paziente venga sottoposto a test enzimatici specifici e analisi genetiche per diagnosticare con certezza la malattia e identificare le mutazioni nei geni associati.

Al momento non c'è una cura

Attualmente, non esiste una cura per la sindrome di Sanfilippo e le terapie consistono nel trattamento dei sintomi e nel supporto costante per migliorare il più possibile la qualità della vita dei bambini attraverso fisioterapia, terapia occupazionale e comportamentale.

La moderna ricerca sta testando alcune vie sperimentali che consistono nella sostituzione degli enzimi mancanti e nella correzione del difetto genetico, tuttavia gli scienziati ritengono che serviranno ancora anni e nuovi investimenti per poter giungere ad un esito risolutivo.

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