Cos’è la sindrome del “nido vuoto”, la difficoltà dei genitori ad accettare che i figli se ne vadano di casa
La sindrome del nido vuoto, come suggerisce il suo nome molto evocativo, è una forma di disagio psicologico che alcuni genitori possono manifestare quando i figli, ormai adulti, lasciano la loro abitazione per motivi legati a studio, scelte di vita o di lavoro.
Diversa dalla nostalgia, per durata ed intensità, la sindrome del nido vuoto si sta sempre più sviluppando tra i genitori statunitensi che tendono ad affidarsi a figure motivazionali, divenute famose sui social che si fanno chiamare empty nest coach. Proprio come degli allenatori nelle loro didascalie social si leggono frasi come “aiuto i genitori ad apprezzare il momento in cui loro figlio esce di casa”, “consigli per le mamme che stanno affrontando l’ultimo anno di scuola dei figli, prima che partano per il college” , “Ti aiuto a continuare a vivere la tua vita, una volta che i figli saranno volati via dal nido”, ma ci sono davvero poche informazioni sulle loro competenze.
Secondo la psicoterapeuta Benedetta Mulas questa tendenza è dovuta al fatto che iniziare un vero e proprio percorso di psicoterapia spesso spaventa le persone, che preferiscono quindi affidarsi a figure che promettono di risolvere in breve il problema: "Affidarsi ai coach è come quando si copre con la vernice una macchia di umido su una parete, si risolve parzialmente il problema, perché prima o poi l'umido, che sono i traumi delle persone, vengono fuori nuovamente, in altri contesti".
La sindrome del nido vuoto è diffusa anche nel Belpaese e con la psicoterapeuta Mulas abbiamo indagato le caratteristiche del disturno e i modi per poter tornare a vivere serenamente l'uscita di casa di un figlio.
Cos’è la sindrome del nido vuoto?
È un insieme di emozioni e pensieri negativi che coinvolgono i genitori all’uscita dei figli dal sistema familiare, quando ormai sono diventati adulti e seguono dunque il loro bisogno di indipendenza. È un evento tipico del ciclo di vita familiare, al pari della nascita di un figlio, o della formazione di una coppia, ma che può diventare critico e difficile per un determinato tipo di sistema familiare.
Come si affronta nello studio dello specialista la sindrome del nido vuoto?
Le strade sono diverse, anche perché il problema potrebbe essere della coppia o presentarsi in maniera diversa in ciascun individuo. In psicoterapia familiare questo evento luttuoso del sistema familiare si affronta lavorando sul sistema stesso. Si lavora quindi su entrambi i genitori, cercando di capire cosa sta accadendo alla famiglia e quali risorse devono essere riorganizzate per affrontare il momento.
Se invece si lavora solo su uno dei due membri, che più dell’altro sviluppa questa problematica, in psicoterapia individuale si ricercano le cause nella storia personale del genitore che gli impediscono di vivere l’allontanamento del figlio come una sua conquista di autonomia e una cosa sana.
Qual è la differenza tra nostalgia e sindrome del nido vuoto?
Credo innanzitutto il tempo, oltre i 3-6 mesi di normali pensieri di mancanza e nostalgia, che portano il genitore a sentire la casa vuota, si può iniziare a mobilitarsi per capire che la crisi sta dicendo qualcosa alla persona. A questo punto si può mettere quel dolore, sotto cui si cela sicuramente molto altro che va ben oltre la dipartita del figlio, sotto lo sguardo di uno specialista.
Qual è il rischio di lasciare inascoltati i segnali della sindrome del nido vuoto?
Il rischio è che la sindrome, a seconda della struttura della persona, arrivi a livelli di sintomatologia grave, come aspetti ansiosi e depressivi, nel peggiore dei casi, può evolvere in effetti psicotici di non contatto con la realtà, che sono significativamente più importanti.
Ci sono dei fattori che predispongono i genitori alla sindrome del nido vuoto?
Sì, spesso si tratta di genitori che devono riscoprire se stessi, al di là del loro ruolo di mamme o papà. Questi genitori devono riorganizzare la propria vita con altri obiettivi che non siano solo legati alla crescita del figlio, ci sono situazioni invece in cui l’adulto manifesta la sindrome del nido vuoto perché ha vissuto traumi o abbandoni sui quali non ha mai lavorato e che quindi non ha mai davvero superato.
In America spopolano figure come i coach per superare la sindrome del nido vuoto, è sintomo di una fragilità genitoriale?
In realtà credo sia sintomo di una fragilità individuale, una difficoltà della persona che fatica a viversi come responsabile di sé e di ciò che sente. Anche di una difficoltà di pensiero ed elaborazione che spinge ad appoggiarsi a qualcosa che sembra una bacchetta magica ed è meno spaventoso e faticoso di una terapia o di una psicoanalisi che va invece a toccare il dolore di ognuno.
Sì penso sia faticoso e fuori moda analizzarsi nel profondo, quindi si cerca una dimensione risolutiva facile e che non implica andare a toccare parti di sé.
Quali sono i rischi di mettere la propria situazione psicologica in mano a chi offre corsi ma non ha le giuste competenze?
Io uso spesso una metafora: quella della macchia di umido, che si può coprire con della vernice, ma poi il muro rigetterà fuori quell’umido. Quindi nell’immediato, dal momento che ci stiamo muovendo verso una forma di guarigione, verso l’analisi di noi stessi, si attivano buone energie anche quando si va da questi coach, il rischio è che ci sia un effetto catartico di miglioramento solo apparente, perché il muro, che è poi il profondo degli esseri umani, non si cura davvero. Se non si curano davvero i traumi, però, salteranno fuori in altre forme e in altri modi col tempo.
E che impatto ha la sindrome del nido vuoto sui figli?
Un figlio deve vivere la sua vita, perché stato messo al mondo con questo diritto inalienabile. Certo, in questa circostanza può non essere facile, perché il genitore che ha tanto di irrisolto dentro di sé, non avrà favorito neanche prima dell’uscita di casa suo figlio, colpevolizzandolo (anche se in maniera inconscia) per i suoi momenti di autonomia. Quindi al massimo può spingere il genitore a farsi aiutare, o chiedere aiuto a sua volta.