Cosa sono le cure palliative pediatriche: “In Italia non si accetta che i bimbi possano morire”
L'Italia ha un grosso problema con le cure palliative pediatriche. Nel nostro Paese solo il 15-18% dei bambini, che non guariranno dalla malattia che è stata loro diagnosticata, ha accesso alle cure che potrebbero allungargli la vita e migliorare la qualità della sua esistenza e di tutta la sua famiglia.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Franca Benini, Direttore scientifico della fondazione Maruzza ETS e Professoressa del Dipartimento di Salute donna-bambino dell'Università di Padova di spiegarci perché, a 14 anni dalla legge n.38 del 2010, che ha individuato l'esistenza dei bisogni dei pazienti terminali pediatrici e la necessità di trovare una risposta specifica per le loro esigenze, nel Bel Paese 7 regioni non abbiano strutture o personale dedicato alle cure palliative pediatriche.
«C'è un grosso problema organizzativo, le strutture sanitarie si stanno a poco a poco attrezzando ma non erano pronte, il tutto si inserisce in un contesto sociale problematico: le persone preferiscono non immaginare nemmeno che i bambini muoiano e dunque evitare di affrontare il problema».
Cos’è la terapia del dolore?
La terapia del dolore è il controllo di tutto il dolore che provano i bambini, e che spesso viene svalutato, perché se un bambino piange si pensa sia normale che pianga, oppure perché si ha paura che utilizzando i farmaci contro il dolore nei bambini si verifichino degli effetti collaterali pericolosi. Eppure la prevalenza del sintomo è elevatissima, l’80% dei ricoveri in ospedale è di bambini che provano dolore, il 60% degli ingressi in pronto soccorso è per il dolore e dal 40 al 50% delle visite ambulatoriali del pediatra di famiglia e dell’ospedale le famiglie si recano per il dolore del bambino. Nonostante dunque sia un sintomo prevalente, gli si da poca attenzione e poco trattamento, questo dolore dovrebbe essere gestito sia dal medico di famiglia, sia un team fatto da medici, psicologi e fisioterapisti che in un centro di riferimento delle cure palliative.
Cosa sono invece le cure palliative?
Le cure palliative invece sono le cure rivolta ai bambini che hanno una malattia per ora senza prospettiva di guarigione, che hanno tanti bisogni complessi, difficoltà a mangiare, a respirare, a comunicare, a muoversi, dolori, convulsioni e una malattia che li porta a rischio di aggravamenti continui o alla morte. Ma non bisogna pensare che le cure palliative siano le cure per il bambino che sta per morire, iniziano molto prima. Inoltre una caratteristica delle cure palliative è che non prendono in carico solo il bambino ma anche tutta la sua famiglia. Infatti nel 99% dei casi le cure palliative si svolgono a casa, l’ospedale o l’hospice pediatrico è solo un momento per gestire meglio la parte a domicilio, perché le cure palliative vogliono migliorare la sua qualità di vita garantendogli, nonostante la malattia, di andare a scuola, di mangiare con la sua famiglia.
In che senso si prende in carico anche la famiglia?
Un bambino che ha una malattia inguaribile non può essere costantemente seguito in ospedale, dunque a seguirlo è un genitore, più nello specifico nel 90% dei casi è la madre, che perde il lavoro. È evidente che nel caso di una malattia cronica oltre ai problemi clinici del bambino che deve gestire la sua famiglia, ci sono quelli psicologici, spirituali e bioetici, che ricadono sulla famiglia.
Pensiamo cosa significhi anche per la mamma, il papà e i fratelli, convivere con un bambino che non guarirà mai. Sono proprio i familiari che con l’aiuto di medici, infermieri e personale sanitario, gestiscono i sintomi, sempre loro vivono grossi problemi di carattere psicologico e sociale perché la famiglia spesso si sgretola, ha minor ingresso di risorse economiche e non riesce più a credere nel futuro. La famiglia inoltre si fa moltissime domande e si trova a prendere decisioni difficilissime da sola, per esempio deve scegliere se attaccare il figlio alle macchine, per questo si parla di una presa in carico d’insieme del paziente e della sua famiglia.
Perché in Italia così pochi bambini hanno accesso alle cure palliative?
Le cure palliative sono una parte modernissima della pediatria, fino a poco tempo fa i bambini che necessitavano di queste cure semplicemente morivano. Oggi grazie alla tecnologia molti bambini sopravvivono attaccati alle macchine e hanno dato vita così a una nuova tipologia di pazienti. Quindi i motivi sono innanzitutto la mancanza di formazione a riguardo, la poca organizzazione che però si inseriscono in un contesto sociale di rifiuto del dolore del bambino e della sua morte. La società preferisce dunque rifiutare il problema, piuttosto che affrontarlo.
In che senso c’è un rifiuto sociale?
Perché quando viene detto che i bambini muoiono o si vedono immagini di bambini terminali attaccati alle macchine, se inizialmente l’impatto emotivo è fortissimo, poi si tende a volerli immediatamente dimenticare. Si fa fatica a pensare che un bambino possa non guarire o possa morire, c’è proprio una chiusura sociale quando si parla di questo tema, sia a livello di chi fa informazione che a livello di chi fruisce dell’informazione e non vuole leggere di bambini che moriranno. Parlare di morte è sempre difficilissimo ma quando si parla di bambini si fa anche fatica ad usare la parola morte preferendo “è mancato, non ce l’abbiamo fatta”. La frase che sentiamo dire più spesso dai genitori è proprio “Finché non è toccato alla mia famiglia, mai avrei pensato esistessero questi problemi”.
Cosa ha cambiato l’introduzione della legge 38 del 2010?
La legge ha focalizzato il problema e ha messo per iscritto che il bambino è diverso dall’adulto, perché ha dei bisogno e delle caratteristiche diverse rispetto al paziente adulto. Ha messo anche in luce i bisogni del bambino e la necessità di organizzare un sistema di risposta ai bisogni del bambino e della sua famiglia del tutto nuovo. In questi 14 anni la legge ha portato avanti diversi documenti che hanno confermato la necessità della differenziazione dei bisogni e delle risposte.
Cosa è emerso dallo studio PalliPed che avete svolto riguardo le cure palliative per i bambini a livello nazionale?
Ne è emersa un’eterogeneità organizzativa drammatica nelle varie regioni, questo è contro l’equità della risposta. Se il nord-est è privilegiato, il sud Italia non ha nulla per quanto riguarda le cure palliative. Poi a 14 anni dalla legge 7 regioni non hanno attivato la rete per le cure palliative e dal punto di vista organizzativo è drammatico.
Il personale che invece lavora nelle reti attive è pochissimo, poco meno di 50 medici. Il resto del personale ha una quota di presenza minimale. L’accessibilità ai servizi varia dal 15 al 18% dei bambini che ne hanno bisogno ed è assurdo, pensiamo se potesse entrare al pronto soccorso solo il 15% dei pazienti che ne hanno bisogno. Serve maggiore organizzazione, perché si abbia più personale, e ci sia più formazione a riguardo.
Riscontrate differenze tra i bambini che riescono ad accedere alle cure palliative e quelli che non riescono?
Sì, lo vediamo nell’esperienza di tutti i giorni e nella letteratura scientifica, un bambino seguito vive meglio e più a lungo rispetto ai non seguiti con le cure palliative e la gestione di tutte le emergenze. Anche la morte del bambino ha un impatto meno negativo sul bambino e sulla famiglia se accedono alle cure palliative. Un altro dato importante è quello dei costi, alcuni non vogliono iniziare le cure palliative per i costi, ma con una giusta organizzazione di allocazione di risorse si spenderebbe anche meno rispetto ad oggi che ci sono tantissimi bambini che rimangono per mesi in ospedale senza alcun motivo.