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“Con un dito potevo sollevare le sue gambine”: Luca racconta la storia di suo figlio nato prematuro

Luca Mantovani ha scritto a Fanpage.it per raccontarci cosa prova il papà di un bimbo prematuro nato a 27 settimane, pesando appena 870g. La sua esperienza in terapia intensiva neonatale è stata così traumatica da convincerlo che non avrebbe più voluto figli, non poteva vedere un altro bimbo lottare per la vita così.
A cura di Sophia Crotti
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bimbo prematuro

La nostra redazione riceve lettere e testimonianze relative a storie che riguardano la maternità e l’essere genitori. Se avete una storia da raccontarci, o leggendo queste parole pensate di avere vissuto una situazione simile, potete scriverci cliccando qui.

Tante mamme hanno raccontato la loro storia di parto prematuro, quella maternità da sempre sognata in maniera diversa, il senso di colpa che le ha pervase, facendole sentire inadeguate, e l‘attesa prima di poter tenere sul petto il proprio bambino.

Questa volta a scrivere a Fanpage.it è stato Luca Mantovani, il papà di Andrea, un bimbo che oggi ha 12 anni, ma che è nato a 27 settimane, pesando poco più di 800g. Luca ci ha raccontato cosa vive un padre durante quei giorni di terapia intensiva neonatale, diviso tra il lavoro e le corse in ospedale per poter godere del tempo insieme al proprio bambino che è rimasto ricoverato per 3 mesi in tin, e a sua moglie.

Vedere quel corpicino avvolto tra i cavi e vivere ogni giorno con la consapevolezza che suo figlio poteva morire da un momento all'altro, hanno cambiato per sempre il suo desiderio di paternità, convincendolo che Andrea sarebbe per sempre rimasto figlio unico.

"Andrea è il mio guerriero, da sempre. Io non sono mai stato forte, mentre lui mi ha insegnato che nella vita si può superare ogni cosa. Chi lo guarda mi dice: quel bimbo ha la voglia di vivere stampata addosso"

Come è stato scoprire che la sua compagna era incinta?

Noi abbiamo optato per la procreazione medicalmente assistita, in particolare per l’inseminazione in vitro che è andata bene al primo tentativo. Però la gravidanza è stata molto critica fin dall’inizio. Mia moglie ha avuto delle perdite di sangue, abbiamo rischiato di perdere il bimbo a più riprese, e lei ha dovuto rimanere a letto immobile per un paio di mesi perché si risolvesse tutto per il meglio.

tin

Proprio quando sembrava stesse andando tutto bene, attorno ai 6 mesi di gestazione, il giorno di Pasqua, siamo usciti a pranzo e mia moglie ha iniziato a lamentare dei forti dolori alla pancia, siamo quindi andati di corsa al pronto soccorso, dove ci hanno detto che il bambino stava per nascere e che dovevamo subito recarci all'Ospedale di Lecco, perché a Bergamo e nelle vicinanze non c’erano posti letto liberi.

Con varie terapie sono riusciti a tenere il bimbo nella pancia della mamma ancora un po’, sembra una cosa da poco ma quando si parla di bambini così prematuri, ogni giorno in più nella pancione è una conquista per la loro salute. A 27 settimane e 3 giorni il bimbo è nato, con un parto naturale.

Lei ha potuto assistere?

No, perché è accaduto tutto molto velocemente. Ricordo che era un lunedì mattina quando mia moglie mi ha chiamato dall’ospedale per dirmi che l’avrebbero fatta partorire, io mi sono messo in macchina subito, ma non sono riuscito ad arrivare in tempo.

E il bimbo lo avete visto subito?

No, perché dopo il parto e varie manovre, è stato subito portato in terapia intensiva neonatale dai medici. Noi lo abbiamo potuto vedere due ore dopo la sua nascita e mia moglie, davanti alla sua incubatrice è svenuta.

Nostro figlio era davvero minuscolo, pesava appena 870g ed era avvolto dai tubi e dai macchinari.

Siete rimasti in tin con il bambino sempre?

Non entrambi, il bimbo è rimasto 97 giorni in ospedale, è nato il 16 aprile ed è uscito dall’Ospedale Manzoni di Lecco il 19 luglio. La sua mamma è rimasta all'interno dell'Ospedale di Lecco per tutti e 3 i mesi, dal momento che la struttura dà alle mamme la possibilità di dormire lì.  Io invece facevo avanti e indietro da casa tutti i giorni.

Come è stato per te vivere quel periodo?

È stato molto brutto, anche se devo dire che al lavoro hanno compreso le mie esigenze e mi hanno permesso di lavorare su un turno agevolato, dalle 7 alle 15, così da potermi poi mettere in macchina per correre in terapia intensiva neonatale ogni giorno fino a sera.

tin

Le mie giornate erano tutte uguali, mi svegliavo, andavo al lavoro, in terapia intensiva, a casa e l'indomani ricominciava la stessa routine.

Siete riusciti a stare vicini anche se la vostra attenzione era tutta focalizzata sul bimbo?

Ci facevamo forza vicendevolmente, perché in quella condizione i medici giustamente non potevano darci false speranze e noi abbiamo imparato a vivere giorno per giorno. Mia moglie, poi, è da sempre quella caratterialmente più forte della coppia e in quel periodo è proprio stata la mia roccia e lo è tutt’ora. Oggi io sono sempre molto apprensivo nei confronti del nostro bimbo, perché questo dolore immenso mi ha segnato.

Infatti, quando è scoppiato il Covid io sono andato in crisi, quel periodo fatto di ospedali, contagi, isolamento a me ha riaperto profonde ferite, mi ha ricordato ciò che avevamo vissuto dopo la nascita del nostro bimbo.

Come è stato prendere in braccio il bimbo per la prima volta?

La prima volta che abbiamo potuto prendere il braccio il nostro bimbo aveva già un mese, perché prima era troppo piccolo e troppo fragile. Quindi abbiamo iniziato con la marsupioterapia, poi gli infermieri, per farci sentire più vicini al bimbo, ci permettevano di maneggiarlo, di fargli il bagnetto.

marsupio terapia

Ma devo dire la verità ero spaventatissimo all’idea di fargli del male, basti pensare che con un dito potevo sollevargli entrambe le gambe.

Le è capitato di sentirsi impotente, nonostante fosse il padre, nei confronti di suo figlio? 

Sì, ma mi sono affidato ai dottori, qualsiasi cosa volessero fare per il bene di mio figlio potevano, anzi dovevano, farla.

Una volta usciti dalla tin com'è stato tornare a casa?

All’inizio abbiamo avuto molta paura per la salute di nostro figlio, io ho preso subito le ferie estive dal lavoro, per poter stare vicino al mio bimbo e a mia moglie, dall’ospedale chiamavano tutti i giorni per capire come andasse, ma la paura con un bimbo così picolo era davvero tanta.

Vivere quel periodo ha cambiato la sua idea di paternità?

Sì, è stata un’esperienza così traumatica che ho pensato immediatamente che non avrei più voluto figli. So che mia moglie avrebbe desiderato un altro bambino, ma io non ce l’avrei mai fatta.

Come sta il bimbo oggi?

Andrea ha 12 anni, compiuti lo scorso 16 aprile, è andato a scuola un anno dopo, come consigliato dal neuropsichiatra infantile, che lo segue ancora oggi.Il bimbo non ha problemi fisici, anche se è più minuto dei coetanei, ha alcuni deficit a scuola che combatte con la propria assistente educatrice a scuola e facendo sempre i compiti, in modo da mettersi in pari con i compagni.

Andrea Tin

Quando lo guardi oggi cosa pensi?

Penso che sia il mio guerriero, è una forza della natura, sorride sempre è molto solare, penso di non averlo mai visto triste, chiunque lo veda non può fare altro che pensare che ha proprio la voglia di vivere addosso.

Durante l’ospedalizzazione di suo figlio provava invidia nei confronti degli altri padri?

Noi siamo diventati molto amici di altre famiglie in tin, perché abbiamo trascorso insieme tutti i giorni. Quando però qualcuno mi racconta della sua paternità, di quando ha portato il proprio bimbo a casa dopo la nascita, non posso che tornare con la mente a quando ho vissuto io quel momento, in maniera ben diversa.

Ha mai avuto paura che suo figlio non ce la facesse?

La paura non ci ha mai abbandonati, ma mio figlio superava ogni cosa. Ci ha dimostrato fin dal primo giorno di vita che qualunque sfida gli avrebbe presentato l'esistenza, lui l'avrebbe vinta. Oggi, 12 anni dopo, ne sono ancora più convinto.

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