Come si parla con i bimbi delle elementari dei disturbi del comportamento alimentare? L’esperta che gira le scuole
Come si parla con i bambini delle elementari di disturbi alimentari? Ce lo ha spiegato la dottoressa Laura Montanari, psicologa, counselor e vice presidente dell’Associazione Animenta, che insieme a Foodnet ha stilato le linee guida che, martedì 22 ottobre, sono state presentate alla Camera dei deputati. La dottoressa ci ha spiegato di quanto riconoscere i disturbi alimentari precocemente e intervenire con misure tempestive ed educative prevenga anche i dca. "Alcune maestre ci chiedono di intervenire perché bambini di 7 anni parlano già di dieta o si alzano la maglietta per confrontare la grandezza della pancia".
Quando sono le maestre delle scuole elementari a chiedere un vostro intervento, come parlate di dca a dei bambini così piccoli?
Nelle scuole primarie con i bambini dai 6 a 10 anni, è perlopiù Foodnet ad occuparsi dei progetti verticali proposti alle classi. La metodologia che seguono in aula con i bambini è quella di non parlare del disturbo alimentare ma di favorire conoscenza e maggior consapevolezza di quanto alimentazione, contesto sociale ed emozione siano collegate tra loro.
Per farlo utilizzano dei giochi, dei cartoni animati sul tema o degli esempi pratici, chiedendo ai piccoli se quando sono tristi preferiscono mangiare un cibo, piuttosto che un altro o di descriverci nel dettaglio il sugo o il ciambellone che cucina la loro nonna, cercando di riflettere su come anche solo l’odore di quel piatto li faccia sentire.
I bimbi così imparano che il cibo non è solo qualcosa che nutre e dà energia ma sottende molti altri significati, legati ai ricordi o alla sfera delle emozione. Con i bambini poi gli esperti di Foodnet fanno molta attenzione anche alla multiculturalità, raccontando e facendosi raccontare dai bambini quale significato ha il cibo nella loro cultura. Oltre ai bambini vengono coinvolti anche i docenti, i genitori e osservatori esterni che restituiscono una supervisione al gruppo che ha lavorato.
Invece durante le scuole medie, i ragazzi diventano più sensibili al tema?
Sì, quando entriamo nelle scuole secondarie di primo grado sappiamo di trovarci davanti a ragazzi che sono alle prese con l’adolescenza, che non sono più bambini, ma che al contempo non sono neanche degli adulti, con spirito critico e autonomia tale da parlare senza veli del disturbo. Per farlo creiamo una relazione con i ragazzi, tramite riflessioni su macro-temi come cibo, peso, corpo e utilizzo dei social che ci permettono di capire che percezione i ragazzi hanno su questo tema. Cerchiamo di farli esprimere garantendo loro l’anonimato, per esempio chiedendo loro di rispondere su un bigliettino anonimo alla domanda: “Come vedi il tuo corpo?”. Se alcuni, dediti allo sport, lo adorano perché permette loro di fare molte cose, altri lo detestano o lo vorrebbero diverso già a 12-13 anni.
E se invece un ragazzo alza la mano e parla della sua esperienza con i dca?
Se la tematica specifica dei disturbi del comportamento alimentare esce dai ragazzi stessi, si entra invece nel dettaglio, approfondendo le loro domande. In ogni caso per comprendere cosa è rimasto delle attività svolte con i loro, chiediamo agli studenti di darci dei feedback anche in maniera creativa, attraverso cartelloni.
Cosa emerge dai feedback che i ragazzi vi lasciano dopo il vostro intervento?
Spesso ci dicono che dopo i nostri incontri hanno compreso che il cibo non si divide in “buono” e “cattivo” o che le persone non si giudicano in base alla loro fisicità.
Invece con gli alunni del liceo come vi rapportate?
Qui incontriamo spesso ragazzi che hanno già avuto a che fare con i disturbi del comportamento alimentare, quindi possiamo parlare del tema con maggiore apertura. Ovviamente non andiamo in aula dando dei parametri per definire cosa sia la bulimia e cosa sia l’anoressia, ed evitiamo riferimenti al peso o alle kcalorie, perché possono essere fonte di trigger o dare vita a degli stereotipi. Cerchiamo di riflettere sulle macro aree, come il corpo, l’alimentazione, il rapporto con il digitale e con l’altro e diamo risalto alla relazione con la famiglia. Per stimolare il dialogo usiamo anche sondaggi, che permettono di dare vita ad un dibattito di cui i ragazzi diventino parte attiva e protagonisti. Quando i ragazzi lavorano in gruppo danno il meglio di loro.
Le linee guida presentate alla Camera sono un passo avanti per la loro introduzione nei programmi scolastici?
Sì, è quello che ci auguriamo, per ora queste linee guida sono uno strumento che i nostri operatori utilizzano per formarsi e che portano con loro quando girano le scuole. Noi cerchiamo di valorizzare questo documento, fruibile da tutti online con i docenti.
Gli insegnanti vi chiamano dopo che in classe si è verificato un caso o comprendono l’importanza di prevenire i dca?
I docenti di scuole medie e licei hanno più sensibilità sull’argomento dei dca, soprattutto perché li vedono serpeggiare tra gli alunni o perché hanno avuto una conoscenza diretta del problema, un figlio o un parente coinvolto. Anche se ci è capitato che alcune maestre delle elementari ci contattassero perché i bambini parlavano già apertamente di dieta o si alzavano la maglietta puntandosi il dito l’uno contro l’altro dicendo: “io ho la pancia, tu no”. È evidente che bisogna intervenire subito, prevenendo i dca piuttosto che dovendo trovarsi a curarli quando questi bimbi diventano adolescenti.