Come si affrontano 9 mesi di gravidanza in una società che non ci insegna più ad aspettare? Le psichiatre
Gravidanza significa attesa, una sospensione fatta di ansia e aspettative, lunga 9 mesi, che obbliga le donne e gli uomini che si approcciano alla genitorialità a fare qualcosa che oggi sembriamo tutti aver dimenticato: aspettare.
Oltre all’attesa per le donne c’è la rinuncia, al cibo preferito, a mesi di lavoro, ad una bevuta con le amiche, ai mezzi troppo affollati, allo sport praticato fino a quel momento a livello agonistico. Ecco che l’attesa si fa tutt’altro che dolce e spesso ricopre le donne di domande e interrogativi: se quei 9 mesi pesano troppo, se l’impazienza di conoscere una vita nuova è tantissima, se il desiderio di tornare alla vita di prima si fa estenuante, le donne finiscono per non raccontarlo a nessuno vergognandosene.
Con le dottoresse Nicoletta Giacchetti e Franca Aceti, psichiatre presso Policlinico Umberto I, Università Sapienza di Roma, responsabili del servizio di psicopatologia neonatale, abbiamo indagato il significato profondo dell’attesa a cui la gravidanza obbliga le donne, scoprendone i punti forza e i punti deboli.
Al giorno d’oggi, in cui vogliamo sempre tutto e subito, quanto è difficile per una donna attendere 9 mesi prima di poter vedere il suo bambino?
Franca Aceti: Io penso che innanzitutto si debba comprendere quale sia il senso di questa attesa, una delle immagini più profonde della maternità. Un grande fenomenologo, Eugène Minkowski, nel suo saggio “Il tempo vissuto”, spiega come il contrario dell’attività nella vita non sia la passività ma proprio il tempo dell’attesa, per questo l’attesa è spesso alimentata d’ansie, perché sospende attività in cui abitualmente la vita si esprime e declina. Quindi la sospensione e la pazienza della donna sono il primo dono che la mamma fa al suo bambino. Per lei cambia completamente la concezione del tempo, prevale il tempo interno, quello lento e cadenzato dalla natura, ben diverso dal tempo storico accelerato che ha i suoi tempi e i suoi modi. L’attesa però non è da intendere come un vuoto, è un tempo che crea uno spazio per quel bambino, permette a fantasie, rappresentazioni e sogni di lui di germogliare nelle menti dei suoi genitori. Il grande mistero che si crea nella gravidanza è che la donna porta con sé qualcosa che ha a che fare con lei, che si muove dentro di lei, eppure è sconosciuto, l’incontro con l'alterità che apre ad un nuovo mondo unico e irripetibile che ha bisogno di tempo, non sempre semplice. L’attesa è infatti colma di tanti timori, che vediamo spesso nelle nostre pazienti, ma se si riesce a guardare come ad un cambiamento necessario e a un dono, può essere più semplice da accettare.
Quindi questo tempo d’attesa non è un tempo vuoto?
Nicoletta Giacchetti: Assolutamente no, è proprio lo sfondo entro cui viene vissuta la gravidanza, un tempo che sembra vuoto delle usuali attività della vita quotidianità è in realtà molto pieno. In questo tempo infatti la mente della donna funziona come un laboratorio in cui all’inizio si può verificare una completa assenza di rappresentazioni del bambino, concentrandosi sui cambiamenti fisici del proprio corpo, proprio per questo si fanno molte analisi. Dal terzo trimestre in poi, quando il bimbo inizia a sentirsi nel pancione, e l’apparecchiatura tecnologica aiuta a facilitare delle rappresentazioni interne del piccolo, per la mamma si forma il bambino immaginario. È in questa fase che le donne iniziano ad immaginare il bimbo, a sognare le somiglianze anche solo in base ai suoi movimenti, si sceglie anche il nome del piccolo e così facendo si ripercorre il rapporto con la famiglia di origine, più si avvicina poi il momento del parto, più iniziano i timori del parto. Qui per la donna inizia la consapevolezza che da una fusione ci sarà una separazione, il bambino reale si configurerà come altro da sé. Capiamo che questo tempo è tutt’altro che vuoto. Per alcune donne poi sarà più complesso affrontare questo percorso, potrebbero annoiarsi e faticare a rappresentarsi nella mente il loro bimbo. Se ciò accade spesso si tratta della manifestazione del timore di confrontarsi con il proprio materno o per esperienze pregresse oppure perché si ha avuto esperienza di un lutto durante la gravidanza e si tenta così di proteggersi. Ci sono al contrario anche le donne che tendono a ipertrofizzare tutti i segnali e le fantasie, perché hanno bisogno di sentirsi ascoltate e supportate durante la gravidanza. Sicuramente hanno bisogno di uno spazio di ascolto che spesso non c’è né in famiglia né nel contesto sociale in cui vivono.
Per le donne che durante l’attesa soffrono molto il doversi fermare dal lavoro o il dover rinunciare all’attività sportiva, come può gestire questa condizione?
Aceti: sono sentimenti inevitabili perché la nascita di un figlio implica sempre un limite alla propria libertà, proprio perché il suo arrivo cambia tutto. C’è da dire che oggi questa contraddizione tra le esigenze della propria realizzazione professionale e della propria libertà e i limiti che un figlio comporta viene sofferta molto più di un tempo, bisogna farci i conti, ridistribuire poi i tempi e gli spazi, sul piano interno ed esterno e sul piano di realtà. Tutto dipende dalla storia personale di ogni donna, da quanto la donna si è sentita accolta come figlia.
Giacchetti: Il bambino è sempre risorsa e limite al contempo. Sul piano personale è gratificante, una risorsa anche sul piano evolutivo, ma un limite perché evoca una grande responsabilità e quindi un ridimensionamento della propria libertà.