Come combattere la dipendenza da social di bambini e adolescenti: “Vietarli non serve a nulla”
Mentre la commissione europea sta avviando un'inchiesta contro Meta per aver violato le norme europee a tutela dei minori online, dichiarando che Facebook e Instagram creino dipendenza nei piccoli utenti, abbiamo chiesto a Federico Tonioni, UOC di Psichiatria Clinica e d’Urgenza al Policlinico Gemelli e ricercatore di Psichiatria per la Facoltà di Medicina e chirurgia Università Cattolica, di spiegarci cos'è questa dipendenza che interessa bimbi e adolescenti e come i piccoli possono uscirne. "Più che di dipendenza io parlerei di abuso, la dipendenza implica dolore mentale e nasconde sempre un dolore più grande. I bambini invece abusano degli schermi, i genitori si preoccupano molto quando dovrebbero invece imparare a condividere il loro tempo insieme anche lì".
Quali sono, se esistono, i segnali che un bambino è dipendente dai social network?
Non esistono dei sintomi manifesti della dipendenza da social, e se esistessero sarebbe pericoloso divulgarli, perché probabilmente i genitori inizierebbero a fare diagnosi di dipendenza da social al primo capriccio dei piccoli.
Poi certo che insonnia e irritabilità possono essere sintomi di una dipendenza, ma da bambini anche coloro che i pc ancora non li avevano manifestavano disturbi del sonno o nervosismo. I bimbi infatti fanno capricci perché sono pieni di rabbia, che è un sentimento affettivo, a differenza della dipendenza, che è patologica. Quando invece si manifesta la dipendenza in bambini e preadolescenti, è sempre un fatto affettivo non di meccanismo intrapsichico. Ossia quando tutti noi aderiamo ad un oggetto o a un comportamento e lo chiamiamo dipendenza patologica, significa che quell’oggetto sta al posto di qualcosa che è mancato nella vita affettiva, non comportamentale. Non basta reiterare un comportamento per innescare una dipendenza patologica, è sempre un mancato fatto affettivo che ci rende compulsivi nell’uso per esempio della tecnologia, che non ci permette di attendere.
Poi a volte dimentichiamo che è del tutto normale che i bambini siano attratti da tutto ciò che è digitale, innanzitutto perché nascono già con un diverso profilo cognitivo, perché l’ambiente attorno a loro è fatto di schermi interattivi portatili che anche per gli adulti che li circondano lo sono come un prolungamento di loro stessi. I bimbi che ancora non parlano, per esempio, è raro che trovino davanti a loro qualcuno pronto a vocalizzare, perché quell'adulto è assorbito dall’uso dei device, questa non è la fine del mondo ma un processo evolutivo.
E cosa comporta questo nuovo processo evolutivo dei bambini?
Comporta che il nuovo modo di apprendere dei bimbi dia molto più spazio alle immagini che alle parole. Nonostante ciò, però, i bimbi anche a scuola trovano un mondo ancora pre digitale. Non basta una lavagna multimediale a rendere la scuola digitale, quando i piccoli studenti avrebbero bisogno dei visori immersivi per imparare, e non ci sarebbe nulla di male nel lasciarglieli utilizzare. Dallo scontro tra il nuovo modo di apprendere dei bimbi e il vecchio modo di proporre l'insegnamento in Italia, secondo me, si generano i disturbi dell’apprendimento, per cui in un terzo di qualsiasi classe ci sono bimbi dislessici o discalculici.
Come può intervenire un genitore per educare i bambini a un corretto uso della tecnologia e dei social perché non ne diventino dipendenti?
Non esistono linee guida al corretto utilizzo della tecnologia per tutti i bambini. Questo perché i bambini e i genitori sono tutti diversi, bisogna fare attenzione alle linee guida che standardizzano dei comportamenti.
Quando si dà una regola a un bambino, la cosa importante è non darla mai per ridurre il bimbo all'obbedienza, o per vincere sul bambino, si può invece dare al piccolo delle regole per insegnare il senso del limite, e chiedere scusa se si fallisce.
La distanza più pericolosa per tra adulti e figli non è la dipendenza da social network ma i sensi di colpa inconsci di cui siamo pieni, quindi è bene condividere lo smartphone con i figli, condividere i social, passare del tempo insieme ai bambini, senza pensare di condividerlo per forza al parco ma anche guardando un Tiktok insieme, se il bimbo lo desidera. Il mondo va visto dagli occhi dei bambini, non dai nostri. Il punto è condividere senza mai farsi sostituire dal tablet che non può sopperire le nostre assenze, anche se spesso cellulari e tablet vengono utilizzati in sostituzione della baby-sitter.
Ma i social sono spesso sotto inchiesta, secondo lei hanno delle caratteristiche che favoriscono la dipendenza di bambini e adolescenti?
Certo, le caratteristiche sono quelle che conosciamo: ogni volta che compare qualcosa su uno schermo digitale è una sorpresa, si aprono pagine contro la nostra volontà, in ogni pagina c’è un’aspettativa, c’è anche una sorta di eccitazione poiché nel nostro cervello c’è la dopamina che media tutte le esperienze gratificanti della vita, per le quali vale la pena vivere. Nei bimbi, dal momento che il digitale è interattivo e non permette loro di scegliere quando smettere di guardarlo, potrebbe esserci un incremento della dopamina che li spinge a rimanere davanti allo schermo.
E se per primo il genitore ne è dipendente?
Questa non è una possibilità, ma la realtà: siamo tutti dipendenti dai cellulari noi adulti. Il problema è che ci si preoccupa perdendo di vista il fatto che c’è una differenza tra abitudine e dipendenza patologica, che sta nel dolore mentale, che la dipendenza crea.
La dipendenza poi diventa una sorta di terapia ad un’angoscia più profonda nascosta. Per esempio chi entra sui social per guardare in maniera compulsiva i comportamenti di una persona, usa internet per sanare il suo problema di depressione o paranoia. Quando i nostri comportamenti diventano una sorta di auto-terapia, allora la dipendenza è patologica, altrimenti se un ragazzo o un bambino guardano 8 episodi di fila di un cartone o di una serie, parlerei più di abuso.
Quindi quando è il caso di rivolgersi a un esperto?
Per i ragazzi bisogna rivolgersi ad un esperto se ci sono dei segnali di ritiro sociale, una volta raggiunta l’adolescenza piena , perché spesso prima i bimbi non escono perché i genitori hanno paura a lasciarli fuori casa da soli.
Quando a 14 anni un ragazzino gioca dal mattino alla sera ai videogame, non va più a scuola, non fa più sport, non riusciamo a immaginarcelo innamorato, allora bisogna preoccuparsi.
La reazione però non deve essere quella di togliergli giochi o tecnologia, altrimenti lo si rende solo più aggressivo. Dobbiamo ricordare che quando un bimbo sta online tutto il giorno realizza lì le sue uniche relazioni possibili, lì si consola, bisogna dunque armarsi di pazienza e creare delle nuove possibilità al ragazzo, con l’aiuto di un tecnico del settore. Ma si deve intervenire solo in presenza di dolore mentale e mai facendo ricatti. La distanza più sana dagli adolescenti è la fiducia non il controllo. A volte un genitore che darebbe la sua vita per i figli ma risulta controllante, sta mettendo in atto una frequenza affettiva che viaggia su una sintonia che il ragazzo non coglierà mai.